Lazio'900
Memorie sulla caduta del fascismo, sull'armistizio dell'8 settembre, sulla guerra, sui bombardamenti
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Documento
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Metadati

Tipologia
Diario
Data
Data:
12/01/1943-10/04/1944
Consistenza
Tipologia:
pagina/e
Quantità:
139
Contenuto
Trascrizione del diario manoscritto:
19 gennaio 1943
E così, ecco le mie prime parole per quest’anno 1943. Mi dette la sensazione di una grande liberazione questo nuovo anno che si spalancava, tutto turgido di vitalità. Dopo quell’angoscioso 1942, denso di dolorose esperienze, che ha accumulato tante ceneri e tante rinunce! Proprio una liberazione. E subito allora avrei voluto scriverlo, dopo il discorso del Papa, che prospettava un luminoso cristianesimo tutto ringiovanito e, finalmente! Rivoluzionario.
Ma poi mi lasciai impigliare tra le mie diaboliche poesie, che mi succhiavano quel poco di tempo che rimaneva a disposizione della mia anima. Scarse disponibilità di vita vera in questa oppressione della stretta materiale. Tutte le nostre ore e i nostri pensieri paralizzati dalla lotta per l’esistenza. E, storditi, esangui, disgustati, si giunge alla fine delle nostre penose giornate, con una fretta affannosa di togliercele dattorno, di sorpassarle. Così dunque ci toccherà a disperdere tutta la nostra giovinezza? Ma lo spiraglio della liberazione si dischiude a momenti, scintillante di fascino. Non oggi, però oggi sono tanto depressa: depressione non ragionevole, in realtà, ma tanto istintiva e perciò invincibile. La stretta nemica attorno a Tripoli si avvolge sempre più inesorabile: sembra una vasta marea che riassorba una piccola isola densa di vita. L’Africa ci respinge, l’Africa verso cui tanti palpitanti entusiasmi ci avevano lanciati, l’Africa, dove scorre tanto nostro nobile sangue. È tutto un passato glorioso che viene distrutto e cancellato via. Ed essi sono inesorabili: l’Abissinia al negus, la Libia la restituiranno ai turchi. E oltre tutto hanno anche ragione. Hanno ragione. Questo lo so, l’ho sempre saputo: e per questo sono inesorabili. E son proprio loro che dovranno portarci la liberazione: con questi mezzi. Ci debbono amputare da un membro corrotto. Amputazione? Mutilazione? Chissà? A volte penso rabbrividendo che la corruzione sia sparsa per tutto l’organismo e allora, mio Dio!, non ci saranno operazioni che possono salvarlo, allora avverrà il disfacimento, il collasso, l’agonia, la morte. Penso con orrore alla inutile lotta che precederà la decomposizione della mia povera patria. Agonia: orribile, spaventosa esperienza, che è apparsa a me recentemente in tutta la raccapricciante mostruosità di quando ci strappa le persone care. La morte ha strappato via l’organismo di mio padre, ora strapperà un altro organismo adorato: la mia patria. Ed io ancora dovrò rimanere inerte a contemplare. Ma noi cristiani crediamo nel mistero della resurrezione e lo crediamo immediato, subito dopo la morte; anzi la resurrezione sarebbe proprio figlia diretta della morte: un corpo fragile, dubbioso ed imperfetto si contorce disperatamente nel guizzo della liberazione, per lasciare che l’elemento spirituale e perfetto, in esso imprigionato, si sollevi purificandosi. Quindi non morte, ma principio di vita.


24 gennaio
Alla parola resurrezione mi sono dovuta arrestare l’altro giorno e il pensiero è rimasto interrotto: non so più che cosa intendessi esprimere. Tanta è la confusione dei miei pensieri in questi giorni e l’invincibile smarrimento.
Tutto si svolge intrigandosi nella mia mente, e intanto lo [sbattito] del sentimento si agita dentro ad accrescere la confusione. Una sola cosa mi conforta e mi porta una certa fermezza: è l’Inghilterra che ha ancora in mano la leva della situazione, è lei che domina gli avvenimenti: l’America non è che un’immensa officina di materiale, la Francia un elemento di collaborazione insieme a tanti altri, la Russia il flusso dell’eroismo barbarico e disperato; ma la spina dorsale di tutto l’organismo è sempre, più che mai, la vecchia Inghilterra, miracolosamente ringiovanita.
Ella sostiene le membra diverse dell’organismo mondiale e le mantiene erette. Le altre nazionalità che cosa sono? parti varie e distaccate, come senza quel nesso. La Germania è la testa con la sua presunzione di essere tutto, la testa, che, separata dal resto, non vale nulla ed è cosa inerte e vana: eppure crede di essere il centro di tutto, esclusiva, essendo: centro distributore e [...] che non vuole ammettere di aver bisogno degli altri, che pretende di non essere alimentata che da se stessa. Sorge il pensiero dentro di lei ed anche l’illuminazione, prospera l’eresia, ma si smorza il palpito del sentimento. Questo invero si raccoglie turgido e smagliante nel cuore vivo dell’organismo, che è la latinità, nelle sue multiformi e contrastanti espressioni pur tanto simili: la passionalità della Spagna, la generosità della Francia, la sensibilità dell’Italia. E fluisce il sangue attraverso le vene delle nazioni minori e complesse: globuli bianchi e globuli rossi, liquido fluido e agglutinante, scorrevole o prorompente alla minima perturbazione: Polacchi. Rumeni, Greci, Boemi, Slavi balcanici. Ma fremono attivi e sensibili i nervi palpitanti dei Russi sempre protesi nello spasimo della tensione. Solidi e ben articolati si distendono i muscoli dell’America in armonico sano svolgersi di movimenti vigorosi. A tutto si avvolge l’epidermide del cristianesimo che, mentre va congiungendo e levigando le disparità e i contrasti, vela crudezza aspra della nudità interiore e suscita il fascino della bellezza. Eccolo l’organismo completo della nostra vecchia indistruttibile civiltà, composto di elementi svariati e diversissimi tra loro, ma reciprocamente integrantisi, armonicamente mobili, indispensabili tutti e ciascuno alla vita dell’organismo totale. Questo a dispetto della stolta Germania, che pretendeva di imporre la sua vitalità esclusiva, come una mostruosa testa enorme, che pretende di prosperare distaccata dal corpo, di cui è posta a servizio.


7 febbraio
Ho discusso piuttosto brutalmente con la figliola di un mio antico professore. E questo non è molto nobile da parte mia. È una ragazzetta molto giovane. Ma il fascismo sta diffondendo il panico per il comunismo e questi borghesi intellettuali abboccano in disgustosa credulità. Tanto è potente in loro l’egoismo per le loro piccole proprietà! E i loro figlioli sono dei decadenti ridicolissimi. Non godono spensierati la vita, per quanto si lascino circondare (grazie al mercato nero e alle varie compiacenze dalla cultura alla finanza) da tutte le comodità: vogliono affrontare i problemi teorici e poi concludono che hanno paura. E allora sentirei il desiderio di sculacciarli. Se proprio vogliono essere “giovani intellettuali”, che abbiano l’impeto dell’entusiasmo, che sentano il fascino del pericolo, invece di starsene a cincischiare, rabbrividendo di fronte alla tempesta spumeggiante della realtà. Ho paura; ma i figli degli intellettuali sono in pieno decadimento. La nostra classe farà fallimento? (Ma questa rima involontaria mi ha fatto riacquistare il senso dell’umorismo. Forse non c’è niente da far fallire: forse gli intellettuali sono un’escrescenza parassitaria).


9 febbraio
La fanciulletta che ho maltrattata l'altro giorno è venuta oggi a trovarmi (in seguito ad un mio biglietto di scuse) e mi ha chiesto il “famoso manifesto di marzo”. Lì per lì non ho capito: che diamine era? Mi ha spiegato che trattavasi dell’atto di nascita del comunismo. Mi è venuto tanto da ridere.
Eccomi improvvisata come propagandista del comunismo, proprio io che ho istinti così poco…[...] e che, in coscienza, sono completamente digiuna di conoscenze vere in quel campo. Ma se questa deve essere la frusta che deve risvegliare la coscienza intorpidita dei nostri intellettuali e dei loro molli figlioli, ebbene impugniamola pure e che Dio ce la mandi buona! Bisognerà però che noi ci formiamo una cultura in questa vergine foresta della nuova esperienza umana, perché possiamo ridurre al minimo i passi falsi e dissolvere le ambiguità.


28 febbraio
Ho finito in questo momento “Du mariage” di L. Blum. L’ho letto molto lentamente e confesso che in più punti mi ha piuttosto annoiato, poiché mi è sembrato superficiale. E invece non è vero: non è affatto un libro superficiale e neanche un libro cattivo. Ma non mi ha mai scandalizzato: è così cortese e gentile e discreto, che in fondo si risolve in un libro sentimentale e simile in realtà deve essere stato il comunismo di Francia. Un allevamento squisito e fin troppo raffinato di un’idealità, che avrebbe dovuto essere travolgente ed eroica. In pratica: una sterilizzazione. Troppo sensato, prudente, guardingo dell’esagerazione questo libro innovatore, che avrebbe dovuto capovolgere il giudizio della classe benpensante sui rapporti fra i sessi. E, a dirla in verità, un po’ troppo accomodante, perché possa essere costruttivo. L’istinto placato, la sistemazione matrimoniale raggiunta, il problema dei figlioli risolto, la gelosia sessuale esclusa o sopita, la tirannica famiglia addomesticata: tutte le cose a posto, esclusa la verginità. Questa deve essere abolita perché è una cosa contro natura, proprio come viene esclusa a priori ogni esigenza religiosa. E in realtà a prima vista, tutto questo appare straordinariamente ragionevole, anzi quasi banale. Ma la reazione giunge da sé, senza impeto, senza violenza, ma inesorabile nella sua evidenza. È assurdo stemperare l’umanità nella ragione, poiché essa non vuole essere interamente ragionevole. Anzi la creatura umana è assetata dell’irrazionale, è avida di mistero. E il mistero è racchiuso nella difesa della verginità. Perché ci accaniamo tanto a conservarla, come se fosse un bene prezioso da custodire gelosamente? Perché tutti i popoli hanno intessuto di norme perentorie la loro legislazione, o meglio ancora i loro costumi, per tutelare con la forza della legge, della tradizione, della suggestione e soprattutto dell’onore questo “inutile” pregio della femminilità?
L. Blum mi risponderebbe: “è un pregiudizio, un detrito di barbarie”. E lì per lì sarei tentata di dargli ragione, anche se in fondo tutto questo sarebbe piuttosto umiliante per l’umanità. Ma poi mi accorgo che non è vero, non è vero neanche nella storia. Vergini o caste sono le creature più vitali dell’umanità, quelle capaci di sprigionare le energie più travolgenti. Tutto quello sperpero sensuale diluisce la vitalità degli individui, la stempera nello spreco egoistico, la racchiude in un circolo chiuso. E d’altra parte l’uomo appagato si gonfia in una così vana soddisfazione di sé, sa ridursi molto banale e quasi sempre mediocre: potrà adempiere il suo ufficio quotidiano, potrà anche conquistarsi la ricchezza o forse la fama, ma non sarà mai proteso verso la conquista del perfezionamento. Anche la favola ce lo racconta. Il principe cavaliere compie prodezze eroiche e miracolose per conquistarsi l’amore della sua dama, ma disdegna le facili avventure che vorrebbero frastornarlo dalla meta finale; e la fanciulla misteriosa stimola nel cavaliere il fascino dell’eroismo dalla sua rocca incantata, che appare inviolabile. Poi, conclusa la grande avventura, i protagonisti si sposano e vivono felici e contenti. Non più avventure, né prodigiosi eroismi. È finita la favola, che è poi l’esaltazione dell’umanità.
Dunque il progetto di L. Blum, che vorrebbe essere rivoluzionario, si risolve in un accomodamento di mediocrità borghese. E mi viene ora in mente quel giovane comunista, che ho udito sdegnosamente esclamare ad una proposta simile, parecchio tempo fa: “Questi sono i compromessi della morale borghese!” e mi ricordo del mio stupore di allora, quando sentii dichiarare che i grandi capi comunisti e i migliori seguaci dell’idea praticavano la castità. Stupore provocato dall’assurda propaganda fascista. Questo vitalissimo, misterioso movimento rivoluzionario dei nostri giorni, proprio come una predicazione religiosa, è imperniato sul rispetto dell’umana castità. Per questo forse ha generato così travolgente e irresistibile marea di vitalità.


8 marzo
Ancora degli antifascisti! Ho passato ieri un pomeriggio delizioso ed eccitante. Ho conosciuto due nuovi antifascisti. l’uno, ebreo, dolce e un po’ trasognato, umilmente sentimentale, triste e perplesso nella sua sensibilità, l’altro tutto aguzzo di intelligenza, stringente e lucido nella logica, sfavillante di paradossi; ma saldo e rigido di moralità: un uomo onesto che fa le acrobazie sul filo sottile e tenace dell’intelligenza libera, senza mai perdere l’equilibrio. Due spiriti genuinamente italiani e perciò radicalmente diversi, eppure non contrastanti. Era piacevolissimo vederli armonizzare: si urtavano stimolandosi, si acquattavano studiandosi, si attaccavano senza ferirsi, uscivano dalla lotta più vigorosi e più autonomi, ma nello stesso tempo amici. Liberi, ma umani, e malgrado la spregiudicatezza apparente, giusti e sostanzialmente equilibrati. Che faranno mai questi nostri uomini così intelligenti e inutilizzati? Riusciranno ad impugnare il timone della nostra barca malconcia per condurla a salvamento? Oppure non è vero che sono inutilizzati? Forse è proprio questa impossibilità di immischiarsi nella vita pratica che li conserva così acuti e intelligenti, così disinteressati? Chissà, forse l’Italia vera rimane [vispa] ed attiva in questa sua apparente inerzia pratica; forse, rimanendo alla periferia degli avvenimenti, imprime ad essi il ritmo più armonico ed equilibrato. Chissà! Ma non ardirei mai dir questo in loro presenza. Sono tutti così disgustati della nostra patria, che recalcitrerebbero di ripugnanza a sentirsi attribuire una qualsiasi funzione nazionale. Eppure io ancora non mi rassegno…


8 maggio
E ancora quell’individuo ha voluto parlare! È come un pezzo di legno marcio, che bruciando manda le ultime scintille, insieme a fumo greve e sibilante. Non vuol decidersi a putrefarsi nascostamente: deve bruciare gli occhi e diffondere attorno il suo puzzo asfissiante. Eppure, in un tempo lontano, un certo bagliore riusciva ad emanarlo quando si incendiava, e forse anche una parvenza di calore. Il 5 maggio del ’36 ero anch’io a piazza Venezia. Ho sempre detestato i suoi sistemi istrionici e violenti. Eppure quella sera li ho quasi dimenticati, ed ho sopportato la folla ed ho ascoltato le sue parole senza ripugnanza. Comunque, era stato capace di imprimere vitalità, e la gesta africana aveva un suo splendore di eroismo. Era stata rapida e lontana, perciò la brutalità, la meschinità e la prepotenza potevano essere facilmente filtrate attraverso il filtro della fantasia. Ed io ero allora molto giovane, insieme ai miei ragazzini entusiasti. Eravamo tutti un poco esaltati quella mattina lucente di sole. Io mi rifiutati di fare lezione: presi il “De bello Gallico” e lessi il capitolo di chiusa: asciutto, breve, inesorabile, era lo squillo di una grande vittoria? Noi fremevamo di orgoglio. Improvvisamente entrò il bidello ad annunciare che era vacanza: la circolare proibiva le dimostrazioni. Ci guardammo con un guizzo di malizia e ci precipitammo fuori nel sole. Incontrai due ragazzoni miei amici, che mi trascinarono con loro sotto il balcone del Quirinale.
Là rividi i miei alunni che gridavano, scandendo giubilanti: “Im-pe-ra-to-re” e ancora ci ammiccammo con l’intesa dei complici. I miei grandi compagni mi tenevano in mezzo e acclamavano anche loro: erano alti e forti, tanto che io non avevo più paura della folla: anzi la mia piccolezza vi si inseriva con straordinaria facilità. Erano ebrei e i loro occhi sfavillavano di vitalità un po’ selvaggia. Adesso sono in Palestina e hanno dovuto ricostruire la propria vita. Beati loro che sono lontani!
Ma quella mattina siamo stati tanto felici. Avevo deciso che il giorno in cui fosse caduta Addis Abeba avrei comprato una bella bandiera con l’asta lunga. E decidemmo di assolvere il voto. Comprammo la nostra bandiera e ce la portammo a casa attraverso le principali vie di Roma sventolandola al sole. E i ragazzi ci seguivano sciamando e intonavano canzoni festose. Non posso ricordare una mattinata più sfavillante di colori e di gioia. Ma un ragazzaccio in divisa fascista ci fermò a Villa Borghese: ci impose di ammainare la nostra bandiera e ci ordinò di tagliare i legami che la tenevano eretta: non si dovevano fare che le dimostrazioni ordinate dal Partito. I ragazzi obbedirono docili, mentre io digrignavo i denti. Dovevano avvelenare con la loro stupida boria tutti i nostri entusiasmi spontanei! Ma il fascista presuntuoso non aveva ancora svoltato l’angolo della strada che chiamammo un monello scamiciato perché ci desse qualcosa per raddrizzare la bandiera mutilata: il monelluccio aveva chiodi e spago nelle sue luride tasche e proseguimmo a bandiera spiegata. Entrammo solennemente a casa e introducemmo l’ospite sacra con rispettoso cerimoniale.
Finimmo la mattinata in giardino a mangiare fave e prosciutto.
Anche stamattina l’Accademia d’Italia ha distribuito fave ai suoi dopolavoristi e mentre gustava il loro buon sapore profumato di foraggio, mi è tornata in mente quella mattina lontana e radiosa. Sembra che sia appartenuta ad una altra vita! Ora gli amici sono dispersi, gli animi angosciati, la patria in dissoluzione. È quella di oggi una giornataccia fredda e ventosa, inturgidita di pioggia che non si dissolve. E l’ansia si rapprende attorno al cuore oppresso da sinistri presentimenti. E lui, maledetto!, chiama questa nostra pena “un indefinibile male; il male ‘Africa’”. Indefinibile, vero? Il male che tu ci hai inflitto lasciando che si disperdesse tutta la paziente fatica, il generoso entusiasmo di tre gloriose generazioni? E la tua bocca profanatrice ha il coraggio di invocare la giustizia di Dio e l’immortalità dell’Italia! Ironica stride la frase retorica in così dolorosi momenti.
Invocare la giustizia di Dio, mentre si sente gravare poderosa sulle nostre spalle la mano inesorabile della sua punizione! Mentre non si ardisce quasi, consapevoli della responsabilità profonda per la nostra colpevolezza, impetrare la sua misericordia! E blaterare sull’immortalità dell’Italia, adesso che tutti i suoi figli si rivolgono ostili contro di lei, a dilaniarla! I fascisti le rinfacciano con livida rabbia di non essere stata capace di comprendere e di realizzare il loro borioso programma. Ed i suoi figli migliori, coloro che hanno a lungo inutilmente protestato di fronte alla cecità collettiva, con fredda, tagliente obiettività, ne constatano la incapacità costruttiva di fronte al travolgente dramma mondiale e rivelano, spietati, il loro disgusto per questa sua protrattasi immaturità, che tacciano di bassezza morale e politica. E nemmeno sembra avvertire il profondo, rassegnato dolore con cui Ella accetta la grande sciagura che si sta abbattendo su tutti i suoi figli sventurati, i quali non ardiscono invocare il suo aiuto e la sua protezione. Disarmati, oppressi, disorientati, essi giacciono sotto i colpi tremendi della violenza meccanica, senza ardire di domandarsi attraverso quale strada, per mezzo di quale energia, tornerà finalmente a trionfare la potenza dello spirito, per riportare ordine e significato nella loro sbigottita esistenza.
Ed io allora in fondo alla mia anima sento fluire, disperata e veemente, l’ondata improvvisa della reazione: un amore assurdo, profondo, irrazionale, irresistibile prorompe dalla radice più intima della mia personalità, come volesse trascinarmi a ritrovare l’essenza stessa della mia patria martoriata.


20 maggio
Questo sdoppiamento, assurdo, ma insuperabile, è veramente penoso. Si sente la gioia teorica e la soddisfazione ideale perché gli avvenimenti si vanno sviluppando verso il loro epilogo giusto e naturale; ma nello stesso tempo non può non sentirsi il dolore delle ferite che penetrano sempre più profondamente nella nostra stessa carne. Signore, è spaventosa la logica della tua giustizia!


3 giugno
Passa la processione per le strade con lunghi canti monotoni. Questi spettacoli mi lasciano sempre piuttosto perplessa, perché mi sembrano in realtà un po’ ridicoli. Eppure forse sono ingiusta. I frati, in fondo, nella loro semplicità, finiscono con l’essere molto astuti. Bisogna pure tenerla occupata questa umanità minuta, che non sa camminare da sola: e allora metterla in fila dietro uno stendardo lucente di ricami dorati e farla cantare lamentosamente, per esalare il fastidio della propria anima. E così gli uomini minuti buttano fuori tutta la loro meschinità e si trasformano, miracolosamente, in quei “poveri di spirito” a cui Cristo ha promesso il regno dei Cieli.
Però a me non piace irregimentarmi dietro le processioni. Mi mette malinconia. Ma spero che, malgrado questa mia ripugnanza, Dio non mi rifiuti l’ingresso nella sua reggia sfavillante di verità; mi farà entrare magari dalla porticina di servizio perché io possa… vedere.


10 luglio
E così anche la Sicilia se ne sta andando. Lo sbarco così fulmineo e praticamente incontrastato ci ha lasciati sbigottiti. Dunque la nostra flotta non esiste più. Dunque essi potranno sbarcare quando e dove vorranno secondo le loro necessità. Sempre più addentro penetra la lama della giustizia nelle carni della nostra nazione. Già Pantelleria era stata una capitolazione troppo rapida, ora la invasione della Sicilia si delinea inevitabile. E quel dissennato continua a fare discorsi sconnessi. Tutti hanno voluto darsi alle esercitazioni retoriche in questa tragica vigilia. Prima Delcroix: un bel discorso invero, ma… un discorso. Parole che avevano suono gradevole e anche dignitoso. Ma parole. Non un programma, non una meta, non un indirizzo di orientamento. Bisogna rassegnarsi a morire con dignità.
Poi… Gentile col suo gonfio e vano chiacchiericcio: uno studente liceale che vuol prendere otto nel componimento di maturità classica. E nessuna forza, nessuna logica, nessuna persuasione costruttiva.
In ultimo lui, l’abbietto, sconsiderato responsabile, che blatera a vanvera, ritagliando frammenti vecchi dei suoi antichi discorsi. Vive di rendita il parassita, anche in fatto di retorica! E intanto Dio fa penetrare sempre più a fondo nelle nostre carni la lama della sua giustizia: scava sempre più giù, ma ancora infetta è la piaga: il marcio è penetrato tanto in profondo, che la cura deve essere spietata nella sua devastazione. Quando, Dio mio, finirà questo martirio?


20 luglio
Sono stata al Cimitero per vedere se hanno colpita la tomba dove giace mio padre. Non mi hanno fatto entrare. Ma le bombe devono averlo devastato, il Verano. Si intravedono gli sconvolgimenti attraverso i cancelli. Ho tentato di arrampicarmi su una breccia del muro di cinta diroccato, ma i guardiani mi hanno spinta indietro. Sono stati cortesi e anche pietosi, ma inflessibili. Deve essere orribile quello che non ci vogliono far vedere. È chiaro che per colpire un obiettivo si semina la distruzione per un raggio larghissimo tutto dattorno. E loro dovevano colpire i trasporti ferroviari. Sono nel loro diritto. Ma, dio mio, perché abusano tanto di questi loro diritti?
La sorte dell’Italia è veramente spaventosa: su di lei si rovescia inflessibile il contrappasso delle sue stolte minacce. E in questa tragedia c’è anche una nota di ironico grottesco.


22 luglio
Se questa gente fosse capace di soffrire in silenzio! Si proverebbe allora pietà e fratellanza, ci si piegherebbe affettuosamente sul loro male, nel quale vedremmo rispecchiato il nostro. Ma con i loro biliosi lamenti, con questo continuo protestare contro il dolore, come se fosse un peso da gettarsi soltanto sulle spalle degli altri, si prova piuttosto ripugnanza e disgusto. Che cos’è tutta questa indignazione, perché una volta tanto la sciagura si è rovesciata sulle nostre teste? Non blateravano loro stessi poco fa di non so quale umanità nella fulminea stoltezza della guerra totale? Non hanno essi stessi creato canzoni di ributtante cinismo per sbeffeggiare gli inglesi asserragliati nei rifugi mentre la loro capitale veniva devastata selvaggiamente tutte le notti? E queste canzoni facevano imparare ai nostri fanciulli, i cui canti mi riecheggiano ancora nelle orecchie. Invano io li pregavo allora di tacere. Chiamavano il mio debole sentimentalismo. E adesso che si è rovesciata su di noi l’ondata inesorabile della retribuzione, con tutta la logica spietata della nemesi storica, adesso osano sdegnarsi contro la barbarie e la brutalità del nemico! Meglio sarebbe che tacessero accettando con dignitoso riserbo, meglio sarebbe che fingessero di non sentire i colpi crudeli. Solo in tal modo il dolore riuscirebbe a purificarli, lavandoli finalmente dalla macchia del loro passato. Ma non potrà mai sollevarsi neanche soltanto un metro dal fango la loro bassezza morale. Solo il popolo ha saputo trovare la strada giusta, questo povero popolo sventurato, che soffre sgomento senza inveire o, se pure ha inveito, è contro di loro, i veri responsabili, che ha lanciato la sua accusa e la sua maledizione. Violento lo sdegno del mio fornaio, che balbettando terribilmente per l’emozione, imprecava contro colore che avevano lasciato tanta povera gente a pochi passi da così pericolosi obbiettivi militari senza un rifugio antiaereo, senza una difesa qualsiasi.
Ma il popolo in complesso ha accettato senza ribellione: egli sa che la storia sceglie gli innocenti come olocausto purificatore. E Dio, nella sua misteriosa saggezza, permette, inflessibile, se non impassibile. Dalle parole del Papa si sente gemere la sua desolazione per l’impotenza a cui si vede condannato. Il processo della liberazione è lento e penoso, tanto più lancinante, quanto più strettamente avvinceva la vecchia prigione. Ma noi ci libereremo, proprio attraverso tutta questa sofferenza ci libereremo dal nostro peccato, tutti insieme, colpevoli ed innocenti, tutti, perché tutti abbiamo permesso allora che il peccato fosse commesso.


mezzanotte del 25
Il fascismo è caduto. Il cav. Benito Mussolini ha rassegnato le sue dimissioni e il Re lo ha liquidato.
Tristi ore si preparano ancora per l’Italia. La guerra continua. l’invasione siciliana è in sviluppo: i combattimenti delle città proseguiranno ancora spietati. Ma solo questo sentiamo stasera. Il fascismo è crollato. Mussolini non è più altro che un vecchio cavaliere in ritiro!


27 luglio
Comunque vadano le cose, quella di ieri è stata una ridente giornata. E l’Italia in agonia si è sollevata con un respiro di liberazione e tutti ci siamo guardati in faccia con un sorriso di fraternità. I soldati sfavillavano di soddisfazione, i ragazzi senza divisa, scamiciati e spavaldi, sembravano più belli e più vigorosi. Le carceri sono state spalancate ai prigionieri politici. Qualunque sia l’esito di questa disperata reazione, noi saremo riconoscenti a chi ci ha saputo donare la gioia di questa conquista o, se vogliamo, di questa illusione.


9 agosto in biblioteca (e seguenti)
Sono venuta presto e rileggo i colloqui di Mussolini con Ludwig, per puro scrupolo di onestà. Ma, è inutile avere scrupoli: quell’uomo è odioso e meschino, è sempre stato così. Quanto più intelligente e multiplo risalta lo spirito di Emilio Ludwig in suo confronto! Sembra quasi che in quel suo ripetuto insistere sui grandi modelli della storia vi sia dell’ironia e forse un po’ di caricatura per il piccolo uomo presuntuoso che si trova di fronte. Malignità ebraica! Mussolini però non avverte nessun trabocchetto: egli è gonfio di sé. Con borioso candore risponde alla maliziosa domanda di Ludwig: “Accetterebbe Ella la parola conclusiva di Napoleone: ‘che ballata fu la mia vita!’”
“Meraviglioso.”
Eccoli questi grandi uomini: dei poveri romanticoni vanitosi.
E dunque è inutile preoccuparsi di averli spazzati via. E sarebbe meglio che i ragazzi non li idealizzassero, adesso, nella sventura. Penso al mio giovane Scimonelli, con cui tanto ardentemente ho discusso tutto l’inverno durante le nostre lezioni: chissà come piange ora sul suo grosso feticcio infranto!
E qui intorno a me serpeggia tanto malumore e scontento e risentimento. Tanta confusione.
Si comincia a bisbigliare: “Forse era meglio prima.” E invece non è vero: non lo credo assolutamente. Nelle convulse e inaspettate dimostrazioni dei primi giorni risaltava una frase scritta sopra le mura: era singolarmente espressiva: “è finita la carnevalata tragica. Ora ciascuno si presenta con il suo vero volto”. Ed è la verità. A questo in fondo è servito l’inaspettato svolgimento che l’Italia, terra dell’imprevisto, ha compiuto sull’orlo della sua tomba. Ha espresso tanti volti diversi con le fisionomie più svariate. Non si credeva di essere in tanti e soprattutto di essere così differenti. Noi antifascisti ci eravamo serrati in un gruppo ostinato, sornione, compatto, quasi monotono nell’opposizione: un gruppo negativo. Ora ciascuno esce fuori ad esprimere la sua vera personalità. Ci si rivela diversi. Ma ancora siamo ingranchiti dalla lunga immobilità e scricchiolano le nostre ossa sulle articolazioni recentemente svincolate. Perciò faticoso e disarmonico si compie il movimento. Speriamo che l’inerzia non ci abbia paralizzati per sempre. Però, mentre gli altri si irritano in questa buffa e pretenziosa maniera caratteristica degli anchilosati, io sento un fremito di tenerezza per tanta puerile incapacità. Sono sempre contro corrente. Tutti non fanno che vituperare questi disgraziati italiani, senza accorgersi che noi stessi siamo parte di loro, partecipi delle loro colpe, della loro invincibile immaturità, della loro infinita sofferenza. Ma intanto una cosa si rivela chiaramente: a nessuno in Italia importa più niente della guerra.
Tutti ne parlano come di un’esperienza estranea che sta per essere superata. E tutti vorrebbero pensare al dopo, tutti vorrebbero rimediare alle sue sciagure, come se fossero già terminate.
E questo è lo sbaglio grave, che l’Italia finirà per espiare ancora più dolorosamente. La guerra c’è ancora, pure se non la vogliamo, anche se facciamo di tutto per cacciarla via. Non è uno spettro che insiste a tormentare i nostri sogni, è una dura realtà che ci dovrebbe costringere a prendere provvedimenti. Ecco perché ho scritto quella veemente e forse impertinente lettera a [Luf..]. A volte questi giornalisti, che si gingillano con problemi troppo minuscoli e troppo generali, mi irritano terribilmente. Solo C. A. alza la sua voce appassionata, battagliera, intelligente, e pretende di essere illuminato e di poter illuminare. I puri si lamentano anche contro di lui: dicono che è incoerente, che a volte si abbassa a chiedere, promettendo fedeltà ad un governo di cui tutti sembrano insoddisfatti. Tutti gli intelligenti, o gli intellettuali, non gli umili, che hanno ancora bisogno di credere. Io non sono così umile e soprattutto sono piuttosto sospettosa verso questi accentratori, che non vogliono essere controllati; però anche io ho ancora bisogno di sperare: forse è assurda, irrazionale, puerile la mia speranza, dopo tante delusioni, eppure una cosa è assolutamente certa: dopo il 25 luglio la mia speranza, il mio amore accanito per questa Italia dilaniata, si è improvvisamente moltiplicato. È come un fuoco soffocato, a cui sia stata immessa una corrente d’aria: è divampato.


Chianciano, 15 agosto
Però questi ufficiali superiori sono veramente stupidi nella loro boria, ed il loro effimero successo li rende ancora più insopportabili.


8 settembre (a Roma)
Ecco l’armistizio, che è poi molto probabilmente la guerra alla Germania. I miei sogni antichi si sono realizzati. Chissà perché ho pianto così disperatamente quando ho appreso la notizia dalla radio, in quella sudicia latteria di Prati. La gente fremeva di contentezza al primo annuncio, quasi non osava credere che fosse vero.
Temeva che fosse un trucco, come per quella strana notizia della morte di Hitler che si sparse improvvisa per Roma il giorno dopo il colpo di stato di Badoglio. Ma questa volta invece era vero. l’armistizio era stato segnato e il popolo ha avuto un respiro di sollievo. Ho visto alcuni soldati giovanissimi, figli di italiani all’estero; eran quasi bambini, arruolati recentemente, ma da tanto tempo lontani dalle loro famiglie. “Finalmente, avremo notizie da Malta!” ha esclamato giubilante uno di loro.
Malta è un’isola così vicina al territorio nazionale e per anni tagliata fuori, come un luogo straniero e remoto. Poveri ragazzi! Si sono fatti uomini sotto l’incubo della guerra, imprigionati dalla sua tirannica assurdità. Ora volevano andare in chiesa e pregare.
E intanto io li ho pregati di non provocare i tedeschi. È strano come stasera io provi per loro tanta improvvisa pietà. Restano soli nella lotta ormai quasi disperata e saranno inseguiti come belve inferocite. Tutti ormai li hanno isolati in questo odio istintivo contro la loro brutalità. Forse a loro serviva il consenso italiano: era come la dimostrazione che non fossero allucinati. E invece adesso gli italiani li attaccheranno con tutto il risentimento di un’oppressione troppo a lungo sopportata nella legalità.
Ed io provo per loro tanta dolorosa compassione. Vorrei che li lasciassero andare fuori silenziosamente, indisturbati.


9 settembre
Pietà e compassione per loro sono le mie ultime emozioni di ieri sera. Ed oggi ci attaccano con tutto il rabbioso furore della loro malvagità. Hanno aggredito i nostri ragazzi nelle campagne e li hanno sfregiati. Si precipitano contro il capo sanguinante dell’Italia, per impedirle di riprendere fiato e di cominciare a medicarsi le sue ferite. E noi non gli domandiamo che di lasciarci morire in pace! Badino però a loro stessi. Anche la Risurrezione è possibile per miracolo di Dio. E le forze dei risorti possono aver attinto energie prodigiose dalle sorgenti dell’eterno mistero.


12 ? settembre
L’Italia è morta nell’ignominia. I generali hanno tradito, i soldati hanno abbandonato le armi, il governo sembra volatilizzato. Solo il popolo convulsamente si è ribellato contro quello che ha istintivamente riconosciuto come il vero straniero. Ma gli è mancata ogni organizzazione. E la sua protesta è stata isolata e individuale. Non ho più la percezione del tempo, non so più in che giorno si viva, né quante ore sia durata la tensione disperata ed inutile. Sento soltanto una grande, profonda vergogna, ed il crollo definitivo delle mie ostinate speranze.
Sono state ore spaventose come quelle dell’agonia di mio padre. Anche ora, come allora, non volevo, non potevo ammettere che dovesse morire. E invece la morte è la più certa ed universale di tutte le realtà umane.


16 settembre e seguenti
Bisogna che metta finalmente ordine in tutta questa confusione. Che cosa è veramente successo? Che cosa è veramente perduto? La mancanza di notizie ha reso questi avvenimenti ancora più spaventosi. Ed oggi io mi domando se in tutte le epoche i contemporanei dei grandi avvenimenti storici abbiano avuto questa umiliante sensazione di non capire che cosa stia succedendo. Almeno i contemporanei anonimi, come siamo noi.
La ridda delle notizie contraddittorie ci ha fatto sbalzare da vertici di entusiasmo ad abissi di depressione. Mentre M. mi telefonava che i tedeschi erano giunti al Colosseo, una voce improvvisa annunziava che camionette americane avanzavano da ponte Garibaldi tra le acclamazioni della folla. B. mi telefonava giubilante che un giornale, uscito non si sa da dove, comunicava entusiasta che i tedeschi erano stati sanguinosamente respinti, ed io avevo in casa due granatieri disfatti dal furioso combattimento di S. Paolo. Attaccati alla Ceccignola, mentre si abbracciavano felici di ritornare a casa, un’ora dopo la notizia dell’armistizio, si erano visti circondati di compagni uccisi, quasi prima che si accorgessero di quanto stava succedendo. Eppure si erano rialzati e li avevano respinti. Ma il nuovo attacco era venuto ben presto, anzi non proprio un attacco: i tedeschi avanzavano con bandiera bianca, chiedendo che fosse loro concesso di procedere verso il nord. Ma poi si avventavano sull’ufficiale che si era presentato a parlamentare e la mischia si riaccendeva, i loro mezzi apparivano superiori, ma ancora i granatieri riuscivano ad arginarli, quando videro improvvisamente avanzare una colonna di carri armati: sentirono moltiplicarsi le forze e salutarono gioiosamente i… soccorsi. Ma i carri armati si accostarono fino alle prime linee per poi rivoltarsi ed assalire alla schiena i granatieri protesi nello sforzo supremo. Erano i mezzi motorizzati dei battaglioni M. La disperazione inondò gli animi dei granatieri e dissipò le loro ultime forze. Un odio sordo e impotente addentò i loro cuori generosi, mentre si disperdevano per le vie della città. Fuggivano, per non vedere lo spettro del tradimento fraterno, cercando disperati il soccorso di persone amiche. Due di essi si sono rifugiati da noi: uno ci era sconosciuto, l’altro era un nostro caro amico: il nipote dell’attendente di papà, che aveva combattuto al suo fianco in Libia e nella guerra mondiale. Li abbiamo rivestiti con gli abiti borghesi di papà, che stavano religiosamente riposti nel suo armadio. Un altro soldato smarrito, uno studente siciliano, abbiamo raccolto sfinito dalla stanchezza per la strada. Anche lui abbiamo nutrito e vestito in borghese e lo abbiamo fatto dormire nella stanza di papà. Sono tutti terrorizzati: temono che i tedeschi li vogliano trascinare a combattere o a lavorare per loro. E si aggrappano alle famiglie sconosciute invocando la loro protezione. Sono sfiniti, affamati, disarmati, ma non vogliono tornare nelle loro caserme. Tutta Roma ha spalancato le porte per ospitarli e le case private si sono improvvisamente riempite di soldati. È l’ultimo disperato tentativo di solidarietà nazionale. Ma potrà forse giovare ancora a qualche cosa?
Eppure la vita cittadina ha continuato con ritmo regolare. Non ci sono stati saccheggi; alcuni negozi hanno distribuito regolarmente i generi alimentari. I giornali sono usciti spontaneamente e hanno mantenuto lo stesso tenore antifascista dei giorni precedenti, come se i tedeschi non stringessero in un cerchio di ferro la “città aperta di Roma”. L’articolo di Corrado Alvaro era al solito per tre quarti censurato, quello di Bergamini imperturbabile e dignitoso. Sembra che vogliano escludere la violenza della realtà, disconoscendola. Sperano forse di neutralizzarne l’efficacia. E tutti aspettano con tensione disperata l’arrivo degli anglo-sassoni. Quegli astuti volponi sono riusciti meravigliosamente a capovolgere la situazione. Sono davvero, da tutti ormai, considerati i liberatori. Ed anche io, malgrado il loro successo e la nostra rovina, malgrado la loro astuzia ed il loro egoismo, li attendo ancora come i soldati della mia causa, per confondere finalmente la mia attività nella loro azione.

24 ottobre
domenica
Da quanti giorni siamo sotto la loro oppressione, in attesa di questo miraggio di liberazione, che sembra a volte quasi il baleno di un’allucinazione! E lo spasimo della tensione si fa in noi sempre più doloroso.
Eppure sono contenta di avere direttamente provato questa penosa, sfibrante esperienza. La loro occupazione è più disgustosa di quanto io immaginassi: li credevo brutali, violenti e primitivi, ma era questa una concezione generica, ben diversa dalla realtà. Invece sono subdoli, astuti e diabolicamente metodici nel rendere legittimo, anzi legale, l’arbitrio più mostruoso. E per questo sono pericolosissimi. Riescono a paralizzare gli oppressi in una strana sensazione di impotenza terrificante, che impedisce la reazione. Come se essi fossero un diluvio o una pestilenza, un cataclisma imperscrutabile della natura, finiscono con l’essere accettati. Ma nella stessa maniera sono istintivamente, irresistibilmente odiati; e, come per gli sconvolgimenti della natura, si ha una sola speranza, che è poi assoluta certezza: prima o poi passeranno. Tutto sta nel sapere attendere e resistere con accanita risolutezza alla loro furia devastatrice.
E questa resistenza sotterranea si sviluppa con progressiva energia. Al primo urto si resta pietrificati: ti hanno persuaso che tu sei privo di forza in loro confronto, e tu taci, disgustato dalla tua propria invincibile incapacità. È quello che essi prendono per dimostrazione della famigerata superiorità razziale, pretesa dalla massa germanica. E i più deboli, i corrotti, gli impuri, rimangono definitivamente suggestionati: essi li aggiogano al loro carro trionfale e credono in tal modo di avere disfatto un popolo. Ma gli individui vitali si riscuotono ben presto ed iniziano il processo di autoliberazione dalle incrostazioni delle vecchi e nuove meschinità morali. Si liberano dalle scorie; divengono più agili e asciutti; iniziano, sorda e implacabile, la lotta di tutti gli istanti, che dovrà purificare loro stessi e minare il terreno sotto i piedi dell’oppressore. È quella che i tedeschi chiamano con un curioso vocabolo “resistenza passiva”, quella che essi perseguitano con cieco livore, che inseguono con furioso accanimento, ma che non riescono mai ad afferrare né a identificare, perché è dovunque e in nessun luogo, è una realtà, è una forza combattente, ma non può essere inquadrata. E da questa misteriosa ripresa i tedeschi saranno ovunque sconfitti: perché è loro destino, che non riescano a sconfiggere quelle forze, che non sono capaci di catalogare.
Combattere questa lotta di resistenza è affascinante e avventuroso, dà alla vita un sapore di fanciullezza che da lungo tempo era a noi sconosciuto.
Si sprigiona dalla nostra delicatezza una vitalità insospettata, che zampilla di buon umore. Mentre lo spettro maligno della guerra perde il suo ghigno bieco e sanguinario, di fronte all’eccitazione vibrante del gioco pericoloso. E si prova rincrescimento soltanto perché si teme troppo leggero il rischio, troppo lontano il pericolo. Mai come in questo momento ho sentito la nostalgia di non essere nata uomo: l’avventura di una vita libera e rinnovata mi fruscia vicino con il battito di un’ala che fugge fuori dalle angustie del nido; mentre mi sento costretta a rimanere qui, sulla terra, a contemplare di lontano. Mi è concesso soltanto di sciogliere pazientemente i legami che lo potrebbero inceppare, attenta a impedire gli agguati, che pretendono di intercettarlo.


27 gennaio ’44
Bisogna che io cerchi di mettere un po’ d’ordine in tutto questo scompiglio. Prima che accada l’inevitabile, io voglio raccogliere le fila di questo intrigato groviglio, per tentare di vederci chiaro. Avrei voluto prima di riprendere a scrivere, far passare questo liquido spumeggiante della mia passione attraverso il filtro chiarificatore dell’intelligenza obbiettiva. Desideravo avere una conversazione con il fratello di B. ma i contatti sono ora impediti da questo diabolico coprifuoco. Le distanze ci disperdono; i mezzi di comunicazione divengono imprendibili nel pomeriggio e l’isolamento è praticamente in atto. Non ci resta che raccoglierci in noi stessi e cercare almeno di capire, se non di dominare, la situazione. Tutto questo tempo l’ho trascorso nel silenzio interiore: tutta la mia attività dilagava all’esterno ed io non mi consentivo il raccoglimento. Raccogliersi vuol dire meditare e dalla meditazione si passa all’autocritica, che può paralizzare l’azione. Specialmente questa nostra azione disperata che sembra sempre destinata ad arenarsi nei punti morti dell’incomprensione reciproca. È la tipica eredità che ci ha lasciata il fascismo, come una maledizione, dal suo letto di morte, questo fatale, assurdo, invincibile non capirci a vicenda. Perciò non riusciamo ad aiutarci, non possiamo, con la nostra attività, che accrescere le nostre infinite miserie. Eppure per tutto questo tempo, e ancora domani, quando mi sia domandata, non ho voluto rinunciare ad offrire la mia attività. A chiunque me lo abbia chiesto ho cercato di offrire il mio appoggio fraterno, anche se dentro, il più delle volte, un profondo brivido di disgusto mi avvertiva che questo mio sforzo era inutile, che non aiutava nessuno, che si impuntava sulla corteccia infeconda dell’egoismo individuale. La stragrande maggioranza delle persone ha pensato unicamente, in questo lungo periodo di vigilia, soltanto a salvare se stessa. Gli appelli che ci vengono rivolti sono le grida spasmodiche ed isteriche dei naufraghi di una nave distratta, i quali a tutti i costi non vogliono affogare. Non gliene importa niente di salvare la povera nave squarciata, non pensano alla possibilità di raggiungere una imbarcazione più solida per procedere al salvataggio di quanto non è ancora perduto; una sola cosa pretendono: non vogliono assolutamente morire. Per questo, per questo soltanto essi lottano e gridano e invocano e pregano aiuto.
Forse tale fenomeno è l’indice più eloquente della insopprimibile, profonda vitalità, quasi direi animalesca, del popolo italiano; ma questa constatazione non mi conforta affatto, anzi mi infligge una sofferenza scottante, che è intessuta di vergogna.
Ma bando alle recriminazioni. Non devo assolutamente lamentarmi, devo cercare di vederci chiaro.
E forse è meglio riprendere dalle origini le file degli avvenimenti, che mi hanno casualmente sfiorato, per cercare di risalire alle cause determinanti.
Tre sono gli episodi più significativi in cui mi sono trovata impigliata; tre drammi che ho cercato di dominare e che mi sono sfuggiti, che mi stanno sfuggendo, precipitando a volte nella tragedia.
Primo il fatto per me più umiliante e doloroso: la fine ancora misteriosa del mio giovane alunno Sc.
Venne da me l’anno passato a chiedermi lezioni di latino: era un giovane ridente e vigoroso, scarso di intelligenza e perciò molto presuntuoso ma non arrogante, né volgare, come tutti i giovanissimi usciti fuori dalle mani del fascismo. Era cortese e servizievole ed ascoltava, o almeno sembrava ascoltare, le parole delle persone adulte. Ma niente penetrava in lui, ché l’avevano reso fanatico. Non le idee lo avevano esaltato, ché era incapace di averne di definite e chiare; le persone si erano impossessate della sua anima, mediante uno strano processo, di cui mi sono sempre sfuggiti gli elementi. Due cose lo avevano persuaso: il successo ripetuto di certe forme di brutalità e il disgusto contro la viltà palese della stragrande maggioranza dei suoi coetanei. Cose queste reali e indiscutibili.
Voleva studiare in fretta per liberarsi dagli obblighi scolastici e per andare a combattere sul serio. È forse l’unica persona in Italia che io abbia veramente vista desiderosa di battersi in questa guerra. Disprezzava la cultura e la religione; riteneva il fascismo una grande idea che non era stata capita in Italia; giudicava Farinacci un puro e Mussolini un incompreso tradito. Ho faticato a lungo per tentare di raddrizzargli il cervello, di far penetrare una scintilla almeno di verità in quella sua testa offuscata. Sono riuscita soltanto a fargli imparare il latino, ma la fibra del suo carattere ha resistito testarda a ogni forma di persuasione, a ogni tentativo di ragionamento. Anzi, debbo proprio confessarlo, la mia opposizione è forse servita a indurirlo di più nella sua resistenza, quasi che per contrasto volesse mostrarmi la vigoria della sua convinzione. Erano momenti duri quelli e pericolosi per gli antifascisti: egli avrebbe potuto accusarmi con delazione, come gli avevano insegnato; non lo ha fatto: anzi dal nostro contrasto sembrava crescere il suo rispetto e, in un certo senso il suo attaccamento. Vennero le giornate di luglio e poi di settembre ed egli scomparve. Io quasi lo avevo dimenticato, quando mi giunse una sua cartolina dalla “zona di combattimento”: così diceva. Era nei battaglioni M. Poi mi venne a trovare, in divisa, per narrarmi le sue prodezze: dopo il 25 luglio lui e i suoi […] si erano rifugiati presso l’esercito germanico che li aveva tenuti nascosti e preparati per la riscossa; l’armistizio aveva confermato il sospetto del tradimento; avevano subito ripreso le armi per combattere i badogliani e scovare i giovani che si sottraevano agli obblighi militari. Fui disgustata dalle sue parole ma più che altro dal lampo malvagio di belva che guizzava già nelle sue pupille. Eppure cercai ancora di oppormi alle sue stolte affermazioni, di piegarlo al ragionamento. Inutile: era impenetrabile. Eppure restava deluso: pretendeva la mia approvazione. Lo congedai con molta durezza e con invincibile disgusto. Poi ebbi contatto con persone che lo conoscevano. Persone dei miei stessi principi, che lavorano per la mia medesima causa. Li trovai, per quanto cristiani, stranamente duri, crudeli contro questo fanciullo. Avrebbero preteso da me cose che mi ripugnavano. Ma il ragazzo era partito fortunatamente. Intanto i nostri uomini venivano insidiati e perseguitati, costretti a operare di nascosto, a combattere alla spicciolata.


6 febbraio
Giornate dure e nere. La testa di ponte di Nettuno sembra bloccata, gli alleati potrebbero essere respinti. Si è circondati da un silenzio opprimente, che non è calma, ma soffocazione. I giorni scorsi giungeva fin qua, con chiarezza, il tuono della battaglia e noi lo avevamo battezzato la “voce di Londra” e lo salutavamo festosamente. Ora invece è sparito nella lontananza.
E intanto qui la situazione diviene sempre più angosciosa. Fucilazioni, arresti, razzie di uomini e di ragazze. Gli uomini, nella migliore delle ipotesi, son trascinati a scavare fosse per le mine, le donne a rattoppare indumenti o a lavare stoviglie per i conquistatori. E i maledetti fascisti che imperversano, corrotti, brutali, vigliacchi, genia perversa ed abbietta, peggiore di qualsiasi altra calamità.
Stamattina, quando siamo andati in giro per i consueti approvvigionamenti, abbiamo trovato i nostri fornitori stravolti. Un sedicente agente di “Pubblica Sicurezza” li aveva ricattati: o versavano 5000 lire o li denunciava come agenti del “mercato nero”. Si sono spaventati: hanno solo tentato di contrattare: si è contentato di 2000 lire. Giunta a casa, ho ricevuto un’altra… buona notizia. La nostra casa di campagna è stata saccheggiata: i ladri hanno vuotato armadi e cassetti: siamo senza più viveri di riserva. I contadini ci danno l’annuncio con rispettosa premura; ma tutto lascia supporre che siano stati loro stessi gli autori della grande prodezza. La giustizia non esiste più: bisognerebbe farsela con la forza e noi siamo donne, deboli e, purtroppo, spaventosamente incapaci ad imporre il nostro diritto.
Si sente davvero bisogno che venga costituita una nuova “Cavalleria” come nel medioevo, che sembrava leggendario.
La mancanza dell’acqua è davvero una triste cosa: paralizza ed umilia, è più fastidiosa di qualsiasi altra punizione. È strano come questa guerra ci imponga, gradino per gradino, le esperienze tutte della più squallida miseria. È come se ciascuno di noi si trovasse a vivere miracolosamente concentrate, le esperienze di vita più svariate e tanto diverse da ogni probabile sopraffazione.
Nella resistenza a questa povertà dura e progressiva, nel superamento di questa prova inaspettata, noi mettiamo una specie di orgoglio, [di punto d’onore], quasi a mostrare la fibra del nostro carattere e la capacità delle nostre risorse. Ma questa mancanza dell’acqua davvero demoralizza: lo spettro del sudiciume è, fra tutti, il più pauroso.
L’acqua è tornata: siamo stati fortunati; nel nostro quartiere è mancata soltanto per pochissimi giorni. Mi sembra tutto più sopportabile; quasi gaia mi si presenta questa mattinata di sole. Di nuovo la speranza tenta di rifiorire al profumo di primavera. Forse riprenderanno l’attacco di Cassino, forse riusciranno finalmente a sfondare. Indicibile è la nostra impazienza, quasi angosciosa questa aspettazione, che è condannata sempre a rimanere delusa. Chissà per quale strano capriccio della sorte ci troviamo noi, italiani, così eccitabili ed impulsivi e impazienti, ad avere legate le nostre vitali speranze con la flemmatica ponderatezza di questi misteriosi anglosassoni. Eppure quando penso che essi attaccano, falliscono, riprendono, insistono, frenano, muoiono […] contro quelle montagne che sono le nostre, che noi avremmo dovuto imparare a difendere dal brutale egoismo dei nostri cosidetti alleati, quando li immagino così disadatti alla lotta eppure così tenaci e risoluti, sento risorgere verso di loro quella mia antica profonda tenerezza, che i ripetuti loro successi avevano quasi raffreddata per un attimo o almeno intorpidirla.
I fatti di via Rasella sono stati veramente atroci e spaventose le conseguenze. Tanti innocenti sacrificati sul perfido altare dell’odio germanico. Nella mia stretta cerchia di conoscenze quattro o cinque persone sono rimaste uccise: non siamo neanche sicuri, perché gli assassini conservano gelosamente il segreto sul nome delle loro vittime. Serpeggiano notizie terrificanti sui particolari del misfatto orrendo. Già la fantasia popolare si viene impadronendo dell’avvenimento e lo trasfigura nella leggenda. Le anime semplici fanno giustizia inesorabile con le armi dello spirito contro le malvagità grossolane della materia bruta. Ma ancora, come sempre, quelli che mi disgustano maggiormente sono le persone rispettabili.
Con la loro acquiescenza pavida e meschina non fanno che deplorare il forsennato parossismo degli esaltati “delinquenti”. Loro sono i colpevoli, perché hanno provocato; i tedeschi, purtroppo non hanno fatto che applicare la legge di guerra. Si sa, è necessario: 10 per uno: è la fatale logica della necessità marziale nei territori occupati; non c’è in guerra la decimazione? Bisogna starsene tranquilli tranquilli, per non dare nell’occhio, pensare soltanto ai propri interessi.
Così vanno mugulando, questi vermi maledetti e allora mi sento invadere da un furore forsennato ed anche io, che ho tanto orrore della violenza, anche io prenderei uno […] di gelatina per spazzare quelle loro vuote eppure durissime teste.


Lunedì dell’Angelo,
10 aprile
Oggi una giornata meravigliosa è fiorita improvvisamente dalla pioggia fitta e penetrante di ieri. Oggi si sente finalmente nella natura un palpito di Resurrezione. Non so perché, è forse l’eccitazione del desiderio, ma mi sembra di sentire che avvenimenti decisivi si stanno approssimando. Non può essere che duri ancora a lungo; dio finalmente avrà compassione di noi. Ieri mi sentivo angosciata ed oppressa da tutte le spaventose notizie che avevo ricevuto. I nostri compagni, con cui avevamo lavorato insieme con tanta sorridente semplicità, sono stati spazzati via dal “loro” diabolico” parossismo. Ricordo la figura cordiale e sicura di [Ap.]: aveva un suo modo particolare di affrontare le situazioni più aggrovigliate e di semplificarle, col sorriso furbesco ed ironico dei suoi occhi chiari, con la vigoria composta e naturale della sua persona. Io, che non sono capace di mentire senza confondermi, trovavo facilissime tutte quelle strane bugie, che dovevano salvate tante creature innocenti. E mi sembrava un gioco divertente e puerile. Ma lui sentiva che la tragedia gli si avvolgeva attorno, come cerchi concentrici di una spirale inesorabile che avrebbe finito con lo stritolarlo. Ma accettava in anticipo, con ironica bonomia, né interrompeva la sua opera generosa. Soltanto contro tutti loro, i tedeschi, si rivelerà inesorabile. A nessun costo volle aiutare quella povera ragazza ebrea, così abbandonata e smarrita, proprio perché era “anche” tedesca. Ed io provai contro di lui, allora, quasi del risentimento, tanto mi faceva compassione quella povera creatura senza bellezza, ricacciata da tutti, esiliata dal suo popolo forsennato, sospettata e respinta dai nostri per una ripugnanza istintiva contro coloro che comunque erano i suoi fratelli.  Mi sembrò un’ingiustizia allora, e forse lo era in realtà, ma ora provo verso di lui una così profonda comprensione per quel suo primordiale, quasi animale presentimento.
E tanti altri sono stati travolti dal “loro” cieco furore, dalla rabbia bassa e meschina di chi, incapace di farsi tollerare, impotente ad imporsi con la tranquilla sicurezza di una forza effettiva, pretende di stritolare con la violenza la reazione progressi va ed irresistibile della dignità umana. Ma cadono sempre i migliori e si sente tanta paura che i vuoti restino incolmabili. È vero che in noi le forze si moltiplicano dopo ogni percossa, ma a volte mi prende una strana paura: che proprio le energie dei più generosi debbano esser sommerse e servire quasi di concime alla subdola e cupida attività dei profittatori? Mazzini diceva: “il sacrificio non è sterile mai”. Ma io ho paura della retorica.


[Foglio separato, s.d.]

1) Hjalmar Gullberg
Han som hade Ledigt
Una sensazione strana mi prende quando svolto dall’angolo della strada.
Che cosa accade propriamente, chi sono io, perché vado qui? (per questa strada). Una pioggia lieve cade, io tiro su il bavero della mia giacca.
Vedo signori con cartelle che si aprono la via tra la folla, tutti hanno l’aria di avere affari importanti da sbrigare, fuorché io.
Meccanicamente procedo avanti, tutto dilegua nella pioggia, contorni e colori svaniscono, tutto diventa irreale.
Attraverso il clamore che mi raggiunge come onde dal mare, sento una voce, da dove e di chi: “Da eternità a eternità dura il mio regno. Tutto il resto è un sogno, è senza senso! Vuoto e soltanto occasionale. Senza che tu sappia, o povera anima, ciò che questo significhi, vai a fare delle commissioni segrete per me. Io dovevo sceglier te, poiché tu eri l’unico che in tutta la strada per il momento eri libero.

Bo Bergman
Hjärtat
Il cuore deve germogliare di sopra, altrimenti è povero.
Vita, dacci pioggia che diluvi, vita dacci sole e caldo.
Così alla fine matura la spiga e con un ringraziamento a tutto. Andiamo verso il tempo della raccolta, malinconia e freddo d’inverno.
Descrizione estrinseca
Block notes 17x10,5 cm.
Numerazione
Numero:
6
Reference code
ITA FLLB AA.0001.0002UA.0006UD
Link esterni
Fondazione Lelio Basso \ Memorie al femminile la guerra e la Resistenza nei diari di Ada Alessandrini

Relazioni

Soggetto produttoreAlessandrini, Ada
Fondo di appartenenzaAda Alessandrini
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