Lazio'900
Memorie sul fascismo, sul nazismo, sulla guerra, sulle persecuzioni
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Documento
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Metadati

Tipologia
Diario
Data
Data:
04/06/1940-20/07/1940
Consistenza
Tipologia:
pagina/e
Quantità:
183
Contenuto
Trascrizione del diario manoscritto:

3 giugno (seguito)
Ma vorrei riprendere il ricordo delle giornate di Venezia, vorrei tentare di riafferrarle. Sono sfuggite così lontano! Quella sera sul vaporino incontrammo un giovane professore amico di Loretta: si è parlato ad alta voce con grande tranquillità: sembrava un tipo piuttosto calmo di temperamento e parlava con indifferenza quasi noncurante, senza appassionarsi, ma le cose che diceva mi sembravano ancora più efficaci, perché erano la constatazione obbiettiva di uno spirito intelligente, privo di passionalità. Dopo la discussione ardente avuta in casa B. quella calma impassibile mi confermava nella verità con sicurezza ed equilibrio. Tirava un vento freddo e penetrante, ma la laguna rima neva oscura e tranquilla, come un mistero che non ha bisogno di essere risolto.
Il giorno seguente era il 24 maggio e, al nostro risveglio, abbiamo avuto con Loretta quello strano pensiero ludico come una realtà. Forse era storicamente inevitabile che questa volta trionfasse la Germania, forse era storicamente giusto: essa che affermava se stessa con questa violenza inesorabile e presuntuosa, ma poi avrebbe capito anche gli altri, sarebbe andata loro incontro, sarebbe diventata umana. Ma noi dunque, noi italiani non saremmo stati che uno strumento per la sua grandezza? le saremmo serviti di sgabello per montare finalmente alla ribalta della storia? Siamo rimaste a lungo perplesse, senza riuscire a risolvere l’orribile dubbio, né a liberarci dal nuovo fastidioso pensiero. Quella mattina andammo al Lido con […] che balzava rapidissimo nell’acqua, pazzo di felicità. Sulla spiaggia una moltitudine di granchi ributtanti di tutte le dimensioni si affollavano dintorno al cadavere di una seppia. Qualcuno ha osservato “Sembrano il fascismo, che cammina a sghimbescio retrocedendo e si getta avido per divorare le spoglie dei morti”. È orribile! Da tanta viltà non possono nascere cose grandi, neanche grandi reazioni, purtroppo!


4 giugno
Questa sera discorsi ardenti con T. È tornata tardi con il viso gonfio ed eccitato: era rimasta due giorni con suo fratello, che è partito questa sera col reggimento. Per Ventimiglia, sembra e poi … destinazione ignota. Bisogna indirizzare al 52° reggimento, posta militare. Dunque diventerà un numero sperduto nel turbine misterioso della guerra. Ha detto che i soldati cantavano incoscienti, ma gli ufficiali erano tristissimi e abbattuti: andare a morire per una causa che ripugna e portare aiuto a coloro che si sentono nemici e già troppo forti e immensamente avidi!
Abbiamo letto il discorso del papa: nobile, preciso, alto ed eroico monito per questa povera umanità martoriata! Conforta leggerlo, ma quelle esortazioni severe alla pazienza e alla carità verso i nemici spaventano la nostra debolezza passionale, che si vede imporre sacrifici troppo grandi. Ricordo le parole di zio B. “Quando sarai capace di fare la comunione per Hitler, forse allora saremo vicino alla pace!” Mi sento però tanto lontana da questo eroismo: se andassi alla Comunione con questa intenzione temo che morderei l’ostia: non posso superare la mia ripugnanza, l’impeto istintivo del mio odio. Se fosse solo per la mia sofferenza, forse lo potrei perdonare, ma al pensiero che ha risucchiato l’Austria, oppresso la Cecoslovacchia, dilaniato la Polonia, spinto al sacrificio la Finlandia, invaso la Danimarca, martoriato la Norvegia, terrorizzato l’Olanda, schiantato il Belgio e che ora minaccia di frantumare l’impeto eroico della Francia e svelare la resistenza secolare dell’impero inglese, quando sento che sta prostituendo l’onore della mia patria strappandole la sua spiritualità e indipendenza, non riesco più ad avere pazienza.
Ma questa mattina ho avuto un grande conforto: nella sala dei professori abbiamo avuto una nuova lotta e questa volta non sono stata sola a battermi, anzi ho lasciato l’iniziativa a quel caro ragazzone di L. Nella sua schietta spontaneità, lui che aveva manifestato la sua ammirazione per le gesta di quei maledetti, ha espresso oggi la sua indignazione contro l’orribile azione che ci vorrebbero imporre: “Non importa più discutere sul passato – ha detto - ormai una sola cosa è certa: la nostra ripugnanza ad aggredire alle spalle la Francia che si batte disperatamente sulla Somme: sarebbe lo stesso misfatto compiuto dalla Russia contro la Polonia!” Ho sentito di volergli bene, mentre avrei voluto sputare sul viso di quel fantoccio di B., che asseriva di rimando come la realtà delle guerre sia soltanto la questione economica e l’interesse particolare: “Il resto non è altro che sentimentalismo”: le parole del “nobile” capo nei suoi discorsi clandestini, divulgati di nascosto, come se si vergognasse a renderli palesi.
Loretta mi ha dato un’altra buona notizia. Ha parlato con il suo direttore chiaramente ed egli ha taciuto, perché non sapeva che cosa controbattere e sembrava convinto, ma avvilito. E dire che l’aveva rimproverata della sua mancanza di fede fascista! Pare che anche il Commissario sia informato del nostro atteggiamento e ne abbia fatto parola a Gia: ma per ora nessuno ci punisce. Perché? Ma anche stasera vorrei cercare di riafferrare qualcuno di quei barlumi di ricordi di Venezia, che fluttuano nel vuoto privi di consistenza. Passeggiate in gondola per quei rii silenziosi e stagnanti, inframmezzate da visiti a chiese stupende, traforate di rilievi merlettati, illuminate dello splendore dei quadri divini. Silenzioso andare senza movimento, fuori del tempo e dello spazio, in un mondo incantato di atmosfere rarefatte, appena respirabili, pura di arte sognante e sovraumana: eppure la vita delle figure dipinte è più robusta e palpitante di questa nostra sensibilità cerebrale.
Un pomeriggio alle zattere, in un caffè presso la laguna. Mare o laguna? Non ricordo bene: era azzurro e limpido come mare, ma immobile come la laguna. Cielo variopinto e indefinito, sorridente sopra la navi mercantili che avrebbero dovuto rappresentare la laboriosità e il guadagno. Abbiamo incontrato il giovane con cui discutemmo a casa B.: ci è venuto incontro sorridente e amichevole.
Abbiamo assaporato insieme il gelato e il panorama incantevole: parlavamo languidamente, evitando con attenzione ciascuno di noi il noto argomento, perché non volevamo appassionarci: ci dispiaceva distruggere l’incanto della natura. Ma a poco a poco il pensiero assillante ci ha trascinato là, dove non volevamo andare, e ci ha costretto a riconoscere la sua realtà inesorabile: abbiamo lottato di nuovo, per quanto mi sembrasse che fossimo meno divisi. Ha detto in un certo momento: “anche se voi mi persuadeste, dovrei costringermi a pensare così, come si deve, come è necessario” Strano fatalismo incosciente e disperato!


5 giugno
Giornata tormentosa e agitata. Non riesco a trovar sollievo. Tutto fluttua confuso e convulsivo in me: non ho altra certezza chiara che la sofferenza. Anche Dunkerque è caduta e adesso cominciano a raccontare storie feroci della barbarie francese contro gli italiani, che credono spie. Assurdità di propaganda? Oppure violenza disperata di loro contro la nostra vigliaccheria? Ci odiamo dunque già a tal punto? Ne avrebbero il diritto; ma allora tutto ormai sarebbe finito, la scissione sarebbe definitiva e inesorabile. Ho discusso risolutamente con una suora aspra, alta e massiccia come un carabiniere. Era spietata ed amara contro di loro, senza un briciolo di carità.
La cena è stata silenziosa quasi: contenevo a stento la mia agitazione, cercavo di scherzare, ma l’umorismo aveva uno sfondo amaro. Gia era disperata per il contegno di G.: è stato vile e volgare per lei, senza l’ombra di sentimento. Crudeli sono questi nostri uomini disgustati e rassegnati: in questa vigilia di guerra senza onore hanno perso il senso della realtà e della delicatezza. Già i valori morali sono stravolti o soffocati: trionfano soltanto istinti bruti ed egoisti. Quanto abbiamo parlato della piccola Eluccia oggi con Loretta, cercando disperatamente di indagare il suo mistero, che ci appare e poi sfugge di nuovo! Dolore, soltanto dolore rimane per noi in questa Assisi così bella, ma così logorante.
Siamo fuggite stasera con T. per contemplare il cielo. Tante stelle nell’infinito e il mistero di Dio sospeso nel vuoto per eccitare la ricerca e placare il dolore: la sentivo diffusa in tutta la materia questa immensa divinità e sentivo la creazione infinita ed eterna come il creatore. T. invece ha ricordato la legge: Dio solo è infinito ed eterno, il resto è limitato da Lui. Ma io sentivo che Egli permeava il creato e lo faceva se stesso. Abbiamo ricordato che forse anche i combattenti vedevano quel cielo immenso ed allora avrebbero sentito spegnersi l’odio reciproco, ma avrebbero dovuto uccidersi ancora. Perché, mio Dio, c’è qualche cosa creato da noi, che supera la nostra volontà e ci tiranneggia? Deve essere il male, che, se non soggiogato, diventa tiranno e aguzzino.
Si sfaldano sempre più in questa tormentosa sofferenza i ricordi di Venezia. Le donne fiorenti del Veronese, [sazie] e lucenti di soddisfazione mi sembrano estranee e incoscienti, la ricchezza pomposa del palazzo ducale mi appare un’ironia per la fugacità della potenza. Solo Tintoretto con il guizzo agile delle figure scattanti mi sembra umano ed espressivo; e poi il Canal grande di notte, con i suoi palazzi evanescenti e fluttuanti nelle acque sembra […]  con il suo ricordo, perché non lo abbandoni, perché non lo lasci dileguare nel nulla.


6 giugno
Giornata stagnante di poco lavoro e di molta sofferenza. L’assistenza stamattina era snervante e quasi ridicola: i ragazzi dell’abilitazione facevano il tema di matematica e pretendevano sfacciatamente di copiare: era inutile tentare di impedirlo: la promozione è un diritto a loro riconosciuto per legge, che devono imporre a noi, ed è inutile resistere: la storia della cartolina di richiamati è uno sfruttamento manifestato apertamente, senza alcun pudore. E intanto non si entra in guerra ancora, ma si continua ad insolentire vilmente contro quegli eroi che con disperata ostinazione vogliono resistere malgrado tutto. Non leggo giornali in questi giorni, perché ho paura di sentire le orribili parole di scherno e di disprezzo contro quei popoli generosi. Faccio come quando ero bambina, che nascondevo il viso fra le mani e chiudevo gli occhi, quando volevo che gli altri non mi vedessero, facendo il gioco di rimpiattino. Ma non si evita nulla così; si vive soltanto male in un isolamento sempre più disperato ed assurdo.
Stamattina pensavo se tutto questo odioso e insensato comportamento dell’Italia non fosse infine un fenomeno di crescita: anche i ragazzi, quando diventano adolescenti e poi uomini, sono così spietati e volgari ed hanno il capo sproporzionato e sgraziato e il viso coperto di pedicelli e la voce falsa, né acuta né grave: sono nello stesso tempo un po’ buffi e un po’ disgustosi: è così anche moralmente. Ma Loretta ha osservato giustamente che non è possibile questo, poiché i giovani non cercano di giustificarsi perché crescono, anzi sono pienamente inconsapevoli dei fenomeni che li riguardano e non pretendono di essere aggraziati, gradevoli o gentili. Mentre i nostri tiranni vorrebbero dimostrare che la loro è umanità e giustizia, equilibrio e decoro. Già è partita stasera, per sempre. È strano come la nostra unione assisana si sfaldi insieme alla compattezza anglo-francese. Era fondata sull’amicizia e l’affinità, ma una fatale serie di avvenimenti ci distacca inesorabilmente e forse sarà per sempre. Siamo rimate Loretta ed io soltanto: siamo sempre state le più tenacemente congiunte e ci divideremo per ultime, ma ci separeremo presto. Poi … appena questo sogno di Assisi sarà scomparso, non crederemo neanche più che sia realmente esistito. Non sembrerà una cosa vera. E forse allora succederà la cosa peggiore, allora verrà la guerra e noi dovremo odiare coloro che così disperatamente amiamo, perché saranno loro ad uccidere i nostri fratelli, i nostri padri, i nostri amici.


7 giugno
Gocciano queste giornate ad una ad una con uno stillicidio lento e sfibrante. I soldati sono partiti, i manifesti si moltiplicano sui muri, gli esami procedono a ritmo rapido e vergognosamente condiscendente; ma la guerra non viene, o almeno noi non sappiamo che la guerra ci sia. E intanto i maledetti “puntano su Le Havre, Rouen e Parigi,  sommergendo gli eserciti francesi”: parole testuali dei nostri giornali  stampate in titoli cubitali. Leggo soltanto questi titoli odiosi che mi feriscono gli occhi passando per le vie, fermandomi nei caffè; ascolto appena brandelli di frasi che echeggiano violente dalle radio aperte a tutta voce, perché il popolo ascolti: e i poveretti, gli umili, gli uomini del lavoro pesante e materiale vi si affollano attorno, curiosi e avidi di notizie, ma non sembrano soddisfatti di quello che ascoltano, anzi si allontanano preoccupati sentendo il capo. Intanto questa attesa inutile e penosa sfibra le ultime energie che ci sono rimaste. la mia ribellione si stempera nella nausea; l’eccitazione dei fanatici si affievolisce nella delusione.
Ad Assisi i manifestini di propaganda per l’irredentismo della Corsica li hanno disposti in forma di croce uncinata. Cominciano a confondere anche i simboli, non sanno più quali appartengono alla nostra patria e quali siano stranieri. Vogliono liberare la Corsica dalla cosiddetta oppressione francese servendosi in un simbolo germanico! Orribile quella svanzica ariana volta a sinistra, che Hitler, nella sua fatale ignoranza, non ha riconosciuto come simbolo del male, ma che definisce magnificamente il nazismo: elezione di una razza trascinata inconsciamente a scegliere il suggello del male come proprio stendardo e a diffonderlo furiosamente per il mondo paralizzato dalla paura, mentre le forze del bene si oppongono quasi inermi di fronte alla sua travolgente bestialità. Fino a quando continuerà? Non sarà dunque più vinto? E che farà dopo il trionfo definitivo? Come potrà ricostruire, dopo tanto impeto di distruzione? Ci sarà ancora una forza dello spirito che potrà impiantarsi di fronte a tanta onnipotenza della materia? E come l’umanità e la natura potranno respirare sotto il ronzio automatico della macchina? Terribili domande, a cui sembra impossibile poter mai rispondere. E intanto sento le persone che mi circondano allontanarsi sempre più da me, senza che io possa comprenderle nella mia anima. Mi sento straniera in un paese che più non conosco e a volte mi sembra che mi si spezzino inesorabilmente tutti quei sottili legami che mi legavano alla mia patria. Povera Italia mia! Dovrà venire dunque il momento in cui non ti sentirà più palpitare nella mia sofferenza, in cui mi diventerai estranea? Con Loretta abbiamo avuto la stessa impressione. Questa agonia inesorabile di Francia e Ingh. è come la morte rapida e misteriosa di Eluccia: noi, che tanto le volevamo bene, l’abbiamo inconsciamente spinta verso la fine ed ora non possiamo fare altro che piangere la sua scomparsa: non è una simpatia politica o formale che ci lega a quelle due grandi nazioni eroiche: è l’amore, la riconoscenza verso le uniche forze che hanno avuto il coraggio di sostenere e difendere quei valori morali che ci sono immensamente cari. Se loro scompariranno tutto piomberà in un buio orrendo più pauroso della morte.
Anche Carletto nella sua lettera di oggi ha espresso la nostra stessa stanca disperazione: al solito noi di lontano siamo presi dal medesimo stato d’animo, che sorge spontaneo e indipendente, perché siamo uniti da una sofferenza comune e non da una suggestione reciproca, che sarebbe fittizia. E invece costoro debbono insistere su una propaganda assurda ed accanita per tentare di tener legati gli ingenui, gli stolti, gli speculatori e gli opportunisti che sono ancora dalla loro parte.


10 giugno
Il giorno orribile è giunto, come si immaginava, inaspettato: tutti lo dicevano che sarebbe stato oggi, ma, dopo tanti falsi allarmi, nessuno ci credeva più. Ma è vero, purtroppo, e spaventosamente atroce! Colui ha parlato e annunciato la dichiarazione di guerra: discorso orribile, sfilacciato e privo di slancio: aggressivo, ma senza entusiasmo. Loretta ha detto: “Aveva tanto assaporato il piacere della vendetta, ma oggi ha sentito che non c’è gusto in questa sterile crudele banalità”. E la Francia ripiega sfinita dietro la sua seconda linea di fortificazione e sembra perduta definitivamente. E noi l’aggrediamo alle spalle, come un malfattore che conficca il pugnale nella schiena di un aggredito moribondo, per finire di derubarlo. Coma la Tunisia con la Polonia. Povera Italia mia! Credevo che, al momento della decisione definitiva, mi sarei staccata dagli Alleati, che avrei sentito il richiamo della patria. E invece mai come stasera ho sentito di amarli i miei francesi eroici, di rispettarli i nobili inglesi ingiustamente calunniati.
Ma il richiamo della mia patria non l’ho sentito, non era l’Italia che ci chiamava all’orribile misfatto, eccitando l’avidità del guadagno, invitandoci ad esaltare l’esecrabile Hitler. Neanche un grido di guerra ci ha saputo dare colui: ha detto che bisogna “Vincere” e che “Vinceremo” Ma in nome di che cosa, mio Dio, per quale scopo? Questo non ha saputo dirlo.
Non abbiamo avuto il coraggio di andare in piazza. Nella scuola di Loretta abbiamo sentito la radio, protestando di fronte ad alunni e bidelli. Ma che importa tutto ciò? Poi siamo andate con Loretta presso il monumento dei caduti e abbiamo letto le pagine di Carducci sulla Francia. Le aveva scritte nell’83, dopo la “Triplice” e protestava inneggiando a Garibaldi che aveva vendicato Mentana a Digione e profetizzando l’immortalità del “Ça ira”. Le nostre parole diceva, esprimendo il nostro stesso dolore di oggi nella sua rivolta di allora. È bello però ascoltare la voce dei morti, che si accorda con la nostra: è quasi consolante.
Ma la vista dei vivi imprime lo sconforto più desolante: visi rattristati o impietriti, piangenti o sbigottiti: hanno visto in faccia la realtà, dopo aver tanto giocato con le parole.
Eppure tutti credono che sarà una cosa facile e breve. Ed è questo, che disgusta di più: questa gente è vile.
M. al caffè mi si è fatto incontro sogghignando “ci siamo, eh?” ha detto. Gli ho risposto “Quando parte?” “Quando ci lasceranno liberi, finiti gi esami”. “Ma, intendevo per la guerra” “Quando mi chiameranno” “Credevo che andasse volontario” Si è allontanato senza rispondere. Ma io mi sento disperata: non sento più la mia patria, non riconosco più i miei fratelli, dubito della mia fede.
Ho chiesto alla piccola suora della camera “Ma Dio che cosa fa?” Mi ha risposto:
“La farà finire presto”. Le suore non capiscono niente. E allora un pensiero orribile mi è balenato: forse Dio non è altro che una nostra creazione individuale: ognuno di noi lo crea a modo suo, a propria immagine e somiglianza, ma non c’è niente di comune tra il Dio che vorrebbe invocare la mia passione disperata e il Dio di queste povere suore sbigottite. Domani voglio andare da don O. [Otello Migliosi], o don P. per chiedere a loro che mettano in ordine questa mia povera anima sbigottita.
Penso al nostro Papa martire, soltanto lui soffre più di noialtri. E intanto sento che il mio amore per francesi e inglesi cresce sempre più, mentre in loro si svilupperà furioso e disperato l’odio contro di noi. E capisco che è giusto.


11 giugno
Eppure è strano, ma stasera non la sento la guerra: è come se non ci fosse, da nessuna parte. E non soltanto io provo questa impressione, ma anche gli altri: l’appassionata Loretta, la delicata dolce P., la rozza stiratrice padana di casa di Loretta e G., che si rifiuta di parlarne, e anche questo strano paese, che si riunisce ozioso e indolentemente curioso nella piazza ad ascoltare quelle sciocche chiacchiere slegate che trasmette la radio. A proposito di informazioni varie le notizie sul contegno dei Savoia. Stamattina è stato trasmesso il proclama del re: fiacco e sconnesso proclama, in cui afferma di prendere il comando dell’esercito secondo la tradizione dei Savoia e poi dichiara di passarlo al Capo del governo, ed esorta il popolo a combattere come 25 anni fa contro un nemico che non osa nominare, con un alleato che è il nostro nemico di allora. E negli alti comandi delle forze armate non figura neanche un Savoia. Conclusione: stamattina credevamo che i Savoia non volevano fare questa guerra che è la guerra del fascio. Non volevano essere disonorati da una partecipazione diretta: si contentavano di subirla. Io allora ho sentito il primo moto di disgusto e di disprezzo contro i miei Savoia che amavo ancora con tanta cecità e in cui speravo con tanta ostinazione. Se il re non voleva una guerra ingiusta, avrebbe dovuto imporre la propria volontà e rifiutarsi di dichiararla ascoltando le mute implorazioni del suo autentico popolo. Se poi non era capace di imporre la volontà, avrebbe dovuto abdicare ad una corona che non potesse più sostenere.
Ma la verità vera era ancora molto peggiore. Stasera è trasmesso un telegramma indirizzato al duce dal generale Umberto di Savoia. Ho stentato a riconoscere il nome, poi lentamente ho capito: è il principe di Piemonte, che ha assunto il comando in terzo o quarto grado, di una ristretta unità dell’esercito e che si indirizzava al condottiero in capo, promettendogli di fare del suo meglio per compiere il proprio dovere ed il suo superiore rispondeva augurandosi che avrebbe mantenuto la promessa. Povera casa Savoia! Ha perduto in pieno la sua dignità, non conosce più il rispetto di se stessa. E così crolla definitivamente in me ogni legame con l’autorità costituita.


12 giugno
La guerra penetra sempre più crudamente nelle nostre carni: ormai è una realtà. Ci voleva una spinta violenta dal di fuori perché ne sentissi la consistenza. E la spinta è venuta. È giunta al fascio, anzi alle autorità della provincia e non a quelle di Assisi, una delazione molto grave sul nostro conto. Naturalmente le accuse non sono vere, o almeno quel fondo di verità, che è in esse, è stato talmente deformato da renderle irriconoscibili. T. è molto spaventata, povera piccola! A me la notizia in un primo tempo ha fatto quasi piacere ed ho sperato di poter far uscire all’aperto quella verità che mi tormentava. Ma tutti i miei amici si sono prodigati nel consigliarmi prudenza: sono molti i miei amici, a quanto sembra, e premurosi e buoni. Inoltre quel pensiero, che oscillava ancora incerto dentro di me in questi due giorni, dopo il collasso provato alla notizia orribile, il pensiero cioè che era giunta l’ora di abbandonare quel sentimento di libera valutazione e di appassionata partecipazione alla causa giusta di fronte alla realtà della guerra nostra, si è ormai con cretizzato in forma definitiva. Confessare adesso di odiare i nemici interni mi è sembrato un tradimento, mentre ancora quattro giorni fa mi appariva come un eroismo E ho deciso di cedere e di cedere di fronte alla guerra. So adesso che avrei fatto spontaneamente questo sacrificio supremo della mia volontà da qui ad alcuni giorni. ma questa pressione estrema mi ha imposto categoricamente di farlo subito. E non credo, tutto sommato, che sia viltà. Ho esitato e provato una ripugnanza atroce ed ho chiesto aiuto a don O., il quale mi ha restituito, almeno così mi sembra, la certezza di quella fede che ha così paurosamente vacillato in me questi ultimi giorni. E mi ha ricordato che sta scritto nel vangelo “Estate prudentes” e che questa mia decisione è soltanto una cosa di carattere pratico. Mi ha convinto fino a un certo punto, eppure sono uscita decisa di proseguire la strada che avevo quasi istintivamente intrapresa. E così ho offerto l’ultimo sacrificio alla mia povera Italia, che non riescono ad insozzare per quanto fango le spruzzino addosso, e che, malgrado tutto, si ama con passione così alta e incondizionata. Confesso che la mia ripugnanza a ciò è ancora aspra e nauseante, ma anche il concime è fetido e disgustoso, eppure serve ad alimentare lo sviluppo degli alberi e la maturazione dei frutti. Speriamo che anche questa mia rinuncia, che oggi mi sembra vile, serva ad alimentare nel mio spirito una fioritura più rigogliosa. E, con la mia consueta impetuosità, ho cominciato ad agire, al solito, quasi inconsciamente. Per Loretta la crisi risolutrice è più lenta e tormentosa. Non sono intervenuti per lei fatti esterni ad affrettarla. Ha ricevuto lettere da familiari ed amici che la esortano all’accettazione, ma sono così banali e piatte che l’hanno disgustata anziché persuasa. E allora ho cercato di spingerla io, manifestandole il mio stato d’animo con una sicurezza che forse non è ancora molto salda neppure in me. In questo modo ci aiutiamo tutt’e due a raggiungere un equilibrio nuovo, che sappiamo essere un’illusione, ma che è più che necessario: è istintivo e brutalmente inevitabile.
Del resto mai come in questo momento ho sentito risorgere in me il senso della mia femminilità debole e quasi remissiva. Sento la guerra come cosa virile e istintivamente accetto la loro decisione ed accettazione: la sera stessa della dichiarazione ho scritto a lui per chiedere il suo aiuto e spero che mi risponderà e mi conforterà. Per noi donne la guerra non è che una prova dolorosa da subire, un sacrificio da offrire quasi come espiazione ed è proprio per questo che a noi donne, e forse soltanto a noi, è concesso il privilegio di amare i nostri nemici e forse anche i nostri alleati che ieri ci disgustavano. Forse domani riuscirò a fare la comunione anche per i tedeschi.
Eppure ricordo ancora lo scatto di desiderio esultante, come la liberazione da un incubo, che mi ha scosso la sera prima della dichiarazione di guerra, al cinema. L’orchestra aveva eseguito una umoristica esecuzione della canzone “O sole mio” alla maniera americana, spagnola, viennese e infine tedesca: militaresca questa e aspramente ritmata come la marcia di un passo di parata. Il pubblico ha esploso in un battimani di giubilo, con l’entusiasmo di uno sfogo di liberazione. E allora mi è apparsa, con la lucidità di una visione, l’adunata dell’indomani: il popolo in attesa un po’ rassegnata per ciò che si aspettava di sentir dire e il Duce che appariva al balcone e pronunciava parole improvvise e inattese: “La Francia si batte disperatamente di nuovo sulla Marna. Noi non possiamo resistere all’appello muto della civiltà nostra latina e occidentale, la quale sta per essere sommersa ed inghiottita nell’ondata inesorabile del Germanismo. E noi accorriamo a salvarla dalla terribile morsa con la generosità propria dell’Italia cattolica, che sa vendicarsi con il perdono”. E il popolo scattava in un balzo spontaneo di entusiasmo irresistibile. Ma ormai anche questi sogni assurdi appartengono al passato. E questo passato è così lontano da apparire inverosimile e confuso come un’allucinazione.


13 giugno
Stanchezza opprimente e disgusto enorme verso questo stolto paese che ci circonda.
Il pericolo che abbiamo corso è stato piuttosto grave, ma ora sembra superato. Il nostro preside e il Segretario politico sono stati molto buoni e generosi con noi e ci hanno salvato dalla rovina della nostra carriera. Eppure non sento piacere di ciò, ma una grande umiliazione. Avevo prima sperato di essere perseguitata e mi ero illusa che potesse servire: ora invece ho perduto totalmente ogni slancio di fede e di entusiasmo. In questa guerra assurda si è sommersa ogni nostra energia di ribellione. È inutile, la guerra paralizza lo spirito. E intanto prosegue questa nostra strana, indifferente apatia nei riguardi degli avvenimenti militari, non sono molto brillanti per ora, ma questo non vuol dire: potrebbero essere assaggi ed ho fiducia nel genio militare di Badoglio. Ma è la nostra sensibilità della guerra che è disorientata. Dove è andato l’ardore appassionato con cui partecipavamo alle gesta eroiche dei polacchi, alla resistenza prodigiosa dei finlandesi e ai tentativi disperati dei franco-inglesi? Il bombardamento di Torino ci ha lasciato quasi indifferenti: un leggero stringimento al pensiero di quei vecchi e fanciulli uccisi involontariamente, ma poi la constatazione rassegnata che sono queste le eventualità della guerra. E poi che sono 14 morti di fronte a migliaia e migliaia di innocenti trucidati finora? Loretta ha spiegato il nostro stato d’animo: “Non possiamo commuoverci per la guerra noi che la sentivamo con tanto spasimo già dai primi di settembre” Noi siamo entrati allora in guerra ed ora restiamo disorientati e attoniti perché non riusciamo più a ritrovare i nostri nemici. E non siamo soltanto noi a sentire ciò: si legge nei visi dei chi ascolta la radio, i quali non rivelano né odio né entusiasmo.
Ma costoro sono talmente vili che temono al solo pensiero di leggere su un altro viso il loro stesso pensiero e perciò evitano persino di guardarci in faccia Si sente sfuggire d’attorno a noi questo paese non per ostilità, ma per paura di essere compromesso. E noi siamo tenute lontano come malate affette da un morbo contagioso. E il rettile viscido della calunnia si sente serpeggiare attorno e quasi si avverte il suo contatto nauseabondo sul nostro corpo eccitato di sensibilità.
Ma intanto Assisi è sempre più bella: i tramonti evanescenti e dorati si superano ogni sera e le nottate buie, lucenti di stelle, sospingono verso l’infinito questa nostra povera anima dolorante e agitata di vibrazioni.


14 giugno
Parigi è caduta! Si è arresa perché non la distruggessero.
Il popolo disperato si è riversato per le strade a impetrare la resa per salvare la sua città. Povero eroico popolo di Francia! Il più grande sacrificio ha compiuto per salvare la sua capitale: ha aperto le porte al nemico per la prima volta nella storia di Francia. Ma questo eroismo supremo era necessario. Parigi non doveva fare la fine di Varsavia. Ma la riconquisteranno la loro capitale gli eroi parigini e allora saranno felici di non aver permesso che venisse distrutta. Ed io prego Dio che al più presto possibile possano purificare la loro gloriosa città dalla contaminazione odiosa della bandiera uncinata.
E credo che Dio esaudirà la preghiera disperata di una italiana per la capitale della nazione che le deve essere nemica. La mia passione per Francia e Inghilterra riprende più prorompente che mai; eppure i nostri compiono finalmente qualche prodezza sostanziale. Ma che cosa fanno? Perché non occupano la Corsica? Perché continuano ad assaggiare il terreno e a respingere gli attacchi degli altri? Ma non capiscono che il nostro spirito non può resistere all’inerzia dell’attesa? perché allora la mente continua a pensare liberamente e il cuore riprende a palpitare per la sorte dolorosa dei nostri eroici e sventurati nemici. Nemici! Mi accorgo per la prima volta che questa parola ha un suono dolce e quasi gradevole e che è facile, quasi naturale, amarli. È strano, anche Gesù ha detto che bisogna amare i propri nemici, ma non deve averlo detto in questo senso attuale, perché egli intendeva imporci un eroismo e invece è, il nostro, un moto spontaneo dello spirito. Ma si è veramente rinnovato questo nostro amore per F. e Ingh. dopo la dichiarazione di guerra, si è come purificato: non è più una passione quasi di partito, ma è lo slancio affettuoso dell’animo nostro addolorato e oppresso che vuol farsi assolvere da tutto il male che, contro la nostra stessa volontà, stiamo loro facendo. In fondo sono contenta di essere stata un poco perseguitata per loro in questo momento: mi dispiace soltanto di non aver potuto offrir loro un sacrificio più ampio e completo. Mi dispiace; ma capisco nello stesso tempo che non vorrei essere processata e punita proprio in questo momento.
Stasera eravamo di nuovo in fermento e siamo ancora stati sul punto di commettere nuove imprudenze. Una signora torinese è venuta profuga con i due bambini e ha parlato con molta veemenza, per quanto tentasse di velare le sue parole con dichiarazioni convenzionali. È strano come tanto lei che noi frenassimo i nostri medesimi sentimenti, perché non si manifestassero reciprocamente troppo palesi. Ciascuno temeva dell’altro, o forse non temeva, ma esitava a parlare apertamente: facevamo a indovinarci: bisogna esprimersi per sottintesi per rispettare lo spettro onnipresente del legittimismo. G. ci teneva d’occhio me e T. e ci ha detto sottovoce “Bisogna reggervi col guinzaglio e fermarvi con la museruola!”.


16 giugno
Caro libretto, sono disperata! Non me ne importa niente della nostra guerra, che dopo tutto non conclude nulla; non ho paura delle bombe inglesi; non soffro per i nostri soldati. Solo la tragedia della Francia mi strazia: non vi è posto per nessun altro sentimento. Li hanno schiantati quei maledetti e adesso gli eroi francesi giacciono al suolo spenti e gli uomini francesi indietreggiano barcollanti, con gli sguardi ciechi abbagliati dal lampeggiare diabolico, e le orecchie sorde intronate dal frastuono mostruoso delle macchine orrende.
E intanto nel mondo si spegne la fiaccola ardente di una civiltà luminosa e l’umanità si inabissa con fretta vertiginosa dal culmine di una parabola giù in basso ai piedi di un nuovo ciclo paurosamente barbarico. Sento quasi di odiare il Vico, perché ha scoperto questa verità ingiusta e crudele, senza tentare di rimediarvi. Perché bisogna sempre ricominciare da capo e si deve gettar via la conquista di ieri […] pretesa dell’indomani per questa stupida fatalità? Loro mi risponderebbero che intendono dopo ricostruire una civiltà nuova; ma la scintilla di quella vita non potranno mai più riaccenderla o resuscitarla e lo spettro di quella grandezza inutilmente dispersa paralizzerà per sempre le loro capacità creative. Non potranno carpire il loro segreto e saranno sempre ossessionati dal fascino della loro misteriosa superiorità. Li vede già adesso, che, vincitori, vogliono goffamente scimmiottare la loro dignità cavalleresca e la loro correttezza nobilmente composta; ma nel tentativo inconsueto appaiono più rozzi e più disgustosi.
Eppure rimane ancora un po’ di speranza. La gelida fermezza anglosassone rimane ancora quasi intatta insieme con la forza compatta e inesorabile della marina inglese. Ma perché questa possa imporre la sua volontà deve passare sopra il cadavere della potenza della mia Italia. E allora anche questa mia ultima speranza è una speranza ormai disperata.


17 giugno
E così anche la Francia si è arresa! Tutti l’hanno tradita, l’Inghilterra, ad uno ad uno; ed ora è rimasta sola, in quello strano suo isolamento marino, che ormai non è più una difesa per lei, ma che le toglie ancora i contatti con questa vecchia Europa marcia e decrepita. Che cosa farà l’Ingh.? Per ora non si è arresa. Ma che cosa potrà più fare? Forse nulla, neanche lei. Almeno che non voglia bersagliare la nostra penisola mediterranea, così, senza uno scopo preciso, soltanto per il piacere di vendicarsi.
Del resto sarebbe meglio per noi dover combattere ancora con un nemico agguerrito e temibile. La parte di Maramaldo ci ha troppo profondamente umiliati, perché possa restare l’unica pagina di questa nostra ignominiosa guerra. Sette giorni di guerra, senza operazioni e senza combattimenti, senza morti di soldati, soltanto vecchi e bambini sacrificati nelle città, in cui la protezione antiaerea non ha funzionato quasi. E a Roma l’unico morto l’hanno ucciso i cannoni di difesa. Se non la smettono di difenderci le nostre truppe agguerrite finiranno con l’ucciderci tutti! Ma confesso, io non desidero che termini la guerra. Ho tanto desiderato che non venisse, ho commesso tanta imprudenza illudendomi di poterla evitare, ho sofferto così acerbamente quando è stata dichiarata, ma adesso non vorrei che terminasse subito. Sarebbe troppo ignominioso per noi! Anche in questo vado contro corrente: tutti sono felici, tutti fingono di essere orgogliosi, le vie fiammeggiano di bandiere svolazzanti in trionfo, ma io sento di vergognarmi come di un misfatto, di cui anch’io sono colpevole. Oggi finalmente gli altri riconoscono con lodi entusiastiche che la Francia è stata eroica, ed io invece oggi provo pietà, compianto, compatimento per la Francia, ma non più ammirazione. Mi sono sfuggite parole di un’atroce severità contro di lei: capisco ora che erano ingiuste. È vero, Pétain, non c’era nulla da fare di fronte a un nemico superiore per numero e per mezzi, ma è anche vero che hai spento nel mondo lo splendore di un grande eroismo, il quale non dava
soltanto luce, ma immenso calore. Ed ora la Francia ha piombato l’Europa in una spaventosa oscurità di rassegnazione. E con questo tuo gesto, Pétain, hai giustificato la defezione della Danimarca, della Norvegia, dell’Olanda, del Belgio e di tutti gli altri stati europei rattrappiti sotto l’incubo della prepotenza germanica; e poi hai anche, Pétain, lanciato un’accusa assurda contro la tua alleata Inghilterra, che nei primi mesi di guerra ha sostenuto lo sforzo del blocco, sorvegliando i mari, da sola, e sgombrandoli dalle navi tedesche, da sola, e poi, da sola, ha distrutto quasi tutta la flotta germanica nell’impresa della Norvegia, dove ha anche sacrificato tanti eroici suoi figli per la causa comune, e poi tanti inglesi sono anche morti generosamente per la Fiandre, tentando di sollevarti da una pressione che non potevi più sostenere. E non è responsabile l’Inghilterra, Pétain, se il tuo stato maggiore non ha fatto saltare i ponti sulla Mosa ed è caduto prigioniero come se si fosse arreso. Sappiamo tutti che non è stato tradimento il vostro e forse neanche incompetenza, ma non è giusto far ricadere sugli amici la responsabilità dei propri errori o, comunque, della propria debolezza. Neanche una scusa, neanche un saluto all’alleata che abbandonate sola nella lotta impari e assurda, costretta a sostenere da sola impegni d’onore che avevate assunto comunemente. Non così ha agito con voi, Francesi, l’eroica Polonia dopo la distruzione della sua patria. Ma quella nazione sublime ebbe il coraggio di bere il calice del sacrificio fino alla sua ultima amarissima stilla. Eppure, forse, ti capisco anch’io ora, Francia infelice: tu non sei stata la prima ad affrontare la lotta, a sostenere la distruzione e tu non puoi avere più il mistico fanatismo di una nazione di cavalieri selvaggi e raffinati, i quali credevano che si potessero vincere i carri armati con l’impeto travolgente della cavalleria di Chopin. Orami i carri armanti avevano troppe volte dimostrato di poter stritolare l’umanità. Ed ora io ripenso a quello strano discorso oche facevamo questa mattina con Loretta. Ancora lei dubitava dell’esistenza di Dio e forse con maggiore tormento, ma io ho avuto allora una di quelle vaghe intuizioni che appaiono come un lampo nelle tenebre e che poi è tanto difficile poter riafferrare. E forse ormai si è già dileguato nell’oscurità. Che cosa era la creazione? Che cosa era la nostra libertà? Dio ha espresso nella creazione dell’uomo la più eroica possibilità della sua potenza creativa: ha voluto che la nuova creatura fosse libera di fronte a lui anche di accettare o respingere l’amore del creatore e potesse volere la propria elevazione e consentisse spontaneamente alla scelta dell’obbedienza. Non servo lo volle, ma figlio. L’uomo volle gustare il frutto della libertà, quando la donna rivelò a lui la propria possibilità e la grandezza del dono ricevuto. Dio li punì, perché avevano creduto alle insidie del nemico e per liberarsi da lui si erano resi schiavi di un serpente traditore. E li cacciò i colpevoli sbigottiti nel mondo deserto, e li lasciò in preda alla loro curiosità e al loro dolore. Essi allora crearono tanti uomini nuovi, i quali di Dio non conobbero altro che l’ira severa dell’ultimo castigo. E tremavano al pensiero di Lui.
Dio allora ebbe compassione delle sue creature sbigottite e lontane e scese fra loro per comprendere la sofferenza della loro umanità. Si fece figlio delle sue creature. E le salvò con la passione: liberamente accettò il dolore che avrebbe potuto rifiutare. Da allora l’umanità conobbe qual è la sua strada. Ma spesso questa la spaventava; perciò istintivamente l’uomo arretrava cercando di divagarsi, giocando, quasi inconsciamente, con le splendide possibilità che aveva ricevuto e finiva con l’innamorarsi del proprio misterioso potere, credendosene autore e sovrano. E andava così creandosi da solo la propria strada, orgoglioso delle sue possibilità, e delle sue conquiste, felice di essersi liberato ancora. Ma in tal modo, per costringersi a raggiungere sempre più strabilianti creazioni, finiva col circondarsi spontaneamente da una serie di legami nuovi così intrigati e avvolgenti, che circoscrivevano sempre più la sua libertà d’azione e che minacciavano di soffocarlo. Allora, spaurito, si rivolgeva a Dio, supplicandolo di liberarlo. Ma Dio allora rimaneva lontano, poiché gli aveva già detto la sua parola e gli aveva già indicato la strada. Ma l’uomo, poverino!, non riusciva più a riconoscerla e ne tentava molte, parecchie delle quali non facevano altro che avvilupparlo di più in quello strano groviglio, da lui stesso creato. Dio le conosceva tutte le strade che l’uomo avrebbe potuto prendere ed attendeva in disparte, attento e ansioso, sperando che riuscisse a riconoscere quella che era la buona. Forse anche sapeva quello che l’uomo avrebbe fatto, forse anche non voleva saperlo; ma attendeva paziente, pronto a dargli un aiuto quando i passaggi apparissero insuperabili, ma rispettando nella sua creatura quella libertà essenziale che lui stesso aveva creato. Ma sicuramente soffriva Dio degli errori degli uomini e della fatica che facevano a rintracciare la via più rapida per liberarsi dal groviglio delle proprie passioni: poiché io non credo che dolore provenga da imperfezione, ma dalla visione del male che tiranneggia la debolezza, la quale si è innamorata di un fantasma di gioia invece che della beatitudine vera. Non è affatto questa lunga divagazione noiosa che Loretta ed io avevamo scoperto trionfanti questa mattina; ma in questo aggrovigliato arruffio di parole forse un giorno riuscirà a districare il bagliore che avevamo intravisto, quando ancora non sapevamo che il sogno eroico della Francia, ribelle contro la violenza, era tramontato. Adesso, nell’oscurità della nostra delusione, è ben difficile vedere la chiarezza dei nostri pensieri.


Roma, 27 giugno
È molto tempo che non scrivo e credevo che vi avrei rinunciato. A che serve oramai? Tutto sembra ormai fatale e inevitabile. La Francia non è solo morta, ma è anche sepolta sotto un armistizio che ne paralizzerà per sempre le energie: da questa tomba potrà essere tirata fuori per una esumazione (questa sarà la pace) ma non farà che passare da un sepolcro ad un altro. E da questo sepolcro non potrà uscire, molto più che è stata proprio lei a chiedere la pace della tomba. E non v’è resurrezione per chi vuol morire. Vi saranno intanto tentativi di riscatto, rivolte? dalla nostra stampa non si capisce gran che. Hitler le ripete severamente che farebbe bene a non muoversi e a domare i figli disobbedienti, altrimenti… non dimentichi la lezione ricevuta!! Ma starà queta la Francia con la sua vivacità effervescente ed eroica? Starà sottomessa al tallone tedesco, che finge di essere misericordioso e tollerante? Sembra incredibile e inverosimile! Ma tutto può essere vero in questo spaventoso 1940! Tutte le cose più assurde e disumane sono divenute realtà!
E intanto l’Europa dovrà rassegnarsi a vivere senza più la Francia! Che sarà di lei, povera Europa straziata e dilaniata?
Ricordo che quand’ero bambina studiavo sui libri di geografia che la Francia era come un istmo in Europa e congiungeva fra loro i popoli di più svariata stirpe e più contrastante carattere: ponte di passaggio fra il Mediterraneo e l’Atlantico, rendeva meno isolani gli inglesi e meno africani gli spagnoli, conciliava la latinità fiammeggiante dell’Italia con il gelido fanatismo germanico: e allora io preferivo immaginare la Francia come il grande cuore di Europa, il quale con il suo battito di affettuoso desiderio faceva fluire attraverso quel contorto, aggrovigliato continente il sangue vivo di tutti i popoli.
E adesso come farà a vivere l’Europa senza più il suo nobile cuore? Ma certamente i tedeschi, abilissimi nelle arti meccaniche, le costruiranno un bel cuore automatico: e così sarà meglio perché avrà i palpiti più regolari. E allora l’Europa si irrigidirà ad un tratto in una compattezza regolare e ben ordinata e i suoi tentacoli spasimanti cesseranno di risucchiare inquietudine e mobilità dall’oceano, che, esterrefatto, si ritrarrà dall’odioso contatto di questo gelido cimitero europeo e riporterà la sua calda corrente nella giovane terra d’America. Egoista e avida questa giovane figlia di Europa: ella, durante l’agonia di sua madre, invece di porgerle aiuto, va meditando come possa riprender per sé le calde acque che ancora la congiungevano alla madre lontana. Ma riprendile pure, America, le calde acque del tuo golfo: i morti non hanno bisogno di calore, e tanto meno i tedeschi!
[per motivi di capienza del campo, la trascrizione prosegue nel campo Allegati]
Descrizione estrinseca
Block notes 18x12 cm.
Allegati
[segue dal campo Contenuto]
30 giugno
È morto Balbo! Eroicamente in combattimento, dice il comunicato ufficiale, ma piuttosto misteriosamente: questa almeno è l’opinione comune. Naturalmente si fanno le più strane congetture. Tutti in genere provano grande rimpianto per lui : era amato e soprattutto rispettato, cosa rarissima per gli esponenti del Partito: era un uomo che non ha fatto soltanto chiacchiere, ma azioni, non ha pensato soltanto a soddisfare la propria avidità e ambizione ma ha lasciato il segno della sua personalità. Io provo per lui soprattutto una grande ammirazione e quasi invidia. Si è dissolto nell’aria e nel fuoco all’inizio di questa nostra guerra ignominiosa, prima di vedere l’impantanarsi disgustoso di una pace ripugnante, prima di assistere al crollo totale del mondo a cui credeva anche lui.
Tutti sanno che ha osteggiato con tutte le sue forze questa guerra, così come aveva generosamente combattuto la persecuzione contro gli ebrei. E adesso è morto, colpito dai proiettili di quello stesso popolo che non aveva voluto nemico. Sarà stato sabotaggio? O bombardamento inglese? O un fortuito incidente di volo? O piuttosto un rapido mezzo per sbarazzarsi di un troppo irrequieto spirito indipendente? I telegrammi germanici suonano molto sgradevolmente con quella premura di volerlo fissare come un docile seguace delle direttive mussoliniane. E le condoglianze di costui sono molto fredde e convenzionalmente ufficiali. Ma quale sarà poi la verità? Mistero. A me piace credere che ora più che mai egli abbia voluto lasciarsi trasportare dalla impetuosa audacia del suo temperamento. Tutti sentiamo di tuffarci a capofitto nel pericolo, quasi per non accorgerci della realtà: tutti almeno noi che abbiamo disperatamente sofferto nella vigilia e inutilmente lottato. Per lui ormai tutto è superato: egli guarda le cose dall’alto. E facile, quasi riposante, è stato pregare per lui questa mattina in chiesa. Ricordo le parole di Loretta. “Dopo la morte in combattimento, le anime dei soldati si devono unire al di sopra dei campi di battaglia e
devono incontrarsi con affetto”. Ieri ho rivisto Grazia e Nina: fa tanto bene riunirci fra noi. Qui a Roma incontrarci è difficile e raro: deve avvenire deliberatamente. Ci si sente soli in città, sperduti in balia della massa, la quale diventa di giorno in giorno più amorfa e insensibile. Del resto il mio nuovo lavoro mi tuffa in uno strano ambiente, che è come una doccia fredda di imperturbabile incoscienza sopra i miei nervi arroventati dalla passione. Tutti in questo comodo edificio confortevole e ricco stanno tranquilli e sicuri: si sentono protetti dal loro stesso benessere.
Chi direbbe che è quello il Gran Quartiere Generale delle Forze Armate? Strana ironia! Ho trovato in Grazia il suo spirito più vigoroso e deciso che mai. Strano contrasto con il suo fisico così fragile! Avevo quasi dimenticato la sua austerità inflessibile e forte: o forse era veramente un suo nuovo atteggiamento? Sente quasi l’orgoglio di sentirsi sempre più isolata nel difendere in sé la libertà della sua indipendenza ed ha avuto aspre parole contro coloro che si sentono desiderosi e quasi solleciti di farsi schiavi al più presto possibile e senza lasciare aperta la minima feritoia di liberazione. “Essi devono provare una voluttà di piaceri a noi sconosciuti, come quelle donne che offrono sé stesse per il godimento altrui”. Infatti adesso la premura di adattarsi alla servitù è diventata in tutti così precipitosa da far perdere, credo, ai padroni il gusto di tiranneggiare. E Grazia allora ha espresso una di quelle sue terribili affermazioni che mi fanno riconoscere in lei la fierezza indipendente e solitaria della isolana. In questi momenti ho sempre la sensazione un po’ impressionante che Grazia si distacchi improvvisamente da me e si chiuda dietro una parete rocciosa e inaccessibile, al di là della quale è inutile tentare di penetrare. Ha affermato che non bisogna cercare comunicazione né rapporti con questa umanità degenere: ogni tentativo di avvicinarsi a lei sarebbe un compromesso. Bisogna chiuderci in noi stessi, poiché soltanto in noi si può cercare il regno di Dio e solo in noi lo possiamo ottenere: e se gli altri vogliono essere schiavi, che si pascano pure della loro bassezza: a noi non rimane che disprezzarli. Ed è vero questo forse; non solo, ma è anche vero purtroppo che le nostre schiere si vanno sempre più assottigliando e si rimane sempre più soli. Ma a me non piace questo terribile isolamento, non lo desidero, neanche se è l’unico mezzo di salvezza. A che serve a me la mia salvezza, se dovrà lasciarmi isolata? È proprio questo precipitoso adagiarsi di tutta l’umanità in una supina accettazione di quello che tutti chiamano l’inevitabile, che mi dà il senso della disperazione. Contro tutto ciò ho tentato accanitamente di oppormi con tutte le mie povere forze, piccolo scoglio aguzzo e ribelle che tentava vanamente di frenare l’impeto travolgente di questo torrente in piena. Ma sono stata veramente travolta? Non so; sono così stordita che non capisco più bene. E del resto che importa anche se io ancora sporgo dalle acque, quando tutto il resto è allagato? Ma forse la pioggia cesserà e allora le acque del torrente si disseccheranno. Speriamo. Del resto le dighe non sono state tutte frantumate. Ne rimane in piedi un’ultima ancora, che è ben più salda ed elevata del mio misero scoglietto. L’Inghilterra non ha ceduto: ella soltanto non ha tradito la nostra intima aspettazione. Confesso di aver temuto per qualche tempo che ella si ritirasse, ma non l’ho mai desiderato. Il suo eroismo sarà in tutti i modi la nostra salvezza: sia che ella cada sotto la nostra pressione italiana, e allora sarà lei ad averci dato l’occasione di riabilitarci dalla nostra recente onta militare (neanche una vittoria hanno strappato i fascisti alla povera Francia agonizzante), sia che ella miracolosamente riesca vincitrice e allora ci libererà da questa nostra mostruosa dominazione. Ma in tutti i casi è adesso l’Italia che deve compiere il più grande sforzo e deve dire la parola definitiva. E sarà l’Inghilterra ad offrirci l’occasione di farci onore direttamente o indirettamente.
Discussioni fra amici di Roma. Discussioni con persone “equilibrate e moderne”? È venuto Tamb. a trovarci l’altra sera. Giovane medico intelligentissimo e molto quotato, è abilissimo nel farsi strada e nel considerare le cose della vita mettendole bene a fuoco. Io so però che è anche molto religioso ed ha una sua intima vita spirituale: ma questo non appare alla presenza delle persone assennate della mia famiglia (P. e N.). Non abbiamo potuto parlare da soli ed io a un certo punto ho preferito andarmene a sistemare i miei libri, per non sentirlo parlare con tanta crudezza e superficiale “buon senso”. Dove è andato ormai il suo individualismo giovanile?
Ma forse finge adesso, soprattutto contro se stesso.
Sembrava molto ammirato delle prodezze germaniche e soprattutto dei loro diabolici stratagemmi per confondere gli alleati e trascinarli nei tranelli più grossolani. Non so se sia vero quello che diceva, ma è certo sintomatico che i nostri intellettuali amino credere che lo sia. Gli alleati avrebbero accettato la guerra credendo in un “bluff” germanico e costoro avrebbero alimentato le dicerie. I loro carri armati? Robaccia di latta scassata: bastavano piccoli trucchi per darne dimostrazione, indirettamente, si capisce. L’ambasciatore di Polonia incontra, “per caso”, lungo la sua strada un carro armato tedesco: questo si lascia investire: la bella macchina vigorosa polacca lo manda in pezzi con grande facilità. Scendono gli ufficiali tedeschi:
promettono tutte le soddisfazioni, purché si conservi il segreto militare. Londra è informata immediatamente dell’incidente.
La Svizzera chiede armi alla Germania e soprattutto carri armati. Giunge la Commissione militare tedesca; le macchine sono consegnate; si deve fare il collaudo: le autorità germaniche si rifiutano di far uscire gli uomini dall’interno delle macchine: “Il Reich è sicuro dei suoi prodotti: ordine di Hitler, nessun carrista lascerà il suo posto”. Gli [umanitari] svizzeri non lo permettono: a casa loro si rispetta ancora l’individualità umana e si è liberi di farla rispettare: fanno uscire gli uomini dai carri. Sparano: i carri vanno in frantumi. Le autorità germaniche si effondono in lodi per i proiettili svizzeri e vogliono comprarli. Il loro piano è riuscito: satanicamente trionfanti, tornano dal gelido capo che, impassibile, approva il loro comportamento, senza lodarli però … hanno compiuto il loro dovere.
Coro di entusiasmo e di esclamazioni ammirative dei miei famigliari, brave oneste persone che non commetterebbero la minima scorrettezza morale, anzi piuttosto facili a scandalizzarsi, soprattutto per le infrazioni di forma.
Nella stanza accanto il mio sangue ribolle di rivolta. Ma è inutile tentare di protestare. Soltanto mia madre, indignata, si allontana e viene a trovarmi. Soffre anche fisicamente di queste cose, poverina: si è dimagrita molto e non dorme la notte. Ma anche lei, a tratti, ha fremiti di ammirazione per la disciplina di quei maledetti.
Nessuno però, nessuno di coloro che discorrono al di là di quella vetrata, che mi divide da loro, ha parole di soddisfazione, di orgoglio per il nostro comportamento, per le nostre prodezze. Questa mancanza di prestigio, di dignità dei nostri governanti eccita in loro un breve sarcasmo, misto di disprezzo e di rassegnazione. Del resto, si sa, gli italiani non sanno essere disciplinati e compatti e perciò, in fondo, un poco di reggimento germanico non farebbe poi tanto male! Questo è ciò che esprimono più o meno le loro mezze parole e soprattutto i loro sottintesi. E perché io sento fremere dentro di me la rivolta disperata contro questo asservimento, intonano la nota canzoncina: “Ada è sempre esaltata, non ha il senso della realtà!”. Maledetta sia questa stupida voce del cosidetto buon senso! Eppure mi è sembrato che in fondo agli occhi non fosse affatto lieto quel giovane vigoroso e intelligente, che non desidera affatto di offrire la sua vitalità alla patria in questo momento di guerra. E in fondo alle sue parole “sensate” io sentivo tanta amarezza!
La visita ai M.
I M. sono sempre stati con noi: Mario anzi non ha mai voluto iscriversi al Partito, rinunciando così a molti vantaggi economici e professionali. Li ho trovati molto abbattuti e anche molto indignati contro di “loro”: i franco-inglesi li ritenevano responsabili della propria atroce delusione. Erano severissimi ed aspri e Mario ha osservato: “È come in una partita di bocce. Se i due giocatori osservano lealmente le regole dell’arte e combattono con signorile rispetto reciproco, la gara è bella e la vittoria tocca al più bravo; ma se uno di essi si mette a tirar colpi nel basso ventre, bisogna che anche l’altro scenda al suo livello, altrimenti sarà inevitabilmente sconfitto. Con i facchini di porto non è permesso comportarsi da gran signori”. Mi sono battuta disperatamente, cercando di difenderli con tutte le forze della mia incrollabile ammirazione: “Non si deve adottare il sistema indegno del nemico, quando si combatte proprio per distruggere questo sistema, altrimenti anche la vittoria si risolverebbe in una sconfitta”. Ma dentro di me pensavo che, se anche gli inglesi, avessero temporaneamente rinunciato alla loro impeccabile signorilità, io avrei loro facilmente perdonato, purché ci liberassero da quei maledetti. E Mario mi ha detto sottovoce: “Non riesco a perdonarli, perché era questa l’ultima occasione che ci si offriva per liberarci da questi nostri odiosi parassiti, è perduta per noi ogni speranza”. E allora ho sentito l’ingiustizia di questa illusione, che era poi la medesima per questa Europa moderna, marcia e corrotta, la quale pretendeva che la propria salvezza le si imponesse dal di fuori, senza che essa vi collaborasse in nessun modo. Ma Dio l’ha punita molto crudelmente. Non si salva chi non vuole salvarsi e chi non agisce per liberarsi dal male; non si può raggiungere la propria liberazione per mezzo di una esterna vittoria, a cui non si è nemmeno tentato di collaborare. Anche perché avvengano i miracoli è necessaria la fede completa e la dedizione assoluta della propria attività. E perciò tutto lascia supporre che, al punto in cui siamo, non sia più possibile che avvengano i miracoli.
Ho rivisto le mie amiche F. e R. Ci siamo scrutate ansiose per ricercare nei nostri volti il segno degli avvenimenti. F. con il suo bel viso sfavillante di bellezza baldanzosa e audace non mi ha rivelato nessuno sbigottimento. Il suo fidanzato, talmente convinto delle nostre idee che non ha voluto mai prendere la tessera, è stato fra i primi a partire per il fronte. Era sereno e niente affatto spaventato, forse meno sconvolto e addolorato di noi. A lui almeno è concessa l’azione. Il loro amore travagliato da tante piccole avversità e diffidenze è adesso divenuto più sicuro e tranquillo e F. ha uno strano modo di giudicare tutte queste cose:
crede che gli intrighi, gli egoismi, le meschinità saranno travolti da questa orda di violenza e che poi le persone oneste e coraggiose potranno affermare più facilmente la propria personalità. Crede ancora alla vecchia utopia che il mondo possa essere lavato e purificato nel sangue. Come se la I guerra mondiale non avesse dimostrato che in tali occasione iene e sciacalli si nutrono del sangue generoso degli eroi, ma dopo che si è imputridito al loro contatto immondo. E l’umanità esce fuori più corrotta e fiacca di prima. Anche F. ha accanitamente lottato alla vigilia e, siccome è generosa e retta, con la sua solita imprudenza ha corso gravi rischi. Sembra che ora sia tutto accomodato. Anche R. si è trovata coinvolta in molto baccano durante le famigerate dimostrazioni e mi ha raccontato con la sua [solita] indifferenza piuttosto canzonatoria le sue avventure: ha difeso con molto coraggio un suo collega dai ragazzacci brutali invasati di bestialità, ma anche per lei tutto si è poi risolto abbastanza semplicemente. È strano però come tutti noi abbiamo corso nello stesso momento gli stessi rischi, senza tenerci neanche in corrispondenza, senza scambiarci una sola parola che ci tenesse legate.
Anche il fratello di R. è partito per il fronte: i nostri giovani vanno alla guerra numerosi, esclusi i grandi fascisti naturalmente, che parlano di eroismo senza conoscerne mai il sapore. R. ormai si è calmata: “Ho avuto l’impressione che tutto crollasse – ha detto – e che ogni principio di moralità se ne andasse in fumo. Ma ormai ho deciso di non pensarci più. Naturalmente ora desidero che si vinca la guerra al più presto possibile”. Diceva queste parole così comuni con tanta indifferente naturalezza che sembravano ironiche. Poi abbiamo attaccato a liticare per i miei inglesi, che non ha mai potuto soffrire. Ma la sua, almeno apparente, tranquillità smorza gli slanci: è come una doccia fredda. Eppure ci siamo lasciate con desiderio di ritrovarci: sempre così con R., ma poi passano anni e ci perdiamo di vista, per rincontrarci in seguito trovandoci allo stesso punto.




4 luglio
Stanotte sono venuti gli aeroplani inglesi, o almeno abbiamo avuto l’allarme. Decisamente, non riesco ad avere paura, e non soltanto io sono rimasta impassibile o divertita, ma quasi tutti, mi sembra.
Però ho anche ricordato le parole di Grazia: “sarebbe degno di noi finire per causa di una bomba inglese!” Sarebbe veramente degno di quei don Chisciotte che siamo! Eppure anche questa possibilità non mi spaventa. Sarà perché ormai ci siamo familiarizzati con la morte, o perché  non si teme mai nulla da coloro che si amano.
Stamattina, uscendo di casa, ho ritrovato il solito incontro confortante. Sui muri vicino a casa nostra una mano sconosciuta, ma niente affatto popolana, dipinge con una bella vernice turchina e in perfetto stampatello scrive le stesse parole: “W il duce”, “W Hitler”, “W l’asse” e metodicamente, il giorno dopo, una mano frettolosa e violenta raschia via la vernice e l’intonaco per cancellare il viva di Hitler e distruggere l’ultima zampetta della R., che diviene così una P. Forse HITLEP è un insulto nella mente di questo sconosciuto mio amico, ma certo che fa un gran piacere vederlo ripetutamente e inesorabilmente mutilato quel nome odioso, malgrado la sorveglianza degli innumerevoli poliziotti. Conforta. E allora io vado all’ufficio col cuore più leggero e mi accorgo del tepore ventilato di questa strana estate, rinfrescata di continuo da acquazzoni sbarazzini. Dicono che il sole abbia avuto paura delle nostre bombe. E invece se ne sta lì, tiepido e luminoso, e se la ride della nostra presunzione. È stranamente commovente la cortesia della natura, quando gli uomini sono cattivi.


5 luglio
Oggi abbiamo avanzato nel Sudan e abbiamo raggiunto Cassala. Il primo moto alla lettura del bollettino è stato di gioia; ma poi mi è apparsa quasi istantaneamente l’idea che gli inglesi avevano retroceduto e allora ho sofferto per loro; ma questo mio improvviso rammarico non distruggeva affatto la soddisfazione del primo momento. Strane sensazioni! È come se io avessi due patrie: l’una istintiva, innata, involontaria, l’altra del sentimento, della fantasia, della cultura. E questo è ancora più strano: l’una non esclude l’altra: hanno un bel renderle artificiosamente nemiche, nel mio spirito continuano a integrarsi a vicenda. Se dovessi ascoltare esattamente il mio sentimento vorrei che l’Inghilterra fosse sconfitta soltanto dall’Italia, ma che rimanesse miracolosamente vincitrice nella sua strenua lotta contro la Germania. Ma purtroppo sembra che dovrà succedere tutto il contrario, e questo mi terrorizza. È possibile che in questa orribile guerra tutto proceda contrariamente alle aspirazioni più pure del nostro spirito? Sembra un incubo spaventoso. Siamo veramente in preda ad un arcano potere irresponsabile. È l’odio più cieco che domina! Intanto tremo al pensiero dell’orribile spedizione che stanno preparando contro l’Inghilterra. Continuano a rimandare il giorno dell’attacco: devono essere in fabbricazione ordigni diabolici e terrificanti e il piano deve essere satanicamente perfetto. Eppure ho una vaga incosciente speranza. Loro sono così decisi a non lasciarsi sbigottire, sono così candidamente impassibili! Mi torna in mente la leggenda del “puro folle”: non vince sopra di lui la forza del male e non lo sbigottisce, perché non fa presa sulla sua purezza ostinata. È come un diamante: non può essere scalfito, né tanto meno incrinato. In quella sua misteriosa solitudine della pazzia si è separato dalla fragilità umana e si è abituato a credere alla gioia, perché non ha mai voluto abbandonarsi al dolore.
Terribile è stato lo scontro di ieri fra navi inglesi e francesi, ma per me rimane molto misterioso. Non vi capisco molte cose e soprattutto non capisco per quale ragione la nostra flotta italiana non abbia voluto intervenire: non ha voluto o non ha potuto? Chi mai potrà saperlo?
Intanto più i nostri giornali insistono a dar risalto all’attuale rivalità franco-inglese e al rancore pieno di odio che i francesi avrebbero verso i loro antichi alleati, meno io ci credo. Non posso immaginare i francesi così ingiusti o vili. È vero che devono sentire il rossore della vergogna per l’eroismo solitario dei loro ex-alleati, ma non è possibile che la Francia, già così nobile, al primo contatto con la Germania si sia così contaminata. Eppure hanno rotto i rapporti diplomatici con l’Inghilterra, dopo un’assemblea presieduta da Lebrun. Mi sembra assurdo che si sia ormai ovunque perduto il senso di orientamento morale. E si continuano a pubblicare i documenti ritrovati dalla Germania e a interpretarli stoltamente così come serve alla sua propaganda, dovunque; almeno è questa l’atroce sensazione che dà la nostra odiosissima stampa, incatenata da mille bavagli, la quale vorrebbe dimostrare a questo nostro popolo, istintivamente desideroso di giustizia, che il diritto sta là dalla parte del vincitore, il quale una volta almeno aveva il coraggio di dire: “Force passe droit”. Ed era più onesto.


6 luglio
Ieri ho visto un film tedesco, il dottor Koch, di cui tutte la brave persone che mi circondano si credevano in obbligo di dire che era bellissimo.
È pesante, opprimente, cupo e inutilmente spaventoso, privo di umanità e di senso artistico: alcuni attori lavorano bene, alcuni particolarmente rivelano profondità e precisione, ma manca in pieno la sintesi armonica di un regista che sappia suscitare un brivido di umanità nei fantasmi dello schermo. E dire che mi era rimasto così simpatico il rustico Koch in quel libro americano “I cacciatori di microbi”: era tanto paziente e appassionato, così semplice e generoso! Ma nel regista nazista lo scienziato deve essere fanatico e cocciuto, sordo ad ogni altra voce che non sia la maniaca curiosità della scoperta, crudele e spietato conto i rivali già vinti, di cui non capisce affatto la sofferenza dolorosa della sconfitta professionale, che è per loro il crollo di tutta una convinzione scientifica e umana. E allora, quasi senza volerlo, si finisce col simpatizzare con il rivale di Koch.
Terribili sono questi insopportabili tedeschi nazisti con questa loro ossessione di stimolare fino al parossismo i caratteri tipici della loro razza. Così i loro difetti divengono spaventosi e le loro virtù opprimenti e disumane. Il pubblico non era affatto soddisfatto dello spettacolo: guardava esterrefatto: si sentivano sospiri di oppressione, borbottii di disgusto: alle nostre spalle due giovani scherzavano con molto spirito, cercando umoristicamente di rendere grottesco quello che era macabro, ironico quel che era opprimente, parodistico quel che era serio e solenne. Ma quando i bravi borghesi uscivano dal cinema, proclamavano coscienziosamente di aver assistito ad uno splendido spettacolo e si allontanavano compresi di soddisfazione e di rispetto verso se stessi, che avevano saputo apprezzare così austero divertimento.


8 luglio
Ieri sono stata a visitare villa Medici, la grande conquista di guerra. È tutto ciò che il glorioso governo fascista è stato capace di strappare alla Francia agonizzante. Ma non ho messo la mia firma all’ingresso: mi sarebbe sembrato di partecipare ad un misfatto.
Anche mamma e Annie hanno sdegnato di scrivere il proprio nome: soltanto la zelante N. si è affrettata a compiere il lugubre rito. Mi sono venuti in mente quei grandi registri che si mettono all’ingresso di casa per raccogliere le firme di che voglia onorare un morto illustre. Ma qui nessuno intendeva di onorare il defunto. Sopra il battente di una porta era rimasto il biglietto da visita di uno degli abitanti l’accademia: un poeta, un musicista, un pittore? Non so, né ricordo il suo nome. Il solito anonimo vigliacco aveva scritto frasi sconce sotto quel nome e il pubblico passando si affollava per leggere, poi si allontanava sghignazzando. Era forse lo spettacolo preferito da quella marmaglia. Un milite che avrebbe dovuto mantenere l’ordine, si è soffermato un po’, quindi si è allontanato con viso soddisfatto. Una marea
[PAGINA CON SIMBOLI]
di plebaglia miserabile e pretenziosa invadeva il giardino raffinato e selvaggio. Avevano tutti il vestito a festa i borghesucci in vacanza e il placido viso raggiante di brave persone, coscienti dei propri doveri, che compissero un rituale pellegrinaggio. Alcuni affermavano di sentirsi conquistatori: “Abbiamo rivendicato alla patria questa proprietà già usurpata da Napoleone, il nostro nemico rapace!” Ma leggevano tutti l’epigrafe del 1903 nella quale era ricordato come i nostri sovrani avessero solennemente convalidato in una fastosa cerimonia all’Accademia di Francia il possesso della Villa, un secolo prima occupata da Napoleone.
Gli scrupolosi visitatori leggevano attentamente l’epigrafe quasi sillabando e, siccome era in francese, se la facevano tradurre dal compagno più colto; poi se ne andavano soddisfatti: non avevano capito nulla. [8 righe cancellate da A.] E intanto per gli altri viali di bosso e di alloro sormontati dai nobili pini chiomati di verde vagava doloroso e stupefatto lo spirito della vecchia Francia musicale e pensosa, aggraziata ed eroica, mistica e rivoluzionaria, lo spirito della Francia ottocentesca che è della stessa sostanza di quella nostra italianità appassionata e romantica del Risorgimento. Ma come avresti potuto più riconoscere, Stendhal, la Roma che tanto ti aveva commosso? Sarebbe stato come se i nostri martiri antichi e i vecchi pensatori dai nasi aquilini che fiancheggiano i viali del Pincio volessero riconoscere l’anima nobile della loro stirpe in questa marmaglia inconscia e schiava, grossolana e superficiale, pretenziosa, ma priva di vitalità e di bellezza, che ingombra i viali del Pincio in questa festa domenicale. Ma il sole tramonta languidamente dietro le cortine di nubi trasparenti, in una tristezza solenne e raccolta, con una discrezione evanescente, come se volesse accompagnare con mesta riservatezza questo funerale pietroso di una grandezza passata, che sembra esaurirsi per mancanza di alimento vitale. E ci si sente sbandati in questo lento tramonto nostalgico, come fantasmi erranti in un mondo grossolano, che, dopo essere stato crudele, non è neanche capace di essere felice e glorioso.


10 luglio
Ieri siamo stati dai B. Mi è sembrato di essere finalmente a casa mia, la loro bontà è aumentata con la sofferenza e la loro cultura è resa più vibrante ed umana dalla persecuzione. Non sono stati tagliati fuori dalla nostra italianità, anzi è come se soltanto adesso il patriottismo dell’Avv. si mostrasse senza luoghi comuni o frasi retoriche, ma vivo della nostra stessa passione. E quel che è più notevole non sono scoraggiati, da loro ho attinto nuova forza. Annie diceva ieri mattina: “io prima avevo una certa diffidenza verso gli ebrei, me li sentivo piuttosto lontani e li credevo differenti da noi.
Ma adesso invece sento di volere loro molto bene e mi sono accorta che siamo proprio uguali”. Ed è proprio vero: per quanto già da prima si potesse essere superiori ad ogni pregiudizio nei loro riguardi, era necessaria la persecuzione perché ci accorgessimo di essere formati della stessa sostanza. Anzi una cosa è strana: proprio noi cattolici sentiamo ormai in loro una strana affinità, poiché siamo minacciati dallo stesso pericolo. A volte ho la sensazione precisa che non ci dividano dalle persone di religione diversa altro che pregiudizi antichi e ormai superati, ma che nella nostra adorazione della divinità e dello spirito umano siamo già pienamente fusi. Basterebbe un nulla per distruggere le ultime barriere e saremmo finalmente uniti. Ma l’ateismo e il paganesimo avanzano con la loro mania di distruzione, tentando di scavare abissi sempre più incolmabili fra i popoli, per poter poi giungere vittoriosi e dominare su questa nostra disgregazione. Dio mio, se lo spirito potesse ancora vincere!
Ho scoperto che anche C. ha ormai le nostre stesse idee e mi sono accorta che ha cambiato espressione nel volto meno disdegnoso e più dolce e sono riuscita finalmente ad accorgermi della sua intelligenza vigorosa e vivace.
Abbiamo disputato a lungo lui ed io per aver il piacere di rafforzare le nostre stesse idee, fingendo di contrastarcele. Ho acquistato una strana serenità dalla loro compagnia. Sono molto nobili e coraggiosi. I ragazzi D. sono in Palestina da circa un anno e si stanno impetuosamente ricostruendo la vita. Le autorità inglesi hanno accolto con grande deferenza il prof. M. come un generale medico che ha sempre compiuto il dovere della sua alta missione; il nunzio apostolico ha salutato in lui l’alto spirito di sacrificio e l’[onoroso/amoroso] senso della sua umanità. Ne erano tutti orgogliosi e commossi. Ma la signora B. mi ha confidato: “Che faremo noi se perderà l’Inghilterra? Ci abbandoneranno sopra una zattera in balia della corrente.” Ho sentito allora più profonda e giustificata la mia ammirazione verso gli inglesi, che si sono assunti l’incarico generoso di difendere i perseguitati anonimi di tutto il mondo  e ho sentito come il mio amore verso di loro sia ancora più intenso e vibrante di quello dei perseguitati, poiché non aspetto da loro nessun vantaggio individuale, non ho bisogno del loro appoggio per affermare in me la fiducia del bene, ma li sento come collaboratori mistici in questa nostra lotta impari contro le forze mostruose che vorrebbero gettarci nel vortice oscuro di un nuovo medioevo.
Eppure con i C., i B., e quelle altre signore ebree che erano da loro ci siamo confidati sottovoce il nostro struggimento per le sorti dell’Italia, il nostro istintivo attaccamento a lei, malgrado tutto, al di sopra di tutto. Chi ha detto che gli ebrei non sentono la patria? Con nessuno, come con loro, mi sono sentita all’unisono in questa passione dolorosa che tutti proviamo in questo strano periodo storico di trapasso, in cui il nazionalismo europeo minaccia di crollare sotto il turbinoso dilagare dell’imperialismo germanico. Riusciremo a salvare la nostra patria dalla voragine? Questo punto interrogativo si fa di giorno in giorno più spaventoso…

11 luglio
Ieri giornata di mare a Ostia: mi sento ancora piena di sole concentrato sulla mia pelle, che continua a bruciarmi a poco a poco e mi tiene compagnia in questo mio lavoro scialbo e privo di interesse. È triste sentire come, poco per volta, io venga perdendo ogni conforto dalla vita. La speranza nella giustizia, la passione del lavoro prescelto, la comprensione delle persone che mi circondano, la speranza di un avvenire migliore, l’illusione di superiorità che mi dava il mio assurdo amore amicizia, così tenacemente fedele. A poco a poco cadono gli appoggi che avevo creato al mio spirito, il quale rimane solitario ed esposto alle raffiche sempre più violente di questa bufera che vorrebbe abbatterlo, ma non riesce a piegarlo. Non so del resto di che qualità sia il mio spirito, né quale resistenza abbia, so solamente che è di una terribile sensibilità. Vedo le altre persone sorde al dolore infinito che trafigge invece vivacemente ogni minima particella della mia povera personalità. È stata tranquilla la giornata di ieri abbagliata da tanta luce, con gli aspri paesaggi dall’ardore accanito del sole e della sabbia ferrigna al freddo aspro della acque marine. Perché mai quel sole così ardente non riusciva a riscaldare quelle acque a lui sottoposte? Anche le persone che erano con me sembravano gaie e infantili: godere così degli elementi è tanto piacevole e puro, ci fa ritornare all’infanzia inconsapevole, quando ogni contatto con la natura stupiva ed affascinava.
Raulli anche era con me ed ho scoperto di nuovo che è una creatura molto cara con quella sua apparenza scontrosa e un po’ sgarbata. Il suo spirito così intelligente vorrebbe ridere di tutto e in particolar modo di se stessa. Cercava con testardaggine di evitare il noto argomento: non voleva discutere con me. Ha dichiarato più volte di aver rinunciato ad avere idee in proposito, ma nello stesso tempo osservava che di conseguenza non riusciva ad avere un giudizio su nessuna cosa umana nemmeno singola e individuale. E intanto agisce, suo malgrado, con uno strano istinto di persona coraggiosa ed onesta, ripugnando al male e affermando con la sua azione, che sembra indifferente, il bene anche nelle minime cose. Ma il suo spirito non vuol più giudicare. Poi ha concluso che nella mia ribellione io sono molto più felice di lei, perché non mi rassegno ed insisto a credere che quello, a cui abbiamo creduto, è giusto ancora adesso, malgrado tutto e che non son state le nostre vuote chiacchiere senza costrutto. Ma come si può pensare una simile cosa, quando sentiamo ancora in noi così viva la sofferenza della sconfitta e quando in realtà la loro vittoria è scivolata superficialmente sulle nostre anime, senza alterarne la tempra? No, non riusciranno
a vincere questa nostra resistenza, sia pure passiva, noi non saremo mai sottomessi e, se anche diventiamo sempre più una minoranza, questa assottigliandosi si va purificando e diviene più tagliente e resistente. Malgrado tutto, sarà questa nostra minoranza che finirà col rovinarli.


13 luglio
È venuto d. O. [don Otello] da Assisi e ci ha voluto incontrare: la sua curiosa personalità di giovane prete paesano, che vuol sembrare moderno e spregiudicato, mi è sembrato un ricordo sbiadito di tempi passati. Assisi sta sempre allo stesso punto: ancora si parla del pericolo da noi corso e di tutto l’intrigo che la malignità aveva intessuto attorno alla nostra inesperienza, mentre io avevo quasi dimenticato tutto questo. Si cerca lassù di adattarsi faticosamente alle idee fasciste, che sembrano ultramoderne, mentre sarebbe proprio giunto il momento di superarle; e quella vecchia chiesa, dal tanfo un po’ ammuffito di sacrestia, si barcamena alla vecchia maniera per non irritare gli [apparenti] vincitori di oggi, senza abdicare alle sue credenze antiche; e così malamente cammina, zoppicante e circospetta. Se non riusciranno a liberarci prima, il nuovo medioevo della forza ci ingolferà ancora in un vischioso labirinto di pregiudizi ecclesiastici e profani, tra cui pulluleranno le eresie. Ma il comunismo sta in attesa dietro le porte con il suo sogghigno spregiudicato e rivoluzionario: nessun compromesso fa quello che il vecchio diritto umano, né con la tradizionale moralità. Offende integralmente tutte le nostre illusioni e le nostre profonde credenze e deforma con la sua lente di ingrandimento la nostra subdola malvagità, ripetendo volta a volta gli stessi nostri atti mostruosamente ingigantiti; come un ragazzaccio motteggiatore che sbeffeggia le persone dabbene, rifacendo i loro stessi gesti con grottesca caricatura. E intanto si prepara all’attacco diretto per il momento in cui ci vedrà ben dissanguati da questa nostre inutili guerre, per quando scorgerà sui nostri visi disfatti i solchi della stanchezza e l’ansia disperata per un respiro di riposo. Allora ci afferrerà alle spalle per scuoterci alla ripresa o per strapparci le nostre conquiste. Ci troverà preparati? Saremo capaci allora di affermare finalmente noi stessi? E lo lasceremo indisturbato dilagare sopra le nostre anime stanche? Ma chissà che non sia proprio quello il corrosivo capace di disgregare la violenza germanica e il reattivo adatto a purificare la torbida opacità dei vecchi ambienti ecclesiastici.
Si sente a volte come un’incosciente aspirazione ad un martirio purificatore!


15 luglio
Ieri ho salutato Grazia che parte per la Sardegna e sembra definitivamente. Mi ha fatto una terribile tristezza, come per qualcosa che si spezzasse. Lei spera di tornare almeno per le scuole, ma chissà che sarà avvenuto di qui a settembre, e chissà che non decida poi di farsi trasferire in Sardegna! Così ci tocca ad affrontare questi momenti sempre più angosciosi da soli, in un isolamento che si fa sempre più squallido. So bene che innumerevoli legami ci terranno sempre unite, ma non potremo più ormai sapere che quando la sofferenza si fa troppo opprimente e ci si inturgidisce fino a soffocarci, allora si potrà trovare poco lontano da noi chi capirà immediatamente e ascolterà con paziente attenzione, anzi con interesse e chi si prenderà parte del peso quando ci vedrà piegare. Non potremo più neanche scriverci: la posta è adesso severamente censurata. Abbiamo adattato per noi quel linguaggio convenzionale che funziona già tanto bene tra me e Loretta, ma questo non sarà sufficiente: tra noi ci sono ben altri e più antichi legami che non possono esprimersi con quelle scherzose parole a chiave e non possono sopportare il contatto freddo e impuro di un controllo politico. È dunque la nostra giovinezza che se ne va con tutte le sue consolanti illusioni. Per questa grigia e pesante maturità, che si sta approssimando come una spaventosa cappa di piombo, non è consentito neanche il conforto dell’amicizia. Rimane Nina per ora, ma fino a quando? Comincio a tremare di ogni cosa.

17 luglio
Bisogna che cerchi di afferrare in fretta la gioiezza involontaria e senza motivo di questa mattinata estiva. Ho dato un rapido affettuoso saluto al mio HITLEP più mutilato che mai e sono corsa avanti in questo vento luminoso che alleggerisce i pensieri. Eppure in qualche parte c’è la guerra. Ma non è possibile. Italiani e Inglesi hanno troppo spirito e cuore per contaminare l’azzurro Mediterraneo con una guerra vera. E poi perché distruggersi sul serio? Ci sono stati per tanti secoli nel “Mare internum” insieme senza darsi fastidio! Ma ogni tanto fingono di fare sul serio. Bisogna pur dare soddisfazione al torvo Hitler, che sorveglia con fiero cipiglio i suoi sbarazzini alleati protetti, che [sfuggono] sempre tra le sue gelide dita! Dal tram si è affacciata sulla strada una graziosa fanciulla bionda, che se ne andava al mare con la sua grossa borsa di tela in compagnia di un adolescente malinconico che la guardava con tenerezza. Era tanto piacevole starla a guardare. Dal suo corpicino slanciato e acerbo irradiava la luce dorata del sole che aveva imprigionato sotto la pelle e raccolto nei capelli soffici e luminosi. Ed era tutta emozionata per l’effetto che faceva la sua fresca bellezza. Son graziose questa fanciulle, che tutti dicono tanto maliziose, ma che a me sembrano tanto puerili. Alla nostra età le ragazze sono ormai abituate alle emozioni che possono trarre dalla propria bellezza e possono giudicarle con una certa indifferenza. In fondo sono sciocchezze! Le prime scoperte sono emozionanti. Ma che cosa mai mi ha messo tanto di buon umore? Forse quelle gaie, luminose pagine del viaggio di Kim, il monello inglese che attraversa l’India con il suo pazzo ed ingenuo lama. È proprio intelligente il buon Kipling! E in piccole osservazioni riesce ad esprimere il segreto di quel misterioso potere che spinse gli anglosassoni al loro quasi involontario imperialismo mondiale. “Non vi sono che i diavoli e gli inglesi che vanno su e giù senza alcun motivo!” ha esclamato il saggio servo indigeno, come se dicesse un vecchio proverbio indiano.
Proprio così dovevano apparire questi strani uomini altissimi ed evanescenti, dalle maniere molto cortesi ma piuttosto rigidi e contegnosi, chiusi nel loro isolamento con naturale disinvoltura, e in continuo movimento in cerca di qualche misterioso segreto, che sfuggiva alla comprensione di quei pigri orientali mistici o grossolani, espansivi o taciturni. E intanto quegli uomini strani allacciavano le fila di misteriosi poteri che producevano ricchezze sconosciute, le quali però sostanzialmente non interessavano i popoli indigeni: essi si servivano delle strade nuove e grandi, degli acquedotti generosi di liquido prezioso, degli strani oggetti confezionati in occidente, ma per tener dietro alle loro fantasie misteriose, per rintracciare i miraggi del loro fervido misticismo, per obbedire ad una fede che voleva essere soddisfatta. E così restavano sempre se stessi. E Kipling aggiunge, poco più avanti: “Il lama non aveva l’impazienza caratteristica dell’uomo bianco, ma soltanto una gran fede”. In tal modo gli Inglesi fondarono il loro imperialismo spontaneamente dando alimento alla propria vivace impazienza, ma rispettando la fede dei popoli, presso cui si recavano: chiamarono poi questa loro missione nel mondo con una frase molto curiosa ed espressiva: “Il fardello dell’uomo bianco”.
Ma ad un tratto i popoli scoprirono la potenza di questo loro misterioso segreto e ne rimasero sbigottiti. I deboli protestarono piagnucolando, mentre coloro che si credevano forti arsero di cupida invidia e si precipitarono per strapparglielo. Come fanciulli sconsiderati volevano distruggere il giocattolo misterioso, per tentare di scoprire lo strano meccanismo. Ma il segreto è nel movimento e non si muove il giocattolo se la molla è spezzata. E se gli Inglesi dovranno morire, il loro misterioso potere scomparirà con loro, forse per sempre e il mondo ne resterà come spento. Soltanto gli Italiani potrebbero afferrare la scintilla segreta di quella nuova forza creativa; ma dovrebbero conservare per questo la loro genialità intuitiva e la loro leggerezza di tatto. Riusciranno in questo miracolo, malgrado il Fascismo?


(dal letto)19 luglio
Quel maledetto sta parlando in quel suo orribile, diabolico tedesco abbaiante. Ha cambiato voce: prima vibrava stridula, con acuti accenti metallici, ora è cupa e profonda, con una orrenda risonanza interna, come di chi parli in un imbuto di pergamena. A intervalli orribilmente regolari la folla interrompe con battimani ben misurati. È l’inizio dell’assalto decisivo: l’Inghilterra è ormai sotto l’incubo supremo. La vedo palpitare nel suo mare, ansiosa, ma impassibile e risoluta e temo disperatamente per la sua sorte. Dio, salva l’Inghilterra, ti prego, proteggila con la tua grazia miracolosa, salva il mondo intero con lei. Anche se dovrà venirne a noi atroce sofferenza, questo nostro dolore sarà sempre un bene molto superiore alla lugubre e ignobile gioia di un trionfo ingiusto e non meritato. Ascolta, Dio, questa volta la nostra preghiera, che è pura da ogni egoismo. Salva l’Inghilterra, Dio, falla uscire vittoriosa da questa terribile prova!

20 luglio
Stanotte sono venuti, sono venuti davvero: non hanno soltanto ululato le sirene, ma ho sentito il ronzio degli aeroplani sopra le nostre teste e poi gli scoppi della difesa antiaerea e naturalmente non ho avuto paura. È stata la risposta a quell’interminabile discorso di H., concluso da quel lugubre applauso barbarico, aritmicamente prolungato a ondate successive, come i loro mostruosi aeroplani: mi è parso quasi una fantasia di guerrieri abissini. Naturalmente Hitler invitava alla pace, dopo che ripeteva con precisione stupefacente le medesime, identiche dichiarazioni menzoniere dei discorsi precedenti, per suggestionare se stesso più che gli altri sulla verità della propria asserzione. E quelle dure teste devono essere ormai ben persuase a procedere sicuri come automi allucinati e meccanici, i quali non possono sentire niente altro all’infuori della propria ossessione. Così si scaglieranno contro l’Inghilterra per demolirla. Ma lei, imperterrita, è venuta da noi ad annunziarci che non si è spaventata affatto e che prosegue impavidamente. Naturalmente non ci ha fatto alcun male ed io non credo neanche che sia stata una minaccia la sua. L’Ingh.
deve sapere che, finché rispetterà le cose sacre, non può morire; ma una profanazione la perderebbe; distruggere Roma sarebbe una profanazione. Io so che l’Ingh. non la colpirà mai. Mi ha fatto un piacere un po’ strano sentirli così vicini sopra le nostre teste: sarebbe bastato un nulla per tenderci la mano e poi tutto quell’odio artificiale sarebbe scomparso. Ma perché ciò fosse possibile, bisognerebbe liberarci da questa odiosa paralisi di putrefazione fascista; e sarebbe tanto bello, con una sola azione, liberarci dalla schiavitù e ritrovare un vecchio amico.
Siamo scesi in cantina con gran fracasso e molta allegria. Sono venuti giù anche i bambini dell’On. F.: imbacuccati nelle coperte di lana dormivano sereni tra le braccia dell’[istruttrice] e della cameriera. La piccola è deliziosa: riccioluta, sensibile e delicata quanto i genitori sono sgraziati pesanti e grossolani. L’ho accarezzata con tenerezza e, senza accorgermene, quasi per vezzeggiarla più affettuosamente, le ho detto: “Ciao, Elisabetta!” e l’ho baciata. (Nel nostro gergo di cospiratori Elisabetta vuol dire Ingh.). La piccolina ha aperto gli occhi, e mi ha sorriso per ringraziarmi, poi ha ripreso a dormire: aveva capito che le avevo detto una parola affettuosa. L’incidente è stato molto buffo e con Annie abbiamo riso con molto gusto: se lo sapesse il babbo gerarca! Ma con i bambini ci si capisce sempre, soprattutto senza spiegarsi.
La nottata in un ricovero durante le incursioni è quasi sempre una parentesi allegra e movimentata. Qualcuno ha paura: si capisce benissimo o dal suo silenzio oppure dal suo chiacchierare troppo disinvolto. E sono tanto ridicole le persone che hanno paura, tanto ridicole, che finiscono poi con l’essere divertenti. Ricordo molto vagamente le fughe di notte per difenderci dagli aeroplani tedeschi durante l’altra guerra. Ero piccolissima e confondo moltissimo; per esempio non ricordo affatto come ci dessero i segnali, ma ho la precisa sensazione della gaiezza piena di eccitazione che ci procuravano quelle improvvise corse in cantina. C’era una moltitudine di bambini di tutte le età e dimensioni in quel vasto casamento, dove eravamo agglomerati per la penuria degli alloggi e per noi ragazzini riunirsi al buio, di notte, in fondo alla cantina scura e misteriosa, con i paltoncini gettati in fretta sopra le camicine da notte, era una vera festa, come un gioco nuovo e pieno di sorprese straordinarie.
Le sensazioni che mi sono rimaste della guerra di allora non si limitano soltanto a queste gioiose ed emozionanti corse notturne giù per le scale; c’è anche l’incubo del colonnello che lugubremente entrava ad una ad una nelle case dei nostri conoscenti ed annunciava le morti; il grido di mia madre quando lo vide entrare da noi e poi la gioia assurda e disperata che seguì alla notizia della ferita grave, molto grave questa volta perché potesse tornare al fronte. In seguito l’allegria degli ospedali militari dove passavo le mie giornate giocando e scherzando con tutti quegli allegri giovanottoni feriti e infine uno stridio di gallo strangolato: era l’annuncio dell’armistizio festeggiato a Livorno, lì sotto la nostra casa, con l’uccisione del superstite pollo. Ma soprattutto mi restano nelle orecchie i primi canti che ho imparato bambina.
Ricordo che nella scuola di suore, dove avrebbero dovuto istruirmi, si cantava un inno monotono e fastidioso, con un insistente ritornello: “Salva l’Italia, l’Italia bella; tu puoi salvarla, Gesù, tu sol …” Alla mia immaginazione bambina questa supplica appariva assurda e anche ingiusta. Vedevo i bambini austriaci cantare una canzone identica, in cui variava soltanto la lingua, e in alto il Signore che rimaneva perplesso ad ascoltare e non riusciva a stabilire quale canto avrebbe dovuto esaudire. D’altra parte vedevo mio padre che cercava veramente di salvarla questa nostra “Italia bella” minacciata da quegli orribili uomini, che parlavano una lingua irta di suoni gutturali ed aspri “Kr, stu, spl”. E allora preferivo cantare a squarciagola con tutto il mio fiato robusto “Motte a Flanz: Viva Obbeddan … Morte all’austriaca gallina. Noi voliamo la libbettà”. Stonando si capisce, perché io stonavo anche allora, quando ancora non sapevo pronunciare le consonanti difficili.

[3 PAGINE CON APPUNTI A MATITA NON LEGGIBILI]

E a quel medesimo punto sono rimasta ancora. La guerra, siamo tutti d’accordo, è una deformità, una pazzia umana, anzi più propriamente un fallimento delle possibilità razionali degli uomini, i quali sono costretti a confessare di non esser più capaci di risolvere i problemi per mezzo delle proprie facoltà specifiche di intelligenza e di ingegno e si riducono ancora a chiedere aiuto a quella bestia primordiale che subdolamente dormicchia acquattata dentro di loro. Dunque la guerra è una cosa disumana e così l’odio. D’accordo. Ma
quando la guerra è in atto e gli uomini non sono stati capaci di evitarla, allora è inutile fingere di non portare odio, di essere umani, è vile pretendere di non combattere. Almeno questo io sento quasi per istinto naturale. Forse sarà un resto di primitività selvaggia, ma sta di fatto che la guerra scatena automaticamente anche in me, come negli uomini, gli istinti più riposti e primordiali. Io so di essere diventata da quel terribile settembre scorso più cattiva e feroce e quello che è strano non riesco a provare né rimorso, né vergogna, né pentimento per questo: mi sembra che tutto ciò sia avvenuto senza l’intervento della mia volontà e che perciò io non possa far cessare volontariamente. Non sono stata io a dichiarare la guerra, né sarò io purtroppo! a farla cessare. Ma non posso, non voglio cedere al vincitore ingiusto, chiunque egli sia. Su questo abbiamo discusso vivamente l’altra notte con la D. e sua nipote e loro erano molto indignate per questo mio stato d’animo.
“Non bisogna odiarli” dicevano dei tedeschi “altrimenti ci mettiamo al loro stesso livello”. E forse è vero: ma in teoria. In pratica io ho ancora adesso la precisa impressione che non vogliono odiare i tedeschi, perché, anche loro, malgrado tutta la loro superiorità d’animo, ne hanno troppa paura. Di una cosa però io sono sicurissima:
che tutto il mondo potrà tremare di fronte a loro, tutti si potranno prosternare sotto la loro violenza, ma io non li temerò mai, poiché oltre a odiarli io li disprezzo per questa loro goffaggine, per questa loro grossolana incapacità assoluta di capire la scintilla della nostra umanità.
Tutto il mondo potranno conquistare, ma il mio spirito non lo piegheranno mai. E sono sicura che non sono io soltanto ad avere questa certezza.
Numerazione
Numero:
2
Reference code
ITA FLLB AA.0001.0002UA.0002UD
Link esterni
Fondazione Lelio Basso \ Memorie al femminile la guerra e la Resistenza nei diari di Ada Alessandrini

Relazioni

Soggetto produttoreAlessandrini, Ada
Fondo di appartenenzaAda Alessandrini
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