Lazio'900
Memorie sulla guerra, sul fascismo e nazismo, sulle speranze per l'Italia
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Documento
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Metadati

Tipologia
Diario
Data
Data:
03/05/1940-03/06/1940
Consistenza
Tipologia:
pagina/e
Quantità:
106
Contenuto
Trascrizione del diario manoscritto:

03/05/1940
Bisogna assolutamente che scriva: non è giusto che questa nostra sofferenza rimanga sconosciuta e nascosta, non è giusto che la nostra protesta non venga ascoltata. Finché la teniamo chiusa in noi stessi, serve come nostro sfogo o come nostra formazione, ma è ormai ora che questo dolore venga da noi offerto a coloro a cui spetta. Non importa se non saranno belli i miei scritti: io non voglio fare letteratura, voglio, devo dire la verità. In questo momento terribile in cui sembra che debba crollare l’unica forza europea che ha avuto il coraggio di opporsi alla dissoluzione, noi ci sentiamo orribilmente scoraggiati. Ed è la prima volta che io provo vergogna dei miei inglesi. Perché non hanno sostenuto la situazione affrontandola? Perché hanno abbandonato coloro che dovevano sostenere? Perché infine fingono di non aver avuto perdite in questa spaventosa carneficina? “Che io sappia non abbiamo perduto un sol uomo” ha detto Ch.: so bene che non si riferisce all’impresa totale, ma all’ultimo episodio, però perché offrirsi in tal modo all’attacco dei vili? Tutti debbono avere l’orgoglio di vantare i propri sacrifici. E invece loro no. Strani, misteriosi isolani, chi riuscirà mai a capirvi?
Stamattina al Consiglio parlavano di voi con disprezzo: “non sono capaci di fare la guerra”, poi una ragazza sciocca o superficiale mostrava compassione di voi; ieri un giovane, che prima vi ammirava, era furiosamente indignato contro di voi “Non ci si espone a fare di queste figure”. Anche l’Osservatore vi tratta severamente; e noi, io specialmente, vi difendo con troppa violenza: debbo difendervi, per prima cosa, contro di me.
Che sarà dunque se voi crollate? Siete l’unico punto fermo in questa sconnessa, pavida Europa. Lo farò bene, lo sento che i nostri [fascisti/parassiti] sono la causa di tutto. Essi, stando bene al sicuro, vi hanno minacciato, sapendo bene che non avrebbero fatto nulla, e voi, che non riuscite a credere a tanta viltà, siete caduti nel laccio e siete accorsi là dove non c’era bisogno di sostegno e vi siete perduti. È  dunque proprio perché sono consapevole di questa nostra colpa che voglio parlare e ricordare; perché dalla conoscenza del nostro dolore, si lavi la responsabilità del morale e si operi il riscatto.
Dal principio io voglio parlare, da quando tutti avevamo creduto che avremmo dovuto fare la guerra. Ma nessuno la desiderava, nessuno la sentiva.
Stavo a Carrara. Da Spezia sgombravano tutti: molti trasportavano le masserizie su carrettini a mano. Dove andavano? Nessuno lo sapeva: alla ventura, in gran fretta e imprecavano contro Hitler e contro gli inglesi, che disturbavano la loro villeggiatura. Dei polacchi nessuno parlava: per loro non esistevano. Volli precipitarmi a Roma: speravo che avessero bisogno di me in qualche posto. E così cominciai ad andare contro corrente: tutti fuggivano da Roma e mi canzonavano perché non fuggivo io pure.
Ricordo il treno affollatissimo: in 7 nel gabinetto; tra i piedi bagagli di tutti i generi, da lettini per bambini a cucinette portabili; i controllori non passavano, molti viaggiavano senza biglietto. Parlavano tutti forte, con grande libertà, erano tutti allegri, non sembravano spaventati: erano tutti stranamente superficiali. Ricordo un cappuccino giovanissimo, vigoroso: era l’unico che si rendesse conto della gravità del momento, delle orribili cose che stavano per accadere: era cappellano militare: desiderava di andare al fronte: ci siamo capiti subito quasi senza parlare: mi ha fatto toccare il cordone della sua tonaca “Porta fortuna” ha detto. Io ho pensato agli inglesi. Sentivo che noi non ne avevamo bisogno. Roma era immersa nell’oscurità: è bella la città completamente buia, con quel suo magnifico cielo infinitamente grande e profondo e le stelle tanto luminose e vicine. Quello strano brivido del pericolo non spaventa, anzi eccita. Finché l’uomo non perderà questo fremito ansioso, che si prova al pensiero della morte, sarà difficile evitare le guerre, io credo. Attraversare al buio era molto pericoloso e le macchine correvano misteriosamente impazzite. Ero sola e non pensavo a nessuno.
Ricordo adesso un’altra nottata buia (prove antiaeree) in cui attraversavo la strada insieme con lui, non mi guardavo dalle automobili, ma esse sguisciavano vicino a me, mentre lui tentava con ritardo di difendermi. Gli dissi “se dovessimo fare la guerra con i tedeschi, vorrei morire subito!” Mi rimproverò “Questo non è coraggio: è viltà” Ma neanche lui ama i tedeschi. I giorni che seguirono li ricordo confusamente: l’attacco della Germania contro la Polonia; le mie lotte contro coloro che sostenevano che l’Inghilterra non sarebbe intervenuta; la mia facile profezia che sarem… [sic]


Assisi 10/05/1940
Intanto proseguo da oggi, mentre completo la parte retrospettiva. Strana differenza ancora tra oggi e ieri. Sembravo serena ieri, come se tutto potesse accomodarsi. La guerra di Norvegia in fondo non era ancora risolta e poi, se anche fosse andata male, io pensavo ci sarebbe stato un accomodamento, come una fusione tra i due ideali, tra le due forze. Tornavo dalla gita a Todi: era stata una giornata luminosa e serena. Todi è una cittadina vigorosa e ricca in una campagna magnifica, splendidamente medievale e [appassionata dal] Risorgimento. Palazzi cupi e turriti fioriti da trifore ricamate; monumenti a Garibaldi e strade a Cavour e Vittorio Emanuele II: la rocca devastata e ricoperta di prati smaglianti; bambini e cani che ruzzavano felici e incoscienti. Il cielo era denso di nuvole cupe, ma un arcobaleno saldo e lucente, doppio anzi triplo nelle tinte confortava di promesse, mentre l’acqua ci spruzzava il viso. Abbiamo parlato di quando con Eluccia ed il suo sensualismo sano non mi ha disgustato. Ho detto: “È bello sentirla vivere pienamente questa nostra carne ardente di desiderio”. ed io non mi sono indignata. L’aria disperdeva il suono delle parole, che non gravavano dense e consistenti sopra lo spirito che ascolta. Al ritorno Eluccia mi spiegava per l’ennesima volta la questione vera della razza ed io esultavo, mentre scientificamente e con pacata indifferenza, mi dimostrava che noi non siamo della stessa stirpe degli odiosissimi germanici. Il ceppo mediterraneo è restato inflessibile e saldo sotto la pressione dell’arianesimo, a cui abbiamo tolto la struttura grammaticale, linguistica, mentre la radice fonetica del linguaggio è rimasta italica o etrusca. Dunque abbiamo preso da loro il succo che ci serviva e abbiamo respinto la buccia infeconda del frutto spremuto: dall’innesto di questa linfa nuova nel tronco italico è germogliata la quercia magnifica della romanità. Ma noi non siamo ariani se non per la lingua, anzi per la grammatica della nostra lingua.
Ma ad un tratto, mentre parlavamo di ciò, hanno fatto irruzione nel nostro scompartimento una valanga di giovani scalmanati: tornavano dalla partita: avevano perso naturalmente, perché la squadra ospitata è sempre perdente in questa Umbria che sembrerebbe molle e assonnata, ma che deve essere bollente nel tifo del calcio; erano dunque perdenti, ma allegrissimi e cantavano tanto bene. Anche i soldatini del 52, con la loro splendida cravatta rossa, cantavano con quei ragazzacci ridenti e felici, e un ufficiale, piccolo e macilento, li guardava compiaciuto e scrollava la testa sorridendo. Il controllore ha borbottato qualcosa sulla disciplina e noi tutti abbiamo alzato le spalle. Odiosa, vecchia, arcigna, incosciente, malvagia disciplina: quanti misfatti si compiono in tuo nome!
E allora ho pensato che l’Italia in fondo poteva risolvere il problema con quei medesimi giovani allegri e un po’ volgari, esuberanti e spensierati, aggressivi, ma non crudeli, ignoranti e illusi ma generosi. Sapevano cantare così bene. Le loro voci si fondevano naturalmente, ma non erano una voce sola. Allora ho sentito i miei inglesi tanto lontani e come evanescenti ed ho pensato che la loro perfezione è forse troppo irreale perché possa servirci. Eppure ho sentito il loro sacrificio ancora più eroico perché forse destinato a non raccogliere il frutto della vittoria. Ma oggi tutto è stato di nuovo [stroncato] dalla più orribile realtà. Anche il Belgio hanno invaso quei maledetti! Non ho voluto leggere i giornali: la paura di vedere come sono approvati da noi. L’ho sentito bisbigliare per le piazze e in treno: la gente è indignata e timorosa, si sente sconvolta e vorrebbe esprimere la sua indignazione; ma tace perché sa che domani sarà costretta ad affrontare il nuovo misfatto.
A casa mi hanno accolto [furiosamente] Loretta e la sorellina: protestavano con violenza, ma con disperazione. La piccola mi ha raccontato come fu che ha perduto la sua fede fascista. Ha 17 anni. A settembre, mentre tutti temevano l’inizio della guerra, ella, fremente, desiderava che si andasse a combattere, perché altrimenti sarebbe stata la fine del suo fascismo, in cui ella credeva. Ma venne la neutralità e il fascismo non cadde. La piccola allora rimase fieramente addolorata, piangeva la notte perché i suoi eroi l’avevano delusa. Eppure non era venuta la guerra! La piccola era fidanzata e il suo amore non andava a combattere. Parlando di lui, ha detto che mai non gli aveva fatto dono della sua fede fascista e mai non era riuscita ad ottenere da lui (aveva sempre compiuto per lui i più penosi sacrifici) che egli parlasse senza odio e disprezzo del fascismo alla sua presenza. E ora egli aveva vinto. Ma anzi, non era stato lui a convincerla, ma i fatti stessi a disingannarla. E adesso era doppiamente furibonda. In treno P., con cui ho tante volte discusso furiosamente, mi ha detto che, sentendo la radio, aveva pensato a me e quasi mi faceva le condoglianze. Mi è sembrata molto disgustata e niente affatto soddisfatta. E disse che li ammirava tanto prima i suoi amati tedeschi. Le ho detto che non potevo più indignarmi per quello che facevano, poiché non mi stupivano più: erano come un delinquente che si da alla mala vita o una donna che si prostituisce; una volta rotte le regole morali, precipitano fatalmente sempre più in basso. E in fondo questo non è indice di forza, ma di disperazione.
Lei ha detto che non riesce più a sentir confessione o semplicemente a preoccuparsi degli altri e ciò non soltanto in politica, ma anche nella vita privata “Bisogna rinchiuderci nel nostro egoismo”. Io sento invece come se la mia sensibilità sia tutta scoperta: e non potendo far nulla per nessuno, mi […] ormai il perché di questo orribile disorientamento, mi sembra che l’unica cosa che ci sia concessa oramai sia di soffrire volta a volta per gli innocenti, che vengono sacrificati. Accoglierà Dio questa nostra offerta? Forse l’accoglierebbe se non fosse condita d’odio. Ma io non posso fare a meno di odiarli quei malfattori! E quel che è peggio questo mio odio finisco col comunicarlo. Questa mattina in classe spiegavo Carducci e dicevo che era sua caratteristica non abbandonare le illusioni neanche dopo la più fiera delusione; che questo non voler abbandonare i propri ideali era caratteristico dello spirito italiano e che potevamo ritrovare questa ostinazione a voler credere persino attraverso il pessimismo leopardiano “siamo come i tedeschi” ha esclamato un ragazzo, soddisfatto anzi lusingato dal confronto. Mi son sentita ribollire il sangue e senza pensare quasi, ho protestato “I tedeschi son diversi da noi: il loro spirito non è il nostro; del resto non è nostro compito esaminarlo ed esaltarlo” e ho aggiunto furiosamente “e poi i loro non sono ideali”. Tutte sciocchezze naturalmente, perché non sapevo che cosa mi dicessi.
Il ragazzo è rimasto stupito e molto contrariato: si aspettava una lode, forse un bel voto. Degli altri qualcuno ha trasalito, altri hanno protestato subdolamente tra i banchi, alcuni hanno scintillato di soddisfazione. Ed io ho ripreso a spiegare Carducci, non so se pentita o soddisfatta.


Roma, sera del 10/05/1940
Chamberlain si è dimesso ed è sopraggiunto Churchill. In fondo sono contenta: le cose diverranno più rapide e violente. Son sicura che Chamb. ha accettato serenamente la caduta: e poi non è caduto il nostro coraggioso vecchietto tanto idealista e generoso; egli non ha ceduto la lotta: ha solo passato la cura del timone ad altri: la crudeltà e la violenza non erano virtù che egli potesse sostenere, come l’onore e il desiderio di conciliazione. Ora è necessario agire con veemenza ed egli accetta di obbedire. Ma da quando egli ha brandito il suo pacifico ombrello, è stato deciso che non cederà. La radio ha data la notizia masticando rabbia fra i denti, almeno così mi è parso. Li hanno sbeffeggiati perché non riescono a trovare uomini nuovi, uomini giovani, come dicono loro. Ma credo che siano seccati di vedere che l’alternarsi dei capi non è il capitolare di un sistema e di una concezione. Chamb. come Daladier rimangono in primo piano in questa tragica lotta.


Roma, 11/05/1940
Sorpresa e disgusto all’uscita. Roma è tappezzata di manifesti anti-inglesi, ridicoli davvero nella redazione: sono intitolati “Il fallimento dell’Inghilterra” o “L’Inghilterra ha perduto l’autobus”: vorrebbero dimostrare che l’Inghilterra è finita. Ma è dunque così che vogliono preparare la guerra? Ricordo ciò che ha fatto Annie ieri a scuola. Una maestra ha detto: “Bisogna esser ben sicuri che l’Ingh. sia finita prima di intervenire. La forza delle nazioni consiste nel prender la parte di chi è decisamente il più forte”. Annie ha risposto “La vostra vigliaccheria mi fa schifo”. Era la moglie di un gerarca. Comincio a temere anche io che venga la guerra con quelli. Eppure non riesco a credere che siano proprio così vili: in fondo anche loro sono italiani. Ho paura del 24 maggio; sarebbero capaci di entrare in guerra lo stesso giorno: sarebbe proprio terribile. Al Vaticano ho visto la signora B.: era serena, quasi contenta. Lei, che è francese, ha dovuto confortare noi. “Questa volta non passeranno” ha detto e poi ha soggiunto amaramente che C. si era stupita perché Belgio e Olanda non si erano arresi senza combattere. C. è figlia di un generale, ma non ha più il senso dell’onore. E ha aggiunto le parole di suo marito: “forse se i tedeschi venissero in Italia, li lascerebbero passare senza combattere”. Lui è italiano. Mi sono ribellata come se mi avessero schiaffeggiata e lei ha capito con tanta finezza e ha dichiarato che non ci crede neanche lei. Cari e nobili francesi! anche attraverso un insulto noi ci comprendiamo. Nina mi ha rialzato il morale. Lei ha più fede di me e non si scoraggia: ma io sono così sola ad Assisi nella mia lotta contro il torpore di tanti inconsapevoli e l’impeto scomposto di quelli convertiti da poco! È strano come noi si combatte una guerra strana; senza comandanti, senza programma, senza direttive, isolati nel vuoto spesso senza renderci conto di quali siano gli scopi immediati della nostra battaglia e internamente all’oscuro dei mezzi necessari. Eppure da settembre siamo arruolati volontari: di una cosa sola siamo sicuri; dell’ideale per cui si combatte. Ma se vedessero i nostri corpi, come sono deboli!


11/05 (sera)
Il papa ha benedetto la guerra al Belgio, l’Olanda e il Lussemburgo. Dio vi ringrazio! Sentire dalla sua bocca che egli è con noi conforta immensamente, soprattutto in questi momenti di terribile sconforto e disorientamento. Che cosa farà il papa se l’Italia dovesse intervenire? Ci dirà chiaramente quello che dovremo fare? son sicura di sì ed è a lui che obbediremo. Stasera ho visto un altro film francese, “Verso la vita”. È molto bello; essi conoscono il dolore umano e sanno confortarlo con molta delicatezza, molti dei loro attori sembrano quasi maschere fisse, ma Jean Gabin è di una umanità così semplice e profonda, che è veramente universale. Ma perché sono così tristi e dolorose le loro situazioni? Forse la Francia sentiva il dramma che si avvicinava? Intuiva forse che questo sarebbe stato per lei una tragedia? Ma no: per la prima volta questo dramma di Jean Gabin è a lieto fine. E questo è sintomatico.
Ho visto anche, a lungo, le prodezze dei maledetti sul film-Luce e il viso orribilmente indifferente, crudele e glaciale di Hitler. Vogliono fare una propaganda disperata a loro favore in questi giorni: e non si accorgono di ottenere l’effetto contrario. Il pubblico taceva fremente: si sentiva il respiro e il battito dell’odio comune: ho dovuto stringere i denti per non gridare.


12 mattina
Gli stessi manifestini di ieri; ma oggi sono azzurri, più vistosi. Si vede che quelli bianchi di ieri non avevano fatto effetto: il pubblico legge con l’aria di non capire: e veramente sono incomprensibili. Molti sono stracciati. Ne ho stracciati alcuni anche io, qui presso il Consiglio. Fin quasi nell’interno del regno di Badoglio li hanno appiccicati: è una provocazione? Ma forse è un’idiozia. Ma sui giornali vi è a lettere cubitali la protesta del nostro stolto capo contro gli arbitrii inglesi: si parla di libertà e di giustizia: vogliono profanare in pieno queste povere oneste signore! Ma è possibile che il nostro nobile popolo si decida a fare la guerra per il pepe e la cannella? Mi sembra un incubo spaventoso, macabro e grottesco.


14/05/1940
Sono disperata! I ragazzi stamattina non sono venuti a scuola: li hanno organizzati per la dimostrazione contro l’Inghilterra. È orribile! Lo fanno come automi, senza sentire niente o forse per la gioia di strappare una vacanza inaspettata.
E tutto il mondo è immerso nella più spaventosa tragedia! Ma hanno detto che gli olandesi stanno retrocedendo e anche i Belgi. Non si può leggere l’Osservatore, perciò si rimane immersi nella più cupa ignoranza della verità. Siamo andati in chiesa con I., C., L. e D.: L. è un caro ragazzone: prima sembrava molto orgoglioso delle prodezze dei nostri oppressori; ma stamattina sembrava mortificato, come se fosse colpa sua, e quasi mi domandava scusa. Ieri a Perugia ci è stata una orribile dimostrazione e si è sentito rivoltare quando hanno gridato “Abbasso la Cecoslovacchia!” Contro i morti dunque vogliono combattere!
E i belgi muoiono, beati loro, difendendo la loro libertà. Mentre i nostri giovani fanno dimostrazioni senza sapere contro chi e in nome di cosa!
Abbiamo letto la lettera di Carletto: esprimono la nostra stessa disperazione e ogni tanto rivelano bagliori di eroismo che sono spasimi di rivolta. Dice della sua dedizione assoluta alla piccola Aida in questi momenti di feroce egoismo e Aida ha ricordato una sua frase: “Nei momenti di oscurità e di smarrimento la propria donna è una bandiera”. E allora abbiamo deciso di scuoterli, di sferzarli questi nostri torpidi uomini insensibili ed avviliti. Stiamo urlando furiosamente contro il dottore: prima resisteva, ma adesso sembra smantellato. Ci ha raccomandato di aiutare la causa: ha concluso “Se non ci aiutano le donne, le monache e il papa, non ci aiuterà nessuno”. E quando è uscito ha aggiunto “Cercate di salvare l’Italia”.
Un momento di respiro. Gia ha portato l’Osservatore: era stravolta poverina! E dire che ieri sera abbiamo quasi travolto con la nostra violenza il suo G. : era la serata del loro fidanzamento. Questa mattina è venuta portando l’Osservatore e deve essere stato pericoloso per lei.
Un grido di giubilo di Loretta: ha letto una magnifica notizia: la regina Guglielmina ha telegrafato al nostro re: le risponderà? Che cosa le dirà? Loretta crede che sia un telegramma di risposta. Sarebbe troppo bello! Il nostro re è con noi e difende il nostro onore. Allora saremo salvi. Del resto i nostri stupidi ragazzi che tornano adesso dalla dimostrazione cantano e suonano “Giovinezza” ma non la “Marcia reale”. Non hanno il coraggio di contaminarla.
Non posso andare a scuola questa mattina. Non potrei guardare in faccia quegli sciocchi, vili ragazzacci. Ho fatto dire al bidello che mi sentivo poco bene: del resto sto davvero malissimo. Oggi andrò dal preside e gli spiegherò tutto. E poi sarà quel che Dio vorrà. Non voglio subire senza resistere in un certo modo e non posso affrontare il contegno dei miei ragazzi.
Nel pomeriggio sono stata dal preside a scusarmi e gli ho spiegato chiaramente la ragione: ero pronta a lottare e invece mi ha accolto con un sorriso gentilissimo e ha mostrato di capirmi, quasi di approvarmi e poi mi ha offerto il caffè. Pomeriggio incantevole con visita a S. Damiano: delizioso paesaggio sereno e trasparente. Questo sapore di pace è quasi inebriante, ma infiltrato di sofferenza. Ci siamo distese su un prato di erba supine. Il cielo era di azzurro tenero venato di rosa: nuvole evanescenti, immobili; le rondini correvano con volo agile e saettante: ma un aeroplano rigido, rumoroso, duro ha interrotto tutta l’armonia e ha spezzato l’incanto; il turbine mostruoso della guerra ci ha afferrati di nuovo e la strage orribile ci è riapparsa.
Tornate a casa, abbiamo trovato Loretta raggiante di soddisfazione: aveva parlato a lungo con il suo alunno allampanato e sciocco, che è accanitamente filo-tedesco: lo ha scosso insistendo sulla parola coscienza, che da lungo tempo non sentiva pronunciare; è rimasto stupito e turbato! Speriamo che serva! Ho poi parlato con sua madre, che è finalmente riuscita ad esprimere il suo pensiero: suo marito, ora morto, era accanitamente ostile a queste marmaglie e doveva essere un uomo nobile; aveva molto sofferto.
In conclusione questa giornata non sembrerebbe perduta: prima il dottore, poi il bambino, poi la signora. Se parlano alla loro volta, saremo di più. Speriamo!
Eluccia è tornata disgustata questa sera dal contegno volgare di G. con Gia. Sono contenta: chi è con loro è anche basso e disgustoso nella sua moralità!


15 maggio
Mattinata di tensione con i miei ragazzi di III: entrata in classe, ho trovato scritta alla lavagna “Francia e Inghilterra fanno schifo!” Ho ordinato di cancellare: hanno obbedito subito: oltre a tutto, sono straordinariamente vili.
A. mi ha consegnato un manifestino di propaganda, che deve aver ricevuto in questi giorni. conteneva un rifacimento a memoria di un discorso fatto ai dirigenti sindacali dal nostro capo. È  veramente pietoso! Poverino, deve aver proprio perduto in pieno il senso del ridicolo. Sembrerebbe la parodia di se stesso e andrebbe benissimo come propaganda contraria. E questi sciocchi ragazzi che ancora, per forza di inerzia, ingoiano automaticamente queste scipitaggini, come se fossero vangelo.
Povere mie lezioni sopra il gusto della bellezza. Ma purtroppo il senso estetico, come il senso morale, sono stati le prime cose che hanno distrutto in loro.
Pomeriggio affannato nella stanza di Loretta: l’Olanda si è arresa, così almeno dicono i nostri giornali. E l’Osservatore non è arrivato. Quale sarà la verità? Come sempre, anche tra i titoli e l’articolo del giornale medesimo c’è contraddizione. È come un incubo! Sentire in sé furiosa e accanita la lotta e non poter combattere, sentir le notizie della disfatta, senza aver tentato di impedirla. E vedere questo nostro torbido popolo, ripugnante ad una azione odiosa, incapace di esprimere la sua volontà, subire supinamente gli avvenimenti. Questa mattina ho discusso per un’ora con Ch.; mi ha consigliato di essere prudente: mi ha detto che non c’è niente da fare. Ho protestato con veemenza, ricordandogli che prima della orribile decisione noi abbiamo il dovere di far sentire la nostra volontà e che se ci sarà imposto un sacrificio questo non sarà inutile, perché legato alle nostre idee e ai nostri sentimenti. Credo di aver parlato con entusiasmo di questa mia fede nella efficacia del sacrificio, soprattutto se anonimo; sembrava molto scosso, ma continuava a chiedermi un programma “Che cosa bisognerebbe fare secondo lei?” Strani questi uomini! Pretendono un programma, prima di una fede, come se non fosse già molto insistere nella protesta incondizionata contro la violenza e la vigliaccheria. E intanto, poiché non trovano un programma che li soddisfi, continuano a servire con disgusto e con rassegnazione. Sono venute le bambine di Loretta: hanno cantato deliziosamente: vocine acute e intonate, deliziosamente pure: erano i canti del calendimaggio che esprimono la limpidezza serena e chiara della nostra gioia italica. Hanno cantato più volte l’inno di Assisi: è un canto [comunale] solenne e religioso che invoca la benedizione dei santi sul sonno dei cittadini. Chi potrà mai germanizzare questa nostra schiettezza italica? Chi potrà contaminare il nostro brivido ansioso verso la divinità? Abbiamo domandato, non so perché, ad una delle piccole: “Ti piace Hitler?” Ci ha guardato con aria furba: è una graziosa bambina bianca e rosea con due treccine biondissime e gli occhietti scintillanti: poi ci ha domandato “Un numero”. “Tre”. Ha contato in fretta “no, sì, no” “E se avessimo detto due?” “Avrei cominciato dal sì”. Però sono spiritosi i nostri bambini.
Serata orribile. Non riesco più a lavorare, né a studiare: stesa sul letto, con Loretta, rievocavamo, torturandoci, l’Olanda agonizzante, il Belgio disperato, il Lussemburgo invaso e lì dietro, attente e inflessibili, Francia e Inghilterra accanite e tese nello sforzo supremo: erano ondeggiamenti accorati tra la speranza e la disperazione e ci appariva il mistero magnifico della gloriosa storia di Francia. Superata in se stessa la barbarie del germanesimo, rimane compatta e indissolubile, affronta il mistero della libertà, lo risolve sanguinosamente, poi subisce il fascino dell’imperialismo militare, lo supera, riassorbe avidamente il diritto della libertà individuale e lo afferma, accetta l’esperienza del comunismo e lo dissolve, difende il diritto che ha ciascun cittadino di essere se stesso e al minimo urto esterno si ritrova istantaneamente compatta, prova disgusto della guerra e la affronta per la tutela della civiltà a cui crede; di nulla si lamenta se non perché le si lascia fare troppo poco. Loretta ripete più volte: “Vorrei essere francese!” Ma io provo uno sdegno violento, mi ribello. “No, voglio essere italiana, malgrado tutto. Io credo che l’Italia si possa ancora salvare”. Questa nostra patria incomprensibile ed inesausta, che a volte si oscura nella abbiezione più dolorosa e sempre si rialza, rinvigorita dalla sofferenza procuratale dalla consapevolezza della propria prostituzione. E allora si redime e si innalza misteriosamente pura.
Nottata insonne: Eluccia parla e si lamenta nel sonno. Io sento dentro di me il carro di quelle masse metalliche di carri armati che si scontrano poco lontano da Parigi e rabbrividisco di spavento. Cerco di pregare, ma vi riesco malamente. I miei pensieri si disperdono: solo la sensibilità del terrore è viva e presente. Sembra che bastino 48 ore per la decisione: e noi non facciamo niente, noi rimaniamo inerti nei nostri letti, a spasimare!


16 maggio
Ancora un’altra dimostrazione a scuola! I ragazzi dell’Ist. tecn. erano asserragliati davanti alla porta della scuola, il Preside e il bidello li sostenevano a mala pena. Ho cercato di salire le scale: sono precipitati giù come una valanga. Mi avrebbero sicuramente travolta: un alunno di I, debole, mingherlino, si è parato davanti a me e mi ha difesa e ci è riuscito. Due debolezze unite insieme, che si comprendevano e si appoggiavano. O invece due forze? Speriamo bene! I nostri ragazzi non volevano cedere ma poi sono stati travolti. Ne son rimasti una buona parte quassù, indecisi: avrebbero voluto far lezione. Ma il preside li ha lasciati andare: così avevano fatto gli altri presidi. “È inutile opporsi – ha osservato poi a noi – le autorità non ci appoggiano!”.
Io avevo protestato forte di fronte ai ragazzi rimasti, mentre tutti tacevano. I ragazzi allora si sono scusati “che cosa si può fare di fronte a tanti più di noi?” La solita scusa della vigliaccheria!
Ho protestato: “Ci si oppone in due o tre e poi vedrete che si diventa 8 e poi sedici e poi cinquanta”.
Devo aver esclamato anche che erano dei vigliacchi. Ora è venuto il Preside e delicatamente mi ha fatto osservare di badare alle mie parole “potrebbero essere male interpretate”. Ma io ho risposto “Darebbero ad esse l’interpretazione esatta”. Ha fatto finta di non capire; poi mi ha fatto osservare che è inutile che aspetti in scuola: tanto non ci sarà lezione! I ragazzi sono andati a S. Maria degli Angeli. Avevano ottenuto un’ora di permesso: si prendono la mattinata e nessuno può protestare.
Disciplina fascista e rispetto dell’autorità! Studenti e studentesse, convittori e convittrici, rigidamente separati fanno le dimostrazioni per potersi involare liberamente insieme. Moralità fascista. E il prof. di cultura militare fa loro un discorso: è il comandante della Gil di Assisi; parlerà loro di disciplina e di senso del dovere.
I ragazzi passano cantando gli inni della patria: la piccolina ha detto che i canti servono a coprire il pianto della patria.
Sono stanchi i ragazzi. È venuto giù un acquazzone e li ha bagnati tutti: erano tutti sparpagliati e stanchi. Quei pochi professori che si sono prestati alla trista buffoneria sono andati alla dimostrazione in automobile. I comodi borghesi, nella patria priva di benzina, che si prepara alla guerra più assurda e spaventosa!


17 maggio
Giornata stanca e torpida. I ragazzi tranquilli a scuola, quasi contenti di essere tornati. Ma dunque che cosa volevano fare? Soltanto una dimostrazione e un po’ di gazzarra? Non capisco più niente. E la mia pena è come assopita. Stanotte ho dormito. Oggi andrò a Roma con la sorellina di L. e là forse vedremo qualcosa di più chiaro.
Viaggio noioso e stanco. La piccola mi racconta le sue avventure d’amore. Strano come le ragazze dimenticano facilmente nella vanità delle loro piccole glorie amorose. Io invece ho quasi dimenticata quella mia vecchia pena per questa più nuova e scottante. Ma forse io son sola in questo mondo greve, grigio e opprimente, forse sono veramente un anacronismo. Piove a scatti violenti, poi ritorna la nuvolaglia bassa: la violenza dello scroscio non basta a rasserenare il cielo. Eppure è maggio: primavera avanzata.
Parliamo forte di libri inglesi e americani e, come sempre, la nostra simpatia traspare dalle frasi più insignificanti. Omaccioni grossi e sonnolenti stanno vicino a noi, leggiucchiando quei nostri odiosi giornali roventi di distruzione vista da lontano. Non protestano alle nostre parole e neanche le approvano. Forse non le ascoltano nemmeno. È questo il nostro destino. Roma è gravida di terrore. Si sente che una lotta sorda è stata impegnata. I visi, apparentemente indifferenti, tradiscono sospetto e diffidenza: ogni vicino può essere una spia.
Mamma è indignata e terrorizzata: ha paura per me. È strano come tutti abbiano paura per me, mentre io continuo a provare questa disperata ostinazione di liberarmi dell’incubo che mi opprime. Sarebbe troppo bello essere perseguitati! Sarebbe la liberazione! Ma questo non è concesso a noi. La nostra pena deve essere più lunga e inesorabile.
Mi ha parlato zio B. le parole della prudenza e della fede. Mi ha detto che io non ho nessuna responsabilità di tutto questo orrore e non devo avere rimorsi né illusione. “Se senti odio per coloro che perseguitano, fai la comunione in loro favore”. Ho detto che li odio al punto di volerli uccidere e che l’avrei fatto, se ne avessi avuta la forza. E lui mi ha risposto: “Ringrazia iddio che non ne hai la forza”. Saggia vecchia prudenza che non si riesce a capire se è debolezza o eroismo!


18 maggio
Il Vaticano tutto è silenzioso e opprimente: le guardie in borghese all’ingresso ci hanno impedito di andare verso la redazione dell’Osservatore. In biblioteca ho stretto affettuosamente la mano alla signora B., ma non le ho detto niente, non potevo parlarle di quell’orrore e neanche di cose indifferenti. Ho parlato col conte polacco: è più pazzo che mai: dice parole sconnesse, si scusa di non poterci aiutare a rintracciare il nostro colonnello, si lamenta della insensibilità che lo circonda, poi ci ringrazia della nostra bontà, dice lui, ma a me sembra sempre di scoprire attraverso i suoi occhi un’ombra di diffidenza. È una cosa umiliante constatarlo; negli italiani non ci si aspetta più di trovare sensi di umanità. Forse anche lui ci odia: ne avrebbe diritto.
Facciamo con Nina e la piccola Tiso una corsa attraverso i musei Vaticani e ci fermiamo alla Cappella Sistina. Mai la luce non è stata così bella nel giudizio: i beati avvolti in una luminosità dorata sono vigorosi e possenti, mentre in basso si contorcono con spasmodica impotenza i dannati avvolti nelle tenebre livide e opache. Il Cristo imberbe e virile è più che mai possente. Contemplo il mio Adamo sognante e malinconico che si distacca malvolentieri dal suo Dio paterno, amoroso ma ormai fuggente. Un desiderio acuto della presenza divina mi invade oggi più che mai. Perché ti distacchi da noi, Dio, dopo averci creato? O siamo forse noi ad allontanarci, nostro malgrado, da te? La piccolina non sente Michelangelo e neanche Raffaello; forse è troppo fragile e delicata per sostenerli, forse è troppo bambina. La sento straniera da me: si è distaccata: neanche S. Pietro ha capito. Ma forse è naturale che non riesca ad afferrare questa nostra Roma impetuosa e possente lei che è avvezza alla grazia merlettata e [crollante] di Venezia incantata. E poi come l’hanno tormentata e sconvolta questa nostra Roma paziente. Sento nelle mie carni il tormento delle demolizioni che l’hanno mutilata. I barbari novelli si sono accaniti su di lei, tentando di toglierle ogni gentilezza. Ma ella si innalza serena ed eroica dalla profanazione, senza restarne mortificata: l’anima di Roma è invulnerabile. Nina mi persuade a non spedire la lettera per il papa: mi sembra molto diffidente sulla sua utilità ed efficacia. Del resto Nina ha paura, anche la piccola ha paura qui a Roma, tutti sembrano terrorizzati da un incubo. Ed io mi sento molto scoraggiata. Comincio a credere che tutto sia inutile. Andiamo passando di dietro, alla redazione dell’Osservatore: è cupa e deserta: ci vendono due giornali: li guardiamo: è inutile leggerli: sono come lo sguardo spento di un morto: non hanno né espressione, né significato. L’Osservatore è morto e con lui l’ultima voce della libertà e dell’onore d’Italia. Ormai non rimarranno che le schiamazzanti menzognere volgarità del giornalismo venduto. Non leggerò più giornali.
Nel pomeriggio lunga discussione con il prof. G.: alla mia protesta per la verità che bisogna difendere, mi oppone l’inutilità di una lotta diretta “bisogna operare dall’interno – ha detto – come il baco che marcisce il frutto. È meno pericoloso e più utile” “Fare il baco mi ripugna” ho risposto “e poi, credendo di contaminare, si finisce con l’essere contaminati e corrotti”. Eppure forse aveva ragione.


24 maggio
Data spaventosa! L’ho sempre temuto fino ad oggi; ma si è aperta meravigliosa con un sole luminoso e tiepido attraverso le tendine rosa della stanza di Loretta a Venezia. Sono tutta pervasa dalla dolcezza di Venezia, che riesce a respingere in fondo al mio essere lo spasimo di dolore e di ansia per la disperata difesa della Francia che può portarci la vita o la morte. Ma stamattina uno strano pensiero abbiamo avuto Loretta ed io riguardo ad una ipotetica vittoria germanica; un pensiero lucidissimo e spaventoso, che abbiamo guardato in faccia come un nemico. Ma di questo parlerò in fondo. Devo prima rivedere le giornate trascorse.
Ad Assisi abbiamo passato un periodo di monotona sopportazione questa settimana. Dopo lo spasimo di rivolta della settimana precedente, abbiamo [trovato] tutti piuttosto prostrati, anche i nostri nemici. Ma Loretta no: ella era singolarmente ardente, è guarita ormai dalla sua polmonite ed è finalmente uscita e il mondo esterno, dopo tanto tempo, le è riapparso nella sua realtà volgare e ripugnante. Mi ha detto di un orribile cartello che i nostri studenti hanno scritto: sarebbe la partecipazione di morte del prestigio di Francia e Inghilterra redatte in quei manifesti  *** che nei paesi affiggono alle case e scritta con parola grossolane e vili. Era indignata e furibonda. Io son rimasta umiliatissima alle sue parole. I miei ragazzi!
Dopo tutti gli sforzi compiuti per far loro comprendere la verità! Incontrandoli per la strada mi guardavano ostili, preferivano non salutarmi: sapevano il mio pensiero e cercavano di combatterlo? Forse è tutta una montatura la mia! In realtà non capiscono niente né della mia anima, né di tutta questa orribile situazione. Il preside mi ha di nuovo raccomandato prudenza: “alcuni ragazzi già mormorano” ha detto. Gli ho risposto che io dovevo fare i conti con la mia coscienza e con il mio temperamento e che del resto se al fascio volevano star sicuri contro una propaganda ostile alla loro, dovevano distruggere tutti i nostri libri di letteratura e di storia e tirare a noi un colpo di rivoltella. Speravo di poter parlare ai miei ragazzi: ma erano troppo stancamente sicuri di aver fatto l’obbligo loro e ho avuto rimorso di turbarli e di suscitare in loro pensieri che non avrebbero potuto sostenere. Forse è stata una viltà! Finiamo con l’essere influenzati anche noi da questa atmosfera di vigliaccheria.
Ma i ragazzi della prima sono con me: lo sento: ci intendiamo, quasi senza parlarci, oppure è vero che mi capiscono quando io parlo per sottintesi. Ma dire le cose apertamente non posso: la cattedra mi suggestiona: non si può far propaganda politica, neanche la più giusta, dalla cattedra di scuola.


27 maggio
Riprendo alla stazione di Terontola: è da poco passata l’alba: un via vai di gente assonnata e ansiosa di prendere il treno. Cielo grigio, senza luminosità: aria pesante e morta. Il sogno di Venezia sembra sparito: vado incontro al lavoro consueto, mi riprenderà la stretta della vita monotona, dissolvente. Da qui a poche ore avrò di nuovo di fronte a me i miei ragazzi che dovrò lasciare per sempre e a cui dovrò dare l’ultimo tocco prima di lasciarli andare nella vita. In fondo hanno bisogno del mio aiuto i miei ragazzi, tanto più alti di me e tanto vecchi di fronte a questo mio fisico eternamente infantile. La piccola ride quando li chiamo “i miei bambini” “Potrebbero essere tuoi fidanzati”. Infatti lo potrebbero per età e dimensioni, ma sono invece tanto piccoli e deboli nel loro spirito! È impossibile non sentirsi un po’ materna con loro!
L’altro giorno mi sono sentita rincorrere per la strada: era Moretti, un ragazzone altissimo e bruno, con uno splendido corpo d’atleta e un viso semplice e luminoso: bellissimo, sensibile e buono, ma poco intelligente “La devo salutare, perché parto” ha detto e le labbra gli tremavano. Ho capito subito: era stato richiamato. “Per la Libia” ha soggiunto. “Non voglio andare così lontano, con tanto mare di mezzo. E non ho ancora fatto il soldato. Il servizio militare lo voglio fare in Italia”. Protestava come un bambino; diceva “voglio” e doveva andare soldato; intanto aveva gli occhi pieni di lacrime: aveva ricevuto la cartolina insieme al fratello e aveva la mamma malata di cuore: non si sentiva il coraggio di avvertirla e per lui, vissuto sempre in un villaggetto di campagna, la Libia sembrava tanto lontano. Gli ho detto di salire da me: non volevo che lo incontrassero i suoi sciocchi compagni, più giovani e in pericolo meno immediato, che avevano guidato per le piazze quelle stolte manifestazione. A casa c’era Loretta e Gia e poi anche Aida. Gli abbiamo offerto cognac e sigarette, lo abbiamo lasciato parlare, gli abbiamo detto un sacco di bugie. Si è tranquillizzato. Diceva ripetutamente “Non ho paura della guerra!” come per convincersi “Ma non vorrei morire con gas asfissianti”. Lo abbiamo rassicurato: francesi e inglesi non avrebbero usato gas. Gli è sfuggito spontaneo, quasi inavvertitamente “Povera Francia! Mi dispiace”. E allora gli abbiamo fatto una sciocca raccomandazione: “Non far male ai francesi e agli inglesi. Uccidili ma non fargli male” “Ma gli inglesi sono cattivi!” ha protestato “Ci volevano affamare” “Non è vero! non ci volevano nemici!” abbiamo gridato in coro “I nostri veri nemici sono i tedeschi. E per questo dobbiamo fare la guerra. Perché altrimenti saremo schiavi della Germania vincitrice. Bisogna che l’Italia sia grande per opporsi alla sua violenza e frenarla e dominarla”. Mi ha detto “È vero che Hitler ha il cuore cattivo?” “Sì, molto cattivo” “Ma il duce è buono”. Ho mentito “Il duce è italiano: deve essere buono” “È latino vero?” “Sì, è latino”. Strana questa sua latinità che tradisce la propria missione e si rende schiava del germanesimo! “Che cosa dovrò fare al fronte?” mi ha domandato.
“Obbedire ragazzo mio e amare l’Italia”, Domanda a me queste cose, di cui io pure non so nulla. È  andato via ridente e fiducioso e ha cominciato a confortare noi, rassicurandoci. Così è partito con l’illusione di essere forte e di doverci sostenere. Ci ha promesso di scriverci e di venirci a salutare prima di partire. Lo vedrò ancora per alcuni giorni sui banchi di scuola, ma lo guarderò io con rispetto. Questa mattina lo avevo interrogato sul Paradiso di Dante: ha risposto molto bene e ha detto che lo trovava bello, mentre i suoi compagni dicono generalmente che è difficile: eppure lui non è intelligente! Mi ha detto un giorno “È vero, signorina, che per Dante il Paradiso è soprattutto luce?” Aveva capito benissimo.


2 giugno
Dopo tanti giorni e così terribili avvenimenti, riprendo il mio libretto in questa solitaria stanzetta nel convento delle suore. Un vento tempestoso ha investito la nostra piccola comunità di amiche recenti e più tanto profondamente legate: Eluccia è scomparsa per sempre, piccolo fragile fiore misteriosamente spezzato! Loretta è nella casa di Gia e si è allontanata da me stasera con riluttanza molto triste. Già, così lugubre e impietrita, mi incute terrore e sconforto: la sento, anzi la desidero lontana da me: ed io sono rinchiusa qua dentro, dove alle 9,30 di sera, dopo il suono un po’ fesso di una campanella rauca, il pesante portone si chiude per tutta la notte come la lapide di una tomba. E all’esterno la tragedia della guerra imminente avanza incosciente e inesorabile. Ho la sensazione che tutte le resistenze siano spezzate e che tutto sia ormai inevitabile, perché il dolore acerbo ha distrutto in me ogni capacità di ribellione e di opposizione. Sapevo che nel momento in cui io avessi ceduto tutto sarebbe precipitato. Mi tornano in mente adesso le sognanti giornate di Venezia respinte lontano e rese quasi evanescenti dall’atroce realtà che mi attendeva al ritorno. Vorrei rintracciare per risentirne il sapore profumato di gioia, ma temo che il dolore presente le alteri e le scompigli.
Viaggio lungo e disagiato fu il nostro, con un bambino sudicio e malaticcio che piangeva e si dimenava, malamente sorretto da una madre scheletrica ed esaurita: tornavano dalla colonia così malconci e delusi, mentre la mamma portava in seno un’altra povera creatura che sarebbe stata debole od infelice. L’inferno! L’incremento demografico! Un mutilato reduce della guerra di Spagna, parlava spossato e disgustato nell’alba grigia: aveva la medaglia d’argento. Doveva essere paralizzato e disilluso. L’eroismo guerriero!
Alla stazione ho conosciuto il famoso Carletto: strano giovane altissimo a allampanato; con gli occhiali all’antica assicurati da una catenina d’oro e i capelli lunghi dietro la nuca. Sembra un cospiratore del ’48, ma ha una curiosa serietà rigida ed arrogante da scienziato moderno. Eppure mi è piaciuto. Ci ha offerto “brioches” deliziose ed è corso a rintracciare i nostri bagagli, che per l’ennesima volta noi avevamo dimenticati. Abbiamo parlato subito delle cose che ci stavano a cuore. Che avrebbero fatto i nostri amati francesi? È stato severo con loro, sembrava molto preoccupato “anche dai francesi l’Inghilterra è stata in un certo modo tradita: non dovevano lasciare intatti i ponti” Ha fatto gli onori del suo canal grande con solenne competenza. C’era una luce smorta: Venezia sembrava più che mai irreale e inconsistente. La mattinata si è dileguata in fretta con la messa a S. Marco. La folla che vive naturalmente rovina il fascino di Venezia e l’interno delle chiese e le cerimonie religiose mancano di ogni raccoglimento; non c’è misticismo. Bella la corsa del pomeriggio fra gli intrighi complicati delle strettissime calli. Anche Venezia è seminata di cartellini:
sui manifesti stracciati sono sovrapposti piccoli avvisi scritti a penna minatori contro gli ebrei: minacciano coloro che osino strapparli e per accrescere la paura vi è disegnata sopra la morte come nei pali telegrafici. Pare che i cittadini non si lascino facilmente persuadere. Solenne e maestosa, pura di forme la chiesa dei Frari, splendida l’Assunta del Tiziano: gli angioletti volanti sono festosi inganni e vivacissimi: la Madonna si trasfigura nella visione di Dio. È forse l’unico quadro veneziano in cui si sente la presenza divina. Gli altri sono tutti profani.
Mi conducono poi dall’avv. B. dopo una scala buia e un ingresso-ufficio polveroso e trascurato, entriamo in una magnifica vasta sala di soggiorno: la porta di fronte è occupata per intero da una finestra amplissima e trifore ogivali: una graziosissima fanciulla bionda ci accoglie ospitale; ci suona la Caduta di Varsavia di Chopin, poi entrano vari giovani e i padroni di casa. Mi tuffo quasi istantaneamente in una discussione accanita con uno studente sulle questioni attuali: la padrona di casa è fanaticamente del mio parere; ci sembra di lottare per il raggiungimento di uno scopo preciso: non è una discussione, è un duello; divengo amica dell’avvocato: usciamo ancora discutendo: mi sembra che il giovane si stia smantellando: ci separiamo a malincuore. Credevo allora che valesse la pena di combattere.


3 giugno
Ero stanca ieri sera e ho interrotto. Stasera invece non posso dormire, rientrata in questo carcere assurdo di monastero. Sono arrivata tardi e la suora si è inquietata con quella violenza aggressiva propria delle donne che sono use a frenarsi perché si credono in dovere di essere buone, o che si lasciano andare senza ritegno quando hanno trovato la scusa di indignarsi per la moralità. Mai come in questo strano paese mistico e luminoso io ho sentito la furia spietata e avida della calunnia. Ci si sente circondati da una diffidenza accanita e sospettosa, da una curiosa avidità di scandalo, che vuol essere saziata ad ogni costo. Eppure mai come in questi momenti ho sentito il mio spirito puro e leggero, scevro da qualsiasi contaminazione esteriore. L’ardente ribellione politica ha bruciato nel mio essere ogni egoismo personale e ha lasciato la sensibilità libera e scoperta: non ho per la mia persona né bisogni, ne desideri. È solo l’umanità che conta e la mia povera patria umiliata e contaminata e l’Europa straziata e oppressa e l’eroica tensione di Francia e Ing. sole, tradite, ma inflessibili e tenaci. Ma di me stessa che importa? solo l’amicizia fiorisce più rigogliosa su questo terreno umido di sofferenza, concimato di calunniose persecuzioni. Povera piccola Eluccia, anche la tua memoria è contaminata da costoro! essi cercano nella tua tragedia misteriosa posta alla malsana e torpida mormorazione, svago alla loro oziosa futilità.
Descrizione estrinseca
Block notes 16x10 cm.
Numerazione
Numero:
1
Reference code
ITA FLLB AA.0001.0002UA.0001UD
Link esterni
Fondazione Lelio Basso \ Memorie al femminile la guerra e la Resistenza nei diari di Ada Alessandrini

Relazioni

Soggetto produttoreAlessandrini, Ada
Fondo di appartenenzaAda Alessandrini
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