Lazio'900
A. A. Bogdanov a A. M. Gor'kij
Corrispondenza

Metadati

Tipologia
Lettera
Data
Data:
05/06/1910
Data topica
Data topica:
Ginevra
Deduzione:
Consistenza
Tipologia:
carta/e
Quantità:
4
Tipologia:
pagina/e
Quantità:
7
Contenuto
Caro compagno, presto si terrà l'assemblea in cui saranno decise le questioni dell'organizzazione della scuola, tra l'altro la scelta del luogo, questione che mi sembra molto importante. I parigini inclinano per Lon­dra, sostenendo che sotto il profilo della pressione poliziesca è l'unico posto affidabile. In questo stesso senso si sono espressi, ma senza insistere, alcuni dei finanziatori. Tuttavia Londra è straordinariamente svantaggiosa sotto l'aspetto finanziario: il viaggio e la vita là sono molto cari; e per tutti i do­centi, tranne Stanislav, che ora se ne è andato in Scozia, sarebbe un viaggio molto lungo. Personalmente io sarei per l'Italia settentrionale. Ho già scrit­to a Lunač[arskij] perché parli con chi di dovere a Roma, e riesca a sapere quale città sarebbe meglio. Ma la cosa più importante sono le condizioni del controllo poliziesco; questo, naturalmente, sarà l'elemento decisivo. Sarebbe molto bene che Voi, come il più informato di noi, comunicaste il Vostro pare­re, se ritenete verosimile una repressione, per esempio, contro certi studenti, nel caso di insistenza da parte del governo russo, e così via.
Poi, un'altra faccenda: ho ricevuto una lettera dalla moglie di Michail sull'opera incompiuta di quest'ultimo e ho subito risposto, al Vostro indi­rizzo, secondo la sua indicazione, con la richiesta di mandare il manoscritto. Ma finora il manoscritto non è stato recapitato e sono passate già due setti­mane. Che non sia accaduto qualche pasticcio? Nel caso, Vi pregherei molto di ricordarglielo attraverso qualcuno: il suo proprio indirizzo non me l'ha comunicato.
Ho ricevuto ora la notizia che al gruppo "Vpered" sono arrivati circa 12.000 franchi (indipendentemente dai soldi della scuola). Se ne atten­dono altri.
Tornando a Morte. Mi hanno fatto un po' inorridire le Vostre parole sul tentativo di dipingere uno spettacolo consolatorio della vita d'oltretomba, anche se in una forma diversa da quella usuale. Se mi convincerò che questo è davvero ciò che si ricava leggendo la mia utopia, allora rinuncerò per sempre a una forma che trasmette le mie idee alla maniera di un negativo fotografico.
Per evitare scarsa chiarezza, esporrò la mia opinione sul problema in modo astrattamente preciso.
1.   Il problema della morte è importante e interessante sia per la conce­zione scientifica del mondo, sia per la sua percezione estetica. Sia qui sia là deve trovare il suo posto, in rapporto con lo sviluppo spontaneo e cosciente della vita, nel quadro della bellezza del mondo che si crea spontaneamente ed è creata attivamente. Ma questo non è il problema delle sensazioni della morte, che Voi evidentemente intendete dicendo che «non desiderate sa­perne nulla» e «racconterete la vostra opinione ai conoscenti quando essa verrà a farvi visita». Queste sensazioni non presentano enigmi particolari, possono essere facilmente studiate, e sono note a chiunque sia stato condotto da una malattia o da una ferita a una perdita di coscienza alla quale avrebbe potuto far seguito la morte senza alcuna ulteriore nuova sensazione.
2. Non c'è e non ci può essere "consolazione" per l'individuo, se egli ha bisogno di consolazione: questa è una delle contraddizioni senza uscita dell'individualismo. Si può soltanto spiegare da dove arrivi la sete di conso­lazione, diversa e maggiore che nel caso di altri dispiaceri della vita. Questa sete, e con essa anche la questione di una specifica consolazione, è il risultato dell'isolamento dell'individuo nella vita della natura e della società.
3. La risposta della concezione moderna del mondo al problema reale è questa: l'avvicendamento delle generazioni nella natura come mezzo di sviluppo della vita, la collaborazione delle generazioni nella società come mezzo di conquista della natura, della sua organizzazione per l'umanità.
4. Nel campo della percezione del mondo la stessa risposta deve prendere delle forme concretamente esemplari, dipingendo la morte come un elemen­to - e l'elemento principale - della tragica bellezza della vita. La tragedia greca e quella shakespeariana esprimevano vagamente la stessa concezione della morte; Goethe nel Faust l'ha collegata più chiaramente con l'idea della collaborazione delle generazioni. A noi spetta di sviluppare questa imposta­zione del problema, ed eliminarne ogni altra.
Ed ecco, quel che dite Voi: «desidero vivere, senza guardare oltre i con­fini della vita terrena», non desidero conoscere la morte ecc., sono idee molto comuni per noi, ma non proprie del nostro ambito di idee. Si tratta di un coraggioso individualismo, non di più. I nostri predecessori ideologici intendevano ancora l'individualità come qualcosa di assoluto e di assoluta­mente prezioso. Quindi per loro era assoluta anche la morte, nella misura in cui essi non ingannavano se stessi. E la formula del «festino in tempo di peste», che dava già la filosofia epicurea, era per loro l'unica via d'uscita, ma anche un'involontaria evasione dal problema. Per loro i limiti della vita terrena erano i limiti della vita personale. Per noi, la vita personale è un'astra­zione, di cui studiamo la genesi e il significato oggettivo.
Ma le loro azioni contraddicevano le loro idee, impacciate dalla forza dell'individualismo: erano combattenti per il futuro, lasciarono un testa­mento.
EccoVi un quadretto dal mondo naturale (osservazione di Fabre):
«Fino a che punto il philantus (una delle vespe rapaci) possa essere tra­scinato dalla sua passione forsennata per il miele di api, lo dimostra quel che segue. La cosa accade davanti a un insediamento di Philanti. Uno di loro ha appena preso un'ape, che se ne stava pacificamente sul fiorellino accanto e stava raccogliendo il polline e il miele. Prima di trascinare la vittima nella sua tana, si ferma e preme la gola dell'ape, leccando poi la lingua della poveretta, tirata fuori da lei in tutta la sua lunghezza e coperta di dolce sciroppo... Ed ecco, nel colmo del banchetto, vedo che il Philantus insieme con la sua preda è afferrato da una mantide: il bandito ha catturato il bandito. Poi, mentre già la mantide teneva il Philantus tra i denti della sua doppia sega e masticava già il suo ventre, il Philantus continuava a leccare il miele dalla sua ape, senza poter rinunciare al suo cibo raffinato...».
Sembrerebbe, ecco un vero epicureo, che non desidera guardare oltre i limiti della sua vita terrena.
Ma in realtà è un'illusione. Il Philantus nutre le sue larve con il corpo delle api, ma il miele per loro è velenoso; e la passione del Philantus per il miele ha la sua ragione fuori della sua vita personale, e la forza spontanea di questa passione è il risultato del legame delle generazioni.
Ora, mi resta un dubbio: chi esattamente ha letto il mio manoscritto? Un collettivista, per il quale la questione della consolazione, della vita oltretom­ba e simili non esiste neppure nella sua impostazione negativa, o il filosofo di indirizzo epicureo, che, dopo aver ricevuto la pergamena e aver letto il titolo De morte, ha sbadigliato vigorosamente e ha detto: «E che? l'amicus Seneca si è messo a occuparsi di queste cose? Dev'essere che è diventato decrepito e acciaccato, ed ecco che su di lui hanno preso il sopravvento delle idee sepolcrali. Beh, naturalmente, là cerca una qualche consolazione e, si intende, ha inventato una qualche forma di vita oltretom­ba, e si capisce, ne è venuta fuori una cosa molto spiacevolmente pessimista... Ma non c'è niente da fare, mi tocca leggere», e così via.
Ecco perché ora cercherò di chiarire oggettivamente, cioè con l'aiuto di altri compagni, se tutto ciò si ricava naturalmente e normalmente dal mio manoscritto. Qui non è questione di orgoglio personale - più di una volta avete potuto vedere quanto poco io permetta a questo stimolo di guidare il mio comportamento, quando si tratta dei nostri compiti comuni. Ma per me sarebbe piuttosto triste convincermi di essere capace di scrivere qualcosa di opposto alle nostre opinioni. E ancor più triste sarebbe, se risultasse che Voi ed io possiamo parlare lingue diverse. Ma per qualche ragione sono convinto che almeno questo non accadrà ancora tanto presto.
Vi stringo forte la mano.
Con un saluto cameratesco
A[leksandr] B[ogdanov]
 
Descrizione estrinseca
Copia in carta carbone da originale manoscritta.
Segnature
Segnatura:
IV_145
Tipologia:
precedente inventario
Numerazione
Numero:
8
Note
La lettera è stata pubblicata e tradotta nel volume Gor'kij-Bogdanov e la scuola di Capri. Una corrispondenza inedita (1908-1911), a cura di J. Scherrer e D. Steila (Carocci, Roma 2017). Corrisponde alla n. 194 del volume.

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