Metadati
- Tipologia
- Fondo
- Data
- Data:
- 1895-1958
- Consistenza
- Tipologia:
- fascicolo/i
- Quantità:
- 173
- Consistenza (testo libero):
- 173 fascicoli
- Tipologia:
- busta/e
- Quantità:
- 26
- Consistenza (testo libero):
- 26 buste
- Storia istituzionale/Biografia
Ottavio Dinale nacque a Marostica (Vicenza) il 20 maggio 1871. «Il senso della patria e l’amore per il paese […] io l’avevo nel sangue» - ricordava Dinale verso la fine della vita - grazie ai racconti del padre Giovanni e dei nonni che avevano vissuto le lotte risorgimentali (serie 4. Scritti, b. 16, fasc. 83 Il nuovo volume, p. 6). Ma, accanto alle gesta per l’indipendenza italiana, durante l’infanzia Dinale ascoltò le storie «della oppressione, dello sfruttamento, della miseria, delle sofferenze e del dolore» (ibid., p. 6 bis) che i vecchi del suo paese, contadini, piccoli artigiani, «privati perfino del senso della dignità umana, attraverso la storia di infinite oppressioni» (ibid., p. 9) avevano patito sia sotto l’Austria-Ungheria sia con il Regno d’Italia.
Frequentati il ginnasio a Bassano del Grappa e il liceo a Treviso, si iscrisse alla facoltà di lettere dell’Università di Padova, nonostante le ristrettezze economiche della famiglia, cui supplì arruolandosi volontario quale allievo ufficiale. A Padova ebbe come docente Roberto Ardigò e quali compagni di corso il futuro scrittore Virgilio Brocchi e Luigi Massaretti, divenuto in seguito preside (e aderente al fascismo), che lo iniziò alle idee socialiste «di solidarietà e di amore fra tutti gli uomini, di libertà e giustizia per tutti, di uguaglianza nel lavoro e nei frutti del lavoro» (ibid., p. 21). La predicazione conquistò Dinale, affascinato dall’idea umanitaria di redenzione dei ceti disagiati, da lui ben conosciuti. Gli scriveva Massaretti:
più di tutto ti raccomando la propaganda che […] si avvia e si fomenta non tanto colla persuasione e col convincimento, quanto colla simpatia personale; questa ti dà agio di insinuare a poco a poco le sante idee nell’animo dei tuoi compagni ed amici […]. Poiché io temo che l’animo tuo nobilmente sdegnoso e ribelle t’habbia non di rado […] a far trascurare quel certo - savoir faire – che dobbiamo per opportunità prendere a prestito dalla borghesia, ritorcendo contro questa putrida carcassa, per quanto la nostra dignità ce lo consenta, ogni sua arma insidiosa […]
e gli raccomandava la lettura di «Lotta di classe» e «Critica sociale»; lo esortava inoltre all'acquisto di testi socialisti, come Socialismo e scienza positiva di Enrico Ferri, Il socialismo e la lotta di classe di Ignazio Scarabelli, Problemi sociali contemporanei di Achille Loria (serie 1. Corrispondenza, b. 1, fasc. 1, lettera di Massaretti del 17 mar. 1895).
Laureatosi il 12 novembre 1895, poco prima, il 21 settembre, Dinale aveva sposato Marcella Vendramin (D. Fabiano, Dinale, Ottavio, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 40, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 1991), dalla quale ebbe presto una figlia, Annita - chiaro riferimento alla moglie di Garibaldi -, scomparsa in tenera età; seguirono Leuzira (1898, nome probabilmente diffuso in terra brasiliana, ove il padre soggiornò prima della sua nascita) e Neos (“l’uomo nuovo”, 1901).
Tra la fine del 1895 e l’inizio del 1896 partì per il Brasile, ove si orientava parte dell’emigrazione italiana nella seconda metà del XIX secolo. A San Paolo trovò impiego presso l’Ateneo-Convitto italiano “Ai nostri monti” quale insegnante di francese. Rientrato rapidamente in Italia perché deluso dall’ambiente degli emigrati italiani (“[…] la colonia è attaccata all’interesse e dell’istruzione dei figli non si cura né punto né poco […]”: fondo Neos Dinale, serie Corrispondenza, b. 1, fasc. Lettere di Ottavio Dinale, lettera a Marcella Vendramin, 9 feb. 1896), si trasferì a Clusone, nella Bergamasca, presso le scuole tecniche comunali quale docente di materie letterarie. In precedenza, stabilitosi al rientro dall’America nel villaggio di Badoere di Morgano, vecchia residenza paterna, fece le sue prime prove di attivista socialista riuscendo a conquistare alla causa gli artigiani ma non i contadini, tenuti in servitù dal feudatario locale. La fama di propagandista era ormai consolidata, tanto che, giunto a Clusone, prima di insediarsi nella cattedra destinatagli da una delibera del Comune, ricevette dal maresciallo della locale stazione dei carabinieri il consiglio di impartire insegnamenti sereni e obiettivi per non offendere i sentimenti cattolici delle famiglie, avendo saputo da informazioni ufficiali delle sue idee socialiste. Iniziò così la sua agitata carriera di docente, interrotta da richiami delle autorità a causa della infiammata predicazione socialista. D’altra parte, era convinzione di Dinale che la pedagogia dovesse assumere venature rivoluzionarie con il fine di educare allo spirito critico e alla responsabilità verso “i reietti della terra”, e contemporaneamente l’educazione stessa dovesse rivolgersi al proletariato, che solo attraverso la divulgazione del verbo socialista avrebbe potuto emanciparsi. Si vedrà più avanti che per simile obiettivo egli scelse principalmente la modalità a lui più congeniale, quella del giornalismo.
Il ricordo di Dinale riguardante l’esperienza dell’insegnamento a Clusone lo condusse a narrare, nella sua Autobiografia incompleta (serie 4. Scritti, b. 16, fasc. 83 Il nuovo volume, cit., p. 52), che al termine dell’anno scolastico il Consiglio comunale non volle confermargli la cattedra, per avere egli raccontato a modo suo nelle lezioni di storia la caduta del potere temporale dei papi, mostrandosi secondo i consiglieri irrispettoso dei già menzionati sentimenti della popolazione del luogo.
La successiva esperienza didattica lo vide impegnato nell'anno scolastico 1897-1898 al Ginnasio di Mirandola, grazie ai buoni uffici di Camillo Prampolini, ma anche lì fu esonerato dall’insegnamento, per poi ottenere la riassunzione (serie 8. Documentazione aggregata, b. 26, fasc. 172, tesi di laurea di I. Da Rold, Una vecchia gioventù. Ottavio Dinale e i suoi compagni dalla Rivoluzione a Salò, Università Ca’ Foscari di Venezia. Facoltà di Lettere e filosofia, a.a. 1998/1999). Di lì a qualche anno, nel 1903, la sua risposta a una comunicazione del sindaco di Mirandola, Francesco Salvioli, lascia intendere che avesse subito un richiamo istituzionale, da lui respinto con il rivendicare la propria libertà di critica come giornalista, non accettando alcuna limitazione derivante dai suoi doveri di pubblico educatore, e dichiarò di considerare offensivi gli apprezzamenti verso il giornale da lui diretto, «La Parola proletaria» (fondo Neos Dinale, cit., lettera a Francesco Salvioli, minuta, 18 feb. 1903).
Radiato inoltre dal ruolo degli ufficiali di artiglieria per la sua attività di agitatore, nel 1898 ebbe dall’autore l’autorizzazione a tradurre e pubblicare il volume La morale bourgeoise. Les Grippelong (éd. de la Petite République, Paris 1898) di Hyppolite Lencou, redattore de «La Petite République socialiste» (serie 1. Corrispondenza, b. 1, fasc. 1, lettera di Lencou a «Cher citoyen», 3 nov. 1898). La traduzione fu edita a Mirandola nel 1899 (“tip. di Grilli Candido”) con il titolo La morale borghese. I Grippelong (“unica traduzione permessa dall’autore per Ottavio Dinale”, pubblicizzato sull’«Avanti!» del 26 giugno 1899) ed ebbe una seconda edizione nel 1901.
Intanto la sua fama di propagandista si diffondeva e Dinale prese contatto con i più noti esponenti del socialismo modenese. In vista delle elezioni politiche del 1900 si spese molto per il partito: Giacomo Ferri, all’epoca consigliere provinciale di Modena, poi senatore, lo esortava a non candidarsi, nel timore di insuccesso, ma di convogliare le energie per la vittoria di Alfredo Bertesi e Gregorio Agnini. Il suo apporto alla campagna elettorale, oltre a discorsi e comizi, si concretò nella collaborazione ad alcuni giornali come «Avanti!», «La Giustizia» di Reggio Emilia e «Il Domani» di Modena.
Ma la sua attenzione e la sua cura andarono presto verso i braccianti e in seguito verso i cosiddetti compartecipanti, come i mezzadri, i piccoli coloni, i fittavoli (O. Dinale, Il movimento dei contadini e il partito socialista, Giovanni Nerbini, Firenze 1902, p. 8), unendo differenti tipi di rivendicazione, con un approccio originale, diverso da quello dei due “protettori” dei lavoratori della Bassa, i nominati Agnini, peraltro estimatore di Dinale e in ottimi rapporti con lui, e Bertesi, il primo alla guida della corrente cooperativistica, deputato socialista, convinto seguace il secondo del gradualismo nelle rivendicazioni dei diritti dei lavoratori (F. Parravicini, Una storia di socialismo modenese: Ottavio Dinale, in storiaefuturo.com, http://storiaefuturo.eu/wp-content/uploads/2018/06/Storia-e-Futuro-n.7.pdf). La caratteristica assunta dalla lotta di classe nel modenese, ad opera di Dinale, che, pur non disprezzando l’azione del partito, la riteneva funzionale a quella delle leghe contadine, le quali avrebbero dunque dovuto acquisire carattere politico, era fondata sulla preminenza del sindacalismo agrario, a suo parere dotato di una forza sovvertitrice maggiore di quella del proletariato industriale e urbano (A. Riosa, Ottavio Dinale e le lotte agrarie nel modenese (1901-1906), in «Nuova Rivista storica», LIII (1969), pp. 680-683 e D. Fabiano, cit.). Inoltre il partito, a suo parere, avrebbe dovuto ricoprire un ruolo di mero riferimento ideologico, mentre le masse contadine avrebbero dovuto costituire la testa di ponte necessaria a scardinare l’edificio borghese-capitalistico, con la propria originaria e innata forza rivoluzionaria.
Nel 1901, anche in seguito alla vittoria socialista al Comune, Dinale fondò a Mirandola il Circolo educativo popolare, segno della sua convinzione circa la pedagogia applicata al popolo. In quest’ottica diede clandestinamente alle stampe, grazie all’editore socialista Giuseppe Nerbini, l’opuscolo Cammina fanciullo! (Firenze 1901), poi sequestrato, per il quale subì un processo (v. Direzione generale della pubblica sicurezza. La stampa italiana nella serie F.1 (1894-1926). Inventario, a cura di A. Fiori, Ministero per beni culturali e ambientali. Ufficio centrale per i beni archivistici, Roma 1995, p. 32 e ACS, Direzione generale della pubblica sicurezza. Serie F.1, b. 12, fasc. 27.1 «Firenze. Affari generali», nota del prefetto, 21 gen. 1901). Lo scritto fu citato dall’anarchica Leda Rafanelli nel suo libello La scuola borghese (Libreria ed. sociale, Milano s.d.), con la motivazione dell’ordinanza di sequestro, in cui si dichiarava che «i giovani non devono leggere certe verità».
Al I Congresso dei lavoratori della terra, fondativo della loro Federazione nazionale, svoltosi a Bologna il 24-25 dicembre 1901, Dinale presentò un ordine del giorno (citato nel suo opuscolo Legislazione agraria. Il patto colonico, Società coop. Tip. Azzoguidi, Bologna [1901]) di questo tenore:
I lavoratori della terra riuniti nel primo congresso nazionale di Bologna reclamano: 1° Una legge sul riconoscimento delle leghe. 2° Un codice agrario che stabilisca norme fondamentali per la compilazione e la applicazione dei patti colonici, nel quali siano assicurati e garantiti i diritti dei lavoratori, e regolati i rapporti tra coloni e padroni
cercando di contemperare le esigenze, apparentemente confliggenti, della difesa dei braccianti, privi di ogni tutela e senza garanzia di occupazione continuativa, che necessitavano di protezione nelle trattative, e dei “compartecipanti”, comunque preda, benché in parte garantiti da un contratto annuale, se non altro dell’influenza morale dei padroni.
Il suo sincero attivismo nell’organizzazione delle leghe e degli scioperi conseguenti lo aveva portato alla ribalta tanto che all’inizio del 1902 venne nominato direttore dell’organo socialista della provincia di Modena «Il Domani». Contemporaneamente pubblicava un opuscolo, Il movimento dei contadini e il partito socialista (Giovanni Nerbini, Firenze 1902), in cui individuava nella diffusione del verbo socialista il compito principale del partito, per permeare di politica il carattere delle leghe, sempre più numerose. Era necessario contrapporre forza consapevole alla controffensiva dei proprietari dopo gli scioperi. E proprio qui si verificò la frattura tra Dinale e il partito socialista: “resistenza a oltranza”, proclamava Dinale, mentre Agnini raccomandava prudenza per evitare una pericolosa rottura con i proprietari. La massiccia adesione consentì agli scioperanti, che si astennero dal lavoro per ventitré giorni a partire dall’8 marzo, di raggiungere risultati cospicui, senza però ottenere dai proprietari il riconoscimento delle leghe quale controparte collettiva.
Ma i rapporti con il partito erano ormai logorati: la convinzione circa l’esasperazione della lotta al padronato che albergava in Dinale lo portò a inasprire lo scontro non solo con questo ma anche con lo stesso partito, i cui dirigenti erano persuasi dell’inadeguatezza e della pericolosità di simile impostazione, soprattutto perché in contrasto con la politica sostenuta sul piano nazionale, ma anche per non trovarvi adeguato sostegno teorico e pratico. Per tutta risposta il Circolo educativo popolare ripudiò «Il Domani» quale periodico di riferimento e Dinale fondò un proprio giornale, «La Parola proletaria» (“organo della Federazione dei Circoli socialisti rivoluzionari e delle Leghe”), il cui primo numero uscì il 7 febbraio 1903.
Nel frattempo, alla fine del 1902, egli era stato contattato da Costantino Lazzari, componente della Commissione provvisoria redazionale, per proporgli la carica di redattore capo di «Avanguardia socialista», giornale in procinto di uscire con Arturo Labriola direttore (serie 1. Corrispondenza, b. 1, fasc. 1, sfasc. 1, lettera di Lazzari, 8 dic. 1902), e che segnò l’inizio del «processo d’incubazione del sindacalismo rivoluzionario italiano» (G. Volpe, La disillusione socialista. Storia del sindacalismo rivoluzionario in Italia, Edizioni di storia e letteratura, Roma 2015, p. 60). Principalmente per mancanza di accordo economico Dinale non accettò (serie 1. Corrispondenza, b. 1, fasc. 1, sfasc. 1, lettera di Lazzari, 12 dic. 1902), ma non fece mancare la propria collaborazione (http://www.fondazionemodigliani.it/index.php?fr/169/db-bibliografia-del-socialismo-e-del-movimento-operaio-italiano-periodici/periodicisocialisti_A/206).
La lotta intestina nel partito non era però terminata. Per screditare Dinale, si cercarono pretesti per ogni dove, trovandone infine nella vita – per così dire – semi-privata (giacché per un socialista aspetto pubblico ed esistenza privata costituivano quasi un unicum) a proposito di alcuni debiti (sul punto si sofferma a lungo I. Da Rold, cit., pp. 16-21) non onorati da Dinale, o, meglio, da lui trascurati, cosa che secondo i suoi accusatori, cioè i giornalisti de «Il Domani», e i componenti del giurì, Enrico Ferri, Girolamo Gatti e Quirino Nofri, cui Dinale fu sottoposto, era da ritenere «moralmente biasimevole». Benché questa conclusione lasciasse perplessi gli aderenti al Circolo educativo di Mirandola, il partito non si fermò e nel maggio 1903 la direzione, con l’astensione di Ernesto Cesare Longobardi, approvò la delibera di espulsione di Dinale elaborata da Filippo Turati; il Circolo educativo popolare fu sciolto, e reattivamente si trasformò in Federazione delle leghe e dei circoli socialisti e rivoluzionari. Longobardi volle distinguere la propria posizione con una lettera ai «Cari compagni» del Circolo, dove scrisse di eccessiva severità della Direzione del partito nell'espellere Dinale, cui rimproverava comunque la cattiva gestione del denaro, benché conoscesse la modestia della sua conduzione di vita; si diceva inoltre certo del suo futuro rientro nel partito e della sua volontà di ovviare al disordine contabile passato e auspicava l’ascolto delle esortazioni di Enrico Ferri su l’«Avanti!» circa il sacrificio dei risentimenti «anche giusti nell’interesse del Partito» (serie 1. Corrispondenza, b. 1, fasc. 1, sfasc. 1, lettera di Longobardi, 14 mag. 1903). La previsione di Longobardi si avverò l’anno successivo, quando l’espulsione fu mutata in sospensione di un anno per poi essere annullata, avvicinandosi le elezioni politiche del novembre.
Stessa solidarietà giunse a Dinale personalmente da Romeo Soldi, che gli scrisse della sua espulsione come di un’«enormità» e ricordava le proposte conciliative di Dino Rondani, cioè la cessazione “ecumenica” delle pubblicazioni sia de «Il Domani» sia de «La Parola proletaria», proposte non considerate dalla Direzione del partito; anch’egli raccomandava il sacrificio per il bene del partito in attesa della resa di giustizia, a suo parere immancabile (ibid., lettera di Soldi del 16 mag. 1903). Più tardi Soldi avrebbe pubblicato un saggio su Le varie correnti nel partito socialista italiano, in «Giornale degli economisti», XIV (giugno 1903), serie II, vol. 26, pp. 515-541.
In precedenza, nel febbraio 1903 – come accennato – il sindaco di Mirandola, il socialista Francesco Salvioli, forse nell’ambito delle lotte correntizie, gli aveva contestato l’attività di giornalismo militante incompatibile, a suo dire, con l’ufficio di insegnante. Nel proprio curriculum redatto molti anni dopo, Dinale asserì che, pur di non averlo quale docente, «l’Amministrazione socialista, che non poteva licenziarlo, soppresse l’antichissimo ginnasio che fu riaperto nel 1923 dall’Amministrazione fascista» (serie 7. Documenti di natura personale, b. 25, fasc. 171, Curriculum vitae di Ottavio Dinale).
Intorno al 1904 scontò alcuni mesi di carcere, colpito da numerosi processi («subì una feroce persecuzione da Giolitti e dal Partito Socialista»: idem), tra l’altro per la pubblicazione Canto dei lavoratori della terra (Tip. Solidaria, Torino 1904: cfr. ACS, Dir. gen. p.s., cit., b. 39, fasc. 66, sfasc. 1), ma riuscì a sostenere nella campagna elettorale Gregorio Agnini, che ottenne una candidatura unitaria. Durante la reclusione Dinale scrisse alcuni saggi da lui poi pubblicati in volume, Critica e psicologia socialista, socialismo...socialista e socialismo...d'uomini, Tip. Cooperativa, Mirandola 1905 che, uscito dal carcere, inviò a Roberto Michels (Il carteggio fra Roberto Michels e i sindacalisti rivoluzionari, a c. di G. Volpe, FedOAPress, Napoli 2018, p. 105).
In Svizzera, nel giugno 1904, conobbe Benito Mussolini nell’ambiente degli esuli, durante una conferenza. Molti anni dopo, nel suo libro più noto, Quarant’anni di colloqui con lui (Ciarrocca, Milano 1953, pp. 35-36), ricordò l’incontro con «[…] questo giovane […] fresco di letture di Stirner, di Bakounine, di Nietzsche», ancora privo di capacità critica ma consapevole di possedere «una spiccata personalità».
Dalle colonne de «La Parola proletaria» (20 settembre 1904) Dinale plaudì allo sciopero generale del 1904, esempio della modalità di condurre la lotta di classe «diretta, inflessibile, incoercibile» da lui sostenuta. Proprio per ribadire la centralità della propria impostazione nelle lotte sociali sostenne l’idea di un “congresso” sindacalista rivoluzionario, idea non disprezzata da personalità come Arturo Labriola ed Enrico Leone, benché costoro preferissero parlare piuttosto di “convegno”, per evitare spaccature irreparabili nel partito, la cui funzione parlamentare era da loro ancora considerata indispensabile; inoltre essi giudicavano fragile la posizione teorica dei sindacalisti rivoluzionari italiani. La risolutezza di Dinale nel portare avanti la propria idea condusse all’indizione del convegno il 26 novembre 1905, che generò adesioni entusiastiche: nell’archivio sono presenti molte di esse, tra cui quelle della sezione socialista di S. Marco (Ravenna), con il delegato Ermenegildo Mazzotti, del Circolo socialista di Stuffione (Modena), di Ettore Tonelli, redattore de «Il Socialista» di Faenza e appartenente alla locale Camera del lavoro, della Commissione direttiva provinciale di Ferrara, della Federterra, del Circolo ricreativo libertario di Forlì e dell'Unione socialista anarchica forlivese, oltre a diverse associazioni di ispirazione anarchica e Camere del lavoro (serie 1. Corrispondenza, b. 1, fasc. 1, sfasc. 2). Tra gli anarchici, come noto presenti in misura massiccia, vi parteciparono Armando Borghi, Luigi Fabbri, Pietro Gori, Oberdan Gigli, Leda Rafanelli.
Qualche mese prima, ancora non in rotta definitiva con il partito, Dinale aveva accettato per obbedienza la chiusura de «La Parola proletaria», che salutava i lettori il 7 gennaio inchinandosi «all'inalberato vessillo dell'unità del partito». Nel giugno, scrivendo a Michels, gli annunciava la prossima uscita («il 10 luglio») di un periodico intitolato «Il Sindacalista», promosso da un gruppo di sindacalisti «col programma di abbattere la degenerazione politicantista del Socialismo e additare la sua strada e il suo fine rivoluzionario ai lavoratori», sollecitando l’opinione del destinatario circa l’iniziativa (cfr. Il carteggio, cit., p. 105). Ma il 1° luglio successivo fondava «La Lotta proletaria», redattori Geremia Matarollo, Cesare Marverti, Alberto Basevi, collaboratori, tra gli altri, Paolo Orano, Tomaso Monicelli, Paolo Mazzoldi, Giovanni Zampiga, Leda Rafanelli (http://www.fondazionemodigliani.it/index.php?it/169/db-bibliografia-del-socialismo-e-del-movimento-operaio-italiano-periodici/periodicisocialisti_A/2229), «giornale pensato e scritto per il proletariato, contro le illusioni democratiche, contro ogni forma di pacifismo sociale […] contro il politicismo delle organizzazioni operaie, contro le deviazioni politiche del socialismo, per la moralizzazione del Partito socialista», partito che però all’inizio di novembre Dinale abbandonava per sempre, anticipando la decisione dei sindacalisti presa al II Congresso sindacalista di Ferrara del 1907. Il giornale fu il vessillifero del convegno sindacalista e alla sua redazione furono inviate le adesioni.
,Il convegno stabilì la “neutralità” del sindacato, nel senso che esso non doveva patrocinare alcuna causa politica e men che meno partitica, requisito indispensabile per la promozione e l’affrancamento del lavoratore da ogni forma di sfruttamento. Ma si verificò una spaccatura tra anarchici e sindacalisti in merito all’organizzazione dei lavoratori, che gli uni volevano “orizzontale”, cioè imperniata sulla Camere del lavoro, gli altri la concepivano “verticale”, basata sulle Federazioni nazionali di mestiere, suscettibili queste, a parere dei primi, di «sviluppi autocratici» (F. Giulietti, Storia degli anarchici italiani in età giolittiana, Franco Angeli, Milano 2012, p. 129). Inoltre non fu promossa alcuna struttura comune tra forze rivoluzionarie. La delusione di Dinale si manifestò qualche tempo dopo, con la decisione di chiudere «La Lotta proletaria», ritenendo esaurita la sua funzione di collante fra quelle forze, intitolando l’ultimo editoriale con il noto motto “resa per fame” (10 febbraio 1906). Il 12 febbraio Cesare Spellanzon comunicava a Dinale che difficilmente il suo periodico «Il Secolo nostro» avrebbe potuto cambiare la testata in quella della rivista appena soppressa, e poté solo assorbirla (serie 1. Corrispondenza, fasc. 2, sfasc. 1, cartolina postale di Spellanzon).
Congedatosi dagli amici (nell’archivio si trovano missive di saluto, tra gli altri, di Sergio Panunzio), avvilito dalla delusione e rincorso da condanne penali (benché alcune fossero state condonate da diversi decreti di amnistia), nel febbraio 1906 Dinale scelse la via dell’esilio e si avviò verso la Svizzera, dove trovò asilo a Ginevra con la famiglia. La solidarietà socialista si attivò: Enrico Ferri gli cercò un’occupazione, molti fuorusciti lo chiamarono in varie località per tenere conferenze su svariati argomenti, affinché potesse sostentarsi e badare alla moglie e ai bambini.
Circa due mesi dopo il suo arrivo Dinale fu espulso dalla città elvetica come individuo pericoloso; con la famiglia si rifugiò ad Annemasse, ove restò sei mesi, «après avoir essayé tous les moyens d’en sortir et de me gagner la vie» (serie 1. Corrispondenza, fasc. 1, lettera a Charles Fulpius, minuta, 8 mar. 1907). Poi accettò l’offerta di intraprendere una tournée di propaganda politica tra gli italiani in Nord America e partì da Le Havre il 16 novembre 1906. I numerosi contatti con le comunità di connazionali lo portarono a sconsolate riflessioni sul socialismo italiano:
4 [dic. 1906]. […] Come si assomigliano in una maniera sconfortante gli ambienti italiani all’estero, Svizzera, Francia, America. E come all’estero meglio che in Italia i fatti dimostrano che il Partito socialista italiano all’estero non ha più nulla a fare. Tra lui e le classi lavoratrici che han bisogno d’altro che di chiacchiere e di beghe, v’è l’abisso. Bisognerebbe agire e rimediare. Lo potrò io? (serie 7. Documenti di natura personale, b. 25, fasc. 156, Diario americano).
Rientrato in Europa il 20 marzo 1907, si stabilì ad Annemasse; in seguito poté tornare a Ginevra, essendogli stata revocata l’espulsione. Vi lavorò come traduttore e offrendo lezioni di italiano, latino, greco. Inoltre intraprese un nuovo giro di conferenze, questa volta in Svizzera: i guadagni sarebbero andati al progetto di fondare un giornale. Per altri finanziamenti si rivolse a Charles Fulpius, che nel 1890 aveva creato la Società del libero pensiero.
Dall’esilio, durante il quale vi fu l’ulteriore tappa di Nizza, Dinale prestava poca attenzione alle vicende interne del socialismo e del sindacalismo italiani, ed era concentrato nell’idea della promozione di una nuova rivista con il fine di diffondere il credo della scuola razionalista e di fondarne istituti in gran numero. La convinzione di Dinale circa l’educazione del proletariato, educazione che avrebbe condotto il proletariato stesso a maggiore consapevolezza del proprio ruolo, derivava dalla sua sensibilità pedagogica, in seguito al lavoro di insegnante svolto per molto tempo prima dell’esilio. La scuola razionalista rispondeva, a suo parere, ai requisiti di crescita della coscienza di classe.
Inoltre, dal punto di vista politico, il suo pensiero si era radicalizzato, talché persino lo sciopero generale era diventato per lui uno strumento sterile, addirittura nocivo, utile solo a conferire visibilità al socialismo e al partito che ne avrebbe dovuto rappresentare la concretezza, essendo a suo parere era ormai giunto il momento di passare a vere e proprie azioni rivoluzionarie violente per sostenere le lotte dei contadini, lontani da contorsioni ideologiche e anelanti solo al ribaltamento dei rapporti di classe. Il veicolo di queste esortazioni, la nuova rivista «La Demolizione», nome programmatico, che recava come sottotitolo “rivista internazionale razionalista”, guidata da Dinale ancora in esilio, cercava diffusione negli ambienti meno evoluti con il fine della loro educazione rivoluzionaria. Il quindicinale vide la luce il 1° giugno 1907 ad Annemasse, e prosegui le pubblicazioni dall'agosto 1908 a Ginevra, poi a Nizza, seguendo le tappe dell’esilio di Dinale, e dal 1° gennaio al 1° agosto 1910 a Milano, ove operava il fido Matarollo. «La Demolizione», che, secondo Renzo De Felice, influenzò non poco il giovane Mussolini (R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario (1883-1920), Einaudi, Torino 1965, p. 44), ebbe collaboratori entusiasti: Paolo Orano, Luigi Fabbri, lo stesso Matarollo, Alfonso De Pietri-Tonelli, Michele Bianchi, Franco Ciarlantini, Amilcare Cipriani, Maria Rygier, Massimo Rocca (Libero Tancredi), per citarne alcuni, condividevano l’impostazione ideologica di Dinale e, anzi, molti di loro seguirono anche dopo il suo stesso percorso dal sindacalismo all’interventismo e poi al fascismo. La diffusione del giornale era affidata ai militanti, ai quali lo stesso Dinale aveva scritto inviando un saggio del periodico e chiedendo la disponibilità alla vendita. Coerentemente con le premesse pedagogiche, Dinale era persuaso
che noi potremmo servirci del giornale anche come diffusione di cultura generale, come del resto miri tu con scritti vari, oltre l’opera comune con intenti demolitori. Per ciò, non dovrebbe esser vano qualche brano di scrittore, qualche poesia scelta, qualche giudizio critico su questo o quel fatto, sempre tenendo di mira lo scopo ultimo del nostro movimento. Ti pare? (fondo Neos Dinale, cit., lettera a [Geremia Matarollo], minuta, mag. 1907).
Intanto, proprio per realizzare una rete di scuole razionaliste, Dinale si recò in Spagna, a Barcellona, con il fine di prendere contezza dei risultati in questo campo ottenuti da Francisco Ferrer Guardia, fondatore della Escuela Moderna, di ispirazione laica e razionalista, con succursali in molte città spagnole. Simile tipo di scuola incontrava esattamente l’ideale pedagogico di Dinale. La sua ammirazione verso il fondatore è documentata nell’archivio dalla raccolta di giornali francesi e italiani in occasione dell’arresto di Ferrer nel 1909, della sua condanna a morte e dell’esecuzione (serie 6. Raccolta di pubblicistica varia, ss. 3. Periodici in fascicoli con argomento specifico, b. 20, fasc. 113).
Nel 1908 Dinale partecipò con Alceste De Ambris e Fulvio Zocchi al congresso dei sindacati francesi a Marsiglia. La loro partecipazione, irrisa sull’«Avanti!» (I vani conati dei sindacalisti italiani, un intermezzo ameno nel Congresso dei sindacati francesi, 12 ottobre 1908), ebbe un certo successo con il voto di un ordine del giorno di solidarietà nei loro confronti.
Un’ulteriore evoluzione del suo pensiero si intravede nel 1910, quando il sottotitolo del periodico si trasforma in “rivista internazionale di battaglia”, sorta di liberazione da costrizioni filosofiche o ideologiche, per poter spaziare senza riferimenti inglobando esperienze e idee diverse, o addirittura capovolgere impostazioni precedenti. Tanto che i vecchi sindacalisti rivoluzionari cominciarono l’avvicinamento a movimenti di natura a volte antitetica rispetto alle originarie fondamenta, come il nazionalismo e il futurismo; a proposito di quest’ultimo movimento, è opportuno ricordare la collaborazione a «La Demolizione» di Piero Belli e di Marinetti, del quale il 15 marzo 1909 comparve il Manifesto del Futurismo (cfr. P. Buchignani, La rivoluzione in camicia nera, Mondadori, Milano 2006, p. 46).
La lontananza dall’Italia stava divenendo difficile. Infatti Dinale aveva bisogno di tornare in patria per attendere ad alcuni affari e soprattutto per riprendere il suo lavoro di docente, onde sostentare lui e la sua famiglia. Nel novembre 1909 la domanda di ottenere un salvacondotto nonostante le pendenze giudiziarie venne respinta. L’impegno di Giacomo Ferri e di Agnini affinché la parte lesa, il sacerdote don Filippo Vesucchi, nel processo che aveva visto Dinale imputato per reato di diffamazione a mezzo stampa, aderisse alla domanda di grazia, rendendone possibile l’accettazione, si coronò nel 1910 (del suo caso era stato interessato anche Giuseppe De Felice-Giuffrida). Dinale tornò in Italia tra il 1911 e il 1912, stabilendosi a Treviso.
Nel 1913 si presentò alle elezioni politiche nel collegio di Mirandola, dove era ben conosciuto. Durante un comizio, parlò di una sua «lunga intima crisi laboriosa» che lo fece riflettere sull’immobilità del movimento operaio, stretto
tra due correnti opposte, quella della Confederazione generale del lavoro, che vuole la classe lavoratrice prigioniera e serva di un Partito politico, e quella del sindacalismo, tentennante in metodi contraddittori […] (cit. in I. Da Rold, cit., pp. 117-118).
Un’evidente autocritica, dunque, forse passata attraverso le riflessioni suscitate dalla guerra italo-turca, che peraltro fu vista dalla sinistra rivoluzionaria italiana in modo contraddittorio.
Tutto ciò, le riflessioni, i ripensamenti, le esitazioni, gli approfondimenti, condusse quasi tutto il sindacalismo rivoluzionario nei suoi maggiori e minori esponenti all’adesione alle teorie che vedevano nella guerra scoppiata nel 1914 una crociata contro il prussianesimo, l’autoritarismo imperiale, lo sfruttamento delle classi disagiate. «Furono i mesi spiritualmente più drammatici della nostra vita», scrisse Mario Bergamo, l’amico di sempre, anche nella lontananza ideologica e fisica – Bergamo esule - durante il Ventennio fascista (M. Bergamo, Novissimo annuncio di Mussolini, Cino del Duca Editore, Milano 1962, p. 26): il periodo della neutralità italiana fu per molti di loro per certi versi un momento esaltante – vedi Corridoni e la sua subitanea creazione del Fascio rivoluzionario d’azione internazionalista – per certi altri momenti inquieti e tristi – vedi Alceste De Ambris con le sue riflessioni sulla crisi del movimento – con la consapevolezza che “qualcosa” tra loro, tra gli stessi sindacalisti, si stesse bruciando per sempre, l’amicizia, la passione, la solidarietà che li avevano sostenuti e li avevano fusi negli anni delle lotte operaie e contadine.
«Ormai non v’è più dubbio: la grande ora sta per scoccare. È giunto il momento in cui la vita di ciascuno deve fondersi con quella di tutti; l’ora de l’entusiasmo e del sacrificio […]. Non ti posso dire l’intensità della vita a Milano in questi momenti: son tutti i sentimenti a lungo tempo repressi che si fanno strada violenti»: dal Caffè Campari a Milano, nelle “radiose giornate”, Dinale scriveva alla moglie manifestando l’entusiasmo per le immagini di tanti giovani e meno giovani galvanizzati dalla sempre più possibile entrata dell’Italia nel conflitto (fondo Neos Dinale, cit., lettera a Marcella Vendramin ante 24 maggio 1915). E così, come tanti ardenti interventisti, fossero “democratici”, “rivoluzionari” o altro, Dinale partì volontario per la guerra, soldato semplice (si ricorderà che era stato radiato dai ruoli degli ufficiali), a 44 anni. Già all’inizio di giugno era sui campi di battaglia. Ma la sua battaglia interventista era incominciata da tempo, in un primo momento a Treviso, con comizi e discorsi, poi su «Il Popolo d’Italia», dove, praticamente dai primi numeri, nel 1915, Dinale, sotto lo pseudonimo di Jean Jacques, tenne la rubrica “Filosofia rivoluzionaria”.
Perché il vecchio antimilitarista, sostenitore del giornale «La Pace», “periodico quindicinale antimilitarista illustrato” di Ezio Bartalini, grande estimatore di Gustave Hervé, di cui su «La Demolizione» pubblicò a puntate la traduzione di Leur Patrie, aderì con tanto entusiasmo all’avventura bellica? Tempo dopo, in un articolo su «Pagine libere» del “correligionario” Angelo Oliviero Olivetti, scrisse dell’«unione spirituale e di fatto, tra i migliori elementi sovversivi d’Italia, anarchici, sindacalisti, socialisti ed altri, i quali, per indipendenza di giudizio, per ragioni di coltura e di temperamento […] videro subito nella guerra il grande fatto rivoluzionario» (Reliquati di guerra, il fascismo, 15 dic. 1920). Ma anche la sua corrispondenza ai familiari durante il conflitto risponde a questo interrogativo: «per combattere per l'Italia e la civiltà», per «la guerra di redenzione», per i destini dell'Europa, per l'avvenire dei popoli (fondo Neos Dinale, cit., lettere ai familiari, 17 giu. 1915 e 22 ott. 1915):
Il pensiero di te, di tutti voi, la nobiltà della causa a cui mi sono votato con sereno e tranquillo orgoglio, mi sostengono e mi sosterranno sempre […]. Immagini tu, mio caro Neos, la grande festa dopo la immancabile vittoria?, pensa tu alla gioia delle belle ore che ci attendono, quando il papà tuo ti racconterà le vicende gloriose e perigliose dei valorosi soldati d’Italia […]
scriveva al figlio Neos dal campo di battaglia (fondo Neos Dinale, cit., lettera a Neos Dinale, 2 lug. 1915), ingenerando entusiasmi nel giovane a tal punto che questi si arruolerà di lì a poco, a 16 anni. E nella rubrica “Filosofia rivoluzionaria” emergono i refrain dell’interventismo rivoluzionario, antiprussianesimo, Quarta guerra d’indipendenza e redenzione di territori, guerra rivoluzionaria.
Al fronte Dinale ebbe la ventura di passare molte settimane con l’amico Mario Bergamo, repubblicano, interventista anch’egli: presso i soldati, essi erano «il professore e l’avvocato “che avevano voluto la guerra”». Eppure, i soldati, assai meno motivati di loro, «non diffidavano molto» dei due amici, così solleciti nella loro cura, così pervasi di passione e di disinteresse (M. Bergamo, cit., p. 37).
Trasferito nella zona dell’Isonzo, affermò di essere pronto anche al sacrificio estremo. Fu ferito sul Sabotino («rimase mezzo massacrato. Cinque mesi d’ospedale»: cfr. M. Bergamo, cit., p. 55; v. anche le lettere in serie 1. Corrispondenza, fasc. 4, sfasc. 1, della fine del 1915), promosso sottotenente per meriti di guerra e congedato. Riprese la collaborazione a «Il Popolo d’Italia» nel marzo 1916 e nel maggio 1917 aderì al Comitato d’azione per la resistenza interna con Angelo Oliviero Olivetti, Giuseppe Belluzzo e Massimo Rocca, voluto per lottare contro i disfattisti e i sabotatori. Al Comitato aderirono molte associazioni, come quelle dei veterani delle guerre del Risorgimento, i Reduci garibaldini, una Sezione della Dante Alighieri, una dell'Unione generale insegnanti italiani, le “Logge massoniche” (così sono indicate nella carta intestata dell’Associazione), il Nucleo Vosgi. L’episodio relativo a un abboccamento con Cadorna con il fine di promuovere un colpo di Stato per scongiurare disastri militari e civili, raccontato da Dinale nel volume Quarant’anni di colloqui con lui (cit., pp. 83-85), è sintomatico dell’attenzione prestata dal Comitato al clima del momento: «tre mesi dopo, era Caporetto». E dopo Caporetto Dinale tornò al fronte, partecipando alla battaglia del Solstizio e a quella di Vittorio Veneto, e promosso capitano per meriti eccezionali.
Terminata la guerra, nel 1919 Dinale si allontanò dal giornale di Mussolini: che fossero ragioni personali (la mancata pubblicazione di un articolo su «Il Popolo d’Italia» su un dissidio con Giuseppe De Falco, con il quale pure aveva condiviso la conduzione del periodico durante l’assenza di Mussolini) o politiche (contrarietà alla costituzione di una nuova entità politico-partitica, dopo la nascita dei Fasci italiani di combattimento), Dinale si disinteressò del nuovo corso politico di Mussolini e di tanti vecchi sindacalisti suoi amici. Rinunciò inoltre a candidarsi alle elezioni politiche del 1919 nella lista dei combattenti, benché esortato da un gruppo di persone a lui vicine. Il rifiuto fu motivato dalla «insuperabile repugnanza morale» a partecipare alle elezioni, perché «il rinnovamento che noi volevamo per rigogliosa rinascita si prospetta invece incerto attraverso una putrida decomposizione»: responsabili di questo stato di cose erano i vecchi partiti, sostenitori di un passato «che la guerra ha seppellito per sempre» (Ottavio Dinale rifiuta la candidatura (lettera agli amici), in «Il Popolo d’Italia», 25 ottobre 1919: manoscritto in serie 1. Corrispondenza, fasc. 4, doc. n. 18). D’altra parte, era ancora immerso nell’atmosfera della missione che compì dal novembre 1918 al maggio dell’anno successivo quale capo del Centro di Zara dell'Ufficio informazioni del Governo della Dalmazia, a stretto contatto con il governatore Enrico Millo, per il quale redasse relazioni sulla situazione sociale, politica ed etnica della regione (serie 2. Attività istituzionale, sottoserie 1. Governo della Dalmazia. Ufficio Informazioni-Centro di Zara, b. 3, fasc. 12), «nell’intento di preparare una repubblica dalmatocroata. Ma, ahimè, i nazionalisti del tempo perdettero la Dalmazia» (serie 7. Documenti di natura personale, b. 25, fasc. 171, Curriculum, cit.).
Salace come sempre, nel 1920 riprese a collaborare al periodico «Pagine libere», in cui tenne la rubrica “Asperrima” e dove espose la sua posizione verso il fascismo, di cui vedeva già l’involuzione controrivoluzionaria, ma che a poco a poco egli riconobbe, soprattutto nella persona del suo capo, quale sola spinta a «un’Italia migliore […] viva e sana del popolo che ha combattuto e vinto», capo che «è un vivo accanto a un cadavere [«l’Italia ufficiale», n.d.r.]», ma «il fascismo deve tornare alle origini», cosa che, scritta nel 1921 (30 giugno), fa pensare come lo spirito di Dinale avesse comunque in qualche modo apprezzato lo slancio sansepolcrista che non intravedeva più, assistendo invece a una sorta di ”assalto alla diligenza” che ne snaturava le premesse social-sindacaliste.,Inaspettatamente, dato il suo noto e vivace antiparlamentarismo nonché i precedenti, Dinale si candidò alle elezioni del maggio 1921 per il partito repubblicano, nel collegio di Treviso, aderendo all’invito dell’amico fraterno Mario Bergamo, ma non venne eletto. Pochi mesi dopo, nel luglio, fondò il settimanale «La Vita del Veneto», con l’obiettivo di valorizzare le risorse regionali, discutere dei bisogni e porre alla ribalta le potenzialità della regione, senza essere legato «ad esigenze di partito»; nel programma del periodico, esposto nel primo numero (1° luglio), tornava l’antiparlamentarismo, definendo i partiti «superati», mentre si auspicava la formazione di un’associazione regionale «al di sopra e al di fuori di ogni particolarismo politico», tratto caratteristico del fondatore, nonché lo svincolamento delle organizzazioni sindacali dall’egida dei partiti e lo sviluppo del Veneto attraverso una «moderna organizzazione di tutte le forze produttive». Dinale sembrava auspicare una sorta di “associazione di produttori” per far rifiorire la regione, ancora ferita dopo l’invasione nemica, una «somma di energie» con il fine di dare nuovo vigore all’intero territorio, affrontando i problemi «delle bonifiche, delle sistemazioni idrografiche, della silvicoltura, della industrializzazione dei prodotti agricoli» e così via, come con sguardo utopico egli enumerava per sollecitare le adesioni al programma. E nel secondo numero (9 agosto) tra le altre giunse quella di Silvio Trentin, che «con vero entusiasmo» plaudiva «all’opera magnifica» messa in campo da Dinale. Il numero uscì in forte ritardo a causa della distruzione dell’ufficio di redazione durante l’occupazione fascista di Treviso, quando gli squadristi assaltarono la redazione del giornale repubblicano «La Riscossa» e la tipografia de «Il Piave»: per gli uffici de «La Vita del Veneto» «gravissimi furono i danni», come fu evidenziato in un riquadro in prima pagina. Nell’articolo di fondo, a proposito del Patto di pacificazione, si auspicava che il fascismo «rinuncerà a quei metodi per i quali era degenerato in una forma di messicanismo», chiara condanna delle violenze cui si assisteva quotidianamente, ma, per bilanciare e per sottolineare l’utilità del Patto, ci si augurava che «l’estremismo sovversivo non bastonerà più gli ufficiali, non insulterà il tricolore, non saboterà il paese e dovrà muoversi ne l’ambito delle leggi». Dopo quattordici numeri il giornale sospese le pubblicazioni per riorganizzare le forze, ma il periodico, dopo l’ottobre 1921, non uscì più.
Nel febbraio 1922 vi fu, dopo alcuni anni di lontananza, l’incontro tra Mussolini e Dinale, dietro impulso di quest’ultimo. La rinnovata empatia tra i due si trasformò presto nell’adesione di Dinale al fascismo. In un momento imprecisato – prima dell’ottobre 1922 – Dinale accettò di rappresentare il Partito nazionale fascista durante un viaggio in Sud America con l’obiettivo di trovare sbocco alla manodopera italiana attraverso la colonizzazione di regioni dell’Argentina, onde scongiurare l’emigrazione incontrollata, potenzialmente dannosa per gli stessi emigranti, come spesso si era registrato nei decenni precedenti. Tra gli altri mandati, Dinale aveva quello della propaganda del Fascio e – possibilmente – la fondazione di Gruppi fascisti in loco.
Dinale partì dall’Italia con il figlio Neos intorno al 14 ottobre 1922, dunque prima della nascita del governo presieduto da Benito Mussolini. Il viaggio servì a Dinale per prendere contatti con personaggi del luogo, tra cui alcuni maggiorenti italo-argentini, e verificare la possibilità di creare colonie italiane in località opportune (M. Zaganella, Città nuove e colonizzazione agraria italiana in Argentina, in corso di stampa). Dinale ripartì dal Sudamerica il 12 maggio 1923, e nel giugno riferì all’ormai capo del governo i contatti, anche in alto loco, avuti durante il soggiorno, che si protrasse fin nell’Uruguay (Quarant’anni di colloqui, cit., pp. 94-96). Tra questi contatti vi fu quello con l’ingegner Filippo Bonoli, autore di progetti per la costituzione di alcuni insediamenti italiani, ben inserito negli ambienti argentini economici e finanziari (serie 2. Attività istituzionale, sottoserie 2. In Sudamerica, b. 3, fasc. 13). Si rese necessario un secondo viaggio per rendere concreti i progetti elaborati, per i quali Dinale ottenne finanziamenti dal Commissariato generale dell’emigrazione. Partito l’8 novembre 1923 alla volta di Buenos Aires, Dinale aveva l’obiettivo, del tutto condiviso con il governo italiano, della trasformazione delle famiglie contadine italiane emigrate in piccoli proprietari terrieri.
La ricerca di un sito ove convogliare l’emigrazione italiana si fermò nella Provincia di Mendoza, in cui già esisteva un tentativo di colonizzazione di diverse famiglie di italiani, la Colonia Alvear. Prima di firmare il contratto con la Sociedad Anónima Colonia Alvear a nome del Governo italiano, benché Dinale fosse convinto «che la realizzazione del progetto costituisca un sicuro elemento di ricchezza per i venienti e di prosperità generale» (serie 2. Attività istituzionale, sottoserie 2. In Sudamerica, b. 3, fasc. 15), il progetto non ebbe seguito (P. Sergi, Da Villa Regina a Villasboas. Progetti di colonizzazione in Sud America negli anni del primo fascismo, in «Percorsi Storici», 2013, 1), mentre maggior fortuna arrise alla Colonia Regina Pacini de Alvear, oggi Villa Regina, nella Patagonia extraandina, uno dei progetti che Dinale concepì con l’ingegner Bonoli – l’altro, nella stessa zona, non si realizzò (Colonia “Monte Grappa”) – attraverso la Compagnia italo-argentina di colonizzazione, costituita con capitali italiani, al punto da poter affermare che per Villa Regina si può parlare della prima “città di fondazione”.
Tornato in Italia nel maggio 1924, incontrò Mussolini il 30 dicembre, nel momento «del maggiore e più feroce inasprimento delle opposizioni» dopo il delitto Matteotti. Dinale rievocò quell’incontro nel volume Quarant’anni di colloqui con lui alle pp. 114-117, ma la versione del racconto della prima parte dell’incontro conservata nel suo archivio offre particolari diversi. Dinale si recò a Palazzo Venezia per fare al duce
omaggio di alcuni aforismi rivoluzionarii […] con la modesta consapevole intenzione di farti vedere qualche cosa che tu, perché non puoi veder tutto, non puoi vedere, o perché vi sono delle influenze maligne o malvagie che ti impediscono di vedere.
La prima reazione di Mussolini fu di fastidio, ma poi afferrò i fogli che Dinale gli porgeva, ove erano vergati gli “Aforismi rivoluzionarii”:
1) La muta dei cani arrabbiati abbaja perché il domatore ha deposto il frustino […].
2) Le viltà esalanti dal cadavere [di] Matteotti sono sempre le stesse: quelle, parassitarie, del giolittismo; quelle, statiche, del liberalismo; quelle, organiche, del neutralismo; quelle, putride, del sovversivismo palancaio; quelle, sadiche, del disfattismo […].
3) Il Fascismo ha avuto troppo fretta di inserirsi nel regime che tenta invece di assorbirlo e di eliminarlo; bisogna rimediare al generoso errore con l’imperioso proposito di piegare il regime al Fascismo.
4) La presente crisi politica deve sboccare nell’urto tra il fascismo epurato e chiarificato e la coalizione di tutte le forze antinazionali che né la Vittoria né la Marcia su Roma han saputo eliminare dal corpo nazionale.
5) Bisogna stringere la catena dei fedelissimi […].
6) Si è creata una situazione analoga a quella del 1922. Il Duce deve rideterminare quella del 1923 […]: o il trionfo della Rivoluzione fascista o il rinvigliacchimento dell’Italia la quale tornerebbe pregiolittiana.
7) Il Presidente Mussolini non deve figurare nel ruolo organico dei presidenti del Consiglio.
8) Il tatticismo del Presidente non deve sopraffare il rivoluzionarismo del Duce.
9) Bisogna avere fede nel popolo italiano, il quale ama e vuole l’uomo forte e all’uomo forte farà ancora completa dedizione.
10) Il capo deve credere ai valori concreti degli uomini, non a quelli meccanici […].
11) Gli attimi della storia sono attimi e non sessioni parlamentari.
12) Mussolini non ha le responsabilità effimere dell’uomo di Governo, ma quelle storiche dell’uomo del destino […].
13) La Corona deve servire all’Italia di Vittorio Veneto, non a quella dei parecchisti e dei rinunciatari o dei pescicani del demagogismo […].
14) Il Collare dell’Annunziata è una suprema onorificenza, non un nodo scorsoio.
15) L’ora di salvare l’Italia è questa: l’aspettazione dei morti trascende il giudizio dei vivi.
Alle sollecitazioni di Dinale a “cambiare metodo”, Mussolini rispose di avere in programma per i giorni successivi un Consiglio dei ministri onde impostare la reazione, ma fu interrotto dall’interlocutore che lo spronò a non perder tempo, «l’ora incalza». Ancora dal resoconto di Dinale:
Un’ora e mezzo dopo era convocato d’urgenza un Consiglio straordinario dei ministri che durò tre ore e che mise in subbuglio per l’aspettazione tutto il mondo politico di Roma.
Il dattiloscritto termina, seguito da appunti autografi di Dinale: fu «l’inizio della seconda ondata […] E non si tornò più indietro» (fondo Neos Dinale, cit., manoscritto, [30 dic. 1924]). Il Consiglio dei ministri straordinario si riunì dalle 15 alle 18.30 ed esaminò «la situazione interna, in seguito specialmente all’atteggiamento assunto da alcuni gruppi e dalla stampa di opposizione» (Archivio centrale dello Stato, Verbali del Consiglio dei ministri, verbale del 30 dicembre 1924; esso è molto breve e si presenta in forma manoscritta, a differenza degli altri); fu «unanime nella valutazione della situazione, creata da elementi irresponsabili, e delle sue ripercussioni, soprattutto economiche e finanziarie; ed è stato altresì unanime nella decisione di applicare tutte le misure necessarie per la tutela degli interessi morali e materiali del paese» (Opera omnia di Benito Mussolini, Dal delitto Matteotti all’attentato Zaniboni, vol. XXI, La Fenice, Firenze 1956, p. 234).
La immutata stima nutrita dal capo del governo verso il vecchio sindacalista, che nel corso del 1923 aveva pubblicato alcune “lettere aperte” a Mussolini su «Il Popolo d’Italia» firmate con il dantesco pseudonimo “Farinata degli Uberti”, «propugnando una audace impostazione politico-sociale del fascismo», lo indusse a affidargli numerosi incarichi istituzionali. Nel 1925 Dinale fu regio commissario a La Spezia, mentre, pur essendone in predicato, non divenne prefetto di Pola, perché, a suo dire, «vi si oppose Federzoni, l’antico odiatore del nostro interventismo rivoluzionario, e ministro degli attentati» (serie 7. Documenti di natura personale, b. 25, fasc. 171, Curriculum, cit.). Il 16 dicembre 1926 fu nominato prefetto di Nuoro, appena elevata a provincia insieme ad altre. Mussolini ricevette i prefetti delle nuove province il 9 dicembre, subito prima della nomina formale. In quella occasione Dinale “mnemostenografò” il discorso del capo del governo, offrendo poi in dono ai colleghi il verbale così ottenuto quale ricordo della cerimonia. Il discorso di Mussolini fu veemente, chiarendo che ogni altra autorità del luogo doveva essere subordinata a quella del prefetto, compresi dunque i segretari federali del partito, e fu netto nel raccomandare la vigilanza più attiva per preservare l’ordine pubblico. Nell’archivio di Dinale vi sono due fogli riguardanti il verbale dell’incontro (serie 2. Attività istituzionale, sottoserie 4. Attività prefettizia, sottosottoserie 1., b. 4, fasc. 18), mentre esso è presente nella sua interezza nell’Archivio di Stato di Matera (cfr. P. Sergi, Quando Mussolini diede ai prefetti la "licenza di uccidere", in «Giornale di storia contemporanea», XIV (2011), 1, pp. 75-90).
Dinale trovò a Nuoro e nella provincia un ambiente subdolamente ostile e intento, nelle sue alte rappresentanze, a conservare situazioni personali che non consentivano l’emergere di personalità più dinamiche e decise a scardinare l’omertà vigente. Fu risoluto nella lotta contro ogni tipologia di fuorilegge e fece appello alla popolazione, ancora affezionata alla figura del bandito-eroe, vindice dei soprusi, affinché lo sostenesse nell’affrancare il territorio da una lunga servitù criminale (A. S. Todde, Banditesse sarde tra ieri e oggi, in «Rivista di psicodinamica criminale», III (2010), 3, pp. 8-9). Accanto a questo, il prefetto si impegnò nella dotazione di infrastrutture pubbliche: nella relazione prefettizia del giugno 1927 (serie 2. Attività istituzionale, sottoserie 3. Attività prefettizia, sottosottoserie 2. Prefettura di Nuoro, b. 4, fasc. 20) scriveva che «bisogna risolvere integralmente e presto il problema sardo al di fuori e al di sopra delle esigenze di bilancio e con un ritmo che vinca e superi le lentezze della pesante macchina statale». In una lettera ad Antonio Putzolu, il “sardo-fascista” fondatore del mensile «Mediterranea», Dinale asserì che per risolvere il problema della regione – arretratezza, banditismo, disoccupazione, isolazionismo – era necessaria un’alleanza tra governo, sardi, continentali, perché quello della Sardegna era un problema nazionale e occorreva elevare le condizioni morali, igieniche, economiche dell'isola (fondo Neos Dinale, cit., lettera ad Antonio Putzolu, minuta, 17 giu. 1927).
Egli venne riconosciuto – con accenti un po’ adulatori – quale «restauratore morale della Provincia nostra e costruttore instancabile e sapiente delle sue fortune e del suo avvenire» (serie Attività istituzionale, sottoserie Attività prefettizia, b. 4, fasc. 22, lettera di alcuni membri della Federazione provinciale di Nuoro del Pnf, 22 apr. 1928). In realtà le lotte tra gruppi del territorio nuorese erano senza esclusione di colpi e contrapponevano soprattutto quello capeggiato dal deputato fascista Salvatore Siotto, composto di personalità convertite al fascismo per convenienza, e altri gruppi fedeli al Regime in opposizione ai potentati locali. Lo stesso Dinale si trovò coinvolto in dicerie e attacchi, con accuse di favoritismi, da lui dimostrate del tutto prive di fondamento, e in una lettera a Mussolini, dicendosi disgustato dalla pervicacia delle animosità, asserì che avrebbe volentieri rinunciato all’incarico: «è la prima volta che mi accade di desiderare di lasciare un posto di combattimento; il pericolo della lotta mi infiamma e mi aizza, ma quando il nemico fa schifo, vince la nausea» (ibid., lettera a Benito Mussolini, minuta, 11 marzo 1928).
Da Nuoro Dinale passò a Potenza (l° luglio 1928) e poi a Salerno (16 maggio 1930) (M. Missori, Governi, alte cariche dello Stato e prefetti del Regno d'Italia, Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per i beni archivistici, Roma 1978, pp. 533, 562, 583). A Potenza trovò una situazione analoga a quella di Nuoro quanto a conventicole e gruppi di potere locale, che con l’avvento del fascismo avevano camaleonticamente cambiato casacca per conservare privilegi e interessi: tutti questi giochi ambigui «intristiscono la vita politica provinciale, specialmente laddove il fascismo si è manifestato come ripercussione meccanica e comodo governativismo, ed il Partito è diventato fine di arrembaggio da parte di molti uomini provenienti dai partiti o da clientele dell’antico regime»; il prefetto, trovatosi di fronte a due potentati in lotta fra loro, si diede perciò da fare per «creare una situazione fascista indipendentemente dagli uni e dagli altri» adoperandosi in un’opera di pacificazione per evitare vendette e sopraffazioni. Il vecchio sindacalista, difensore degli oppressi, albergava ancora in Dinale, che in una informativa del 1926 della Questura di Treviso alla Prefettura di quella provincia era descritto come persona di modesto tenore di vita, con cespiti di entrata presumibilmente limitati (cfr. I. Da Rold, cit., p. 227). Non si può ovviamente escludere che i successivi incarichi e la collaborazione a «Il Popolo d’Italia» dal 1932 non gli avessero consentito maggiori disponibilità economiche.
Nel frattempo la sua famiglia si espandeva: nella seconda metà degli anni Venti si erano sposati sia la figlia Leuzira, con Giacomo Carlo Viganò, sia il figlio Neos, con Wanda Dinale, sua cugina di primo grado. Leuzira ebbe una figlia, Vera, nata nel 1931, Neos tre bambini, Franco (1928), Ottavio (1931), Carlo (1940).
Intanto, fascismo imperante, Dinale continuava ad avere contatti con fuorusciti, confinati, insomma personaggi a lui un tempo legati nella vecchia militanza e poi caduti in disgrazia con il nuovo regime, ma che di frequente erano sostenuti, in modo anonimo, dal regime stesso, come accadde, per esempio – informa Dinale (Quarant’anni di colloqui, cit., pp. 125 e 312-317) – a Errico Malatesta e Giuseppe Giulietti, il “comandante sindacalista”, e a molti altri confinati e condannati, segnalati da Dinale a Mussolini.
Ma anche pubblicamente Dinale, ormai per tutti “Farinata”, riprendendo la collaborazione a «Il Popolo d’Italia» (dove talvolta firmava gli articoli con il proprio nome o con le iniziali), nel 1932, fino almeno al 1937, attraverso il riesumato pseudonimo divenne l’adamantino difensore di chi aveva subito torti, l’inesorabile critico del malcostume in alto e in basso, il patrocinatore del fascismo puro, onesto, incorrotto e incorruttibile contro chi ne faceva un comodo paravento per le proprie ambizioni, per i propri misfatti, chi era invischiato in faccende oscure, chi, in nome del fascismo, intendeva conservare posizioni di potere precedenti e mantenere in stato di servitù coloro che gli erano sempre stati asserviti. Di questi ultimi Dinale divenne il paladino e degli altri strenuo accusatore: «tutte le code di paglia vissero anni di trepidazione» (serie 7. Documenti di natura personale, b. 25, fasc. 171, Curriculum, cit.). L’acquiescenza di Mussolini, direttore del giornale, verso le invettive di Dinale, prontamente segnalate al duce con lamentele, proteste, minacce da chi era colpito dalla scure del vecchio sindacalista, lasciava stupite le “vittime” stesse delle invettive, incredule di fronte a tanto spazio di manovra accordato (tra i molti, Farinacci: cfr. ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato, 1922-1943, b. 41, Farinacci a Mussolini, 28 ott. 1933). Inutile dire che negli scritti di Farinata la figura di Mussolini usciva sempre eroica.
Si potrebbe quasi pensare a una sorta di riconoscenza di Dinale verso Mussolini che lo teneva a briglia sciolta, leggendo i due volumi da quegli pubblicati nel 1934, uno sullo stesso duce e l’altro a proposito della Mostra della rivoluzione fascista, Tempo di Mussolini, Mondadori, [Milano-Verona] 1934, e La Rivoluzione che vince, Franco Campitelli editore, Roma [1934]. «La nuova Italia si chiama Mussolini», affermava lapidariamente Dinale nel secondo dei due volumi (p. 21), dove si legge (p. 9) che
la Rivoluzione Fascista non è una storia scritta in capitoli, è un prorompere di fatti storici […]; non è una gesta di attori, è un’irruzione della volontà e del sacrificio, in nome di un dovere che domina l’essere, alla conquista di un ideale che non ha altro correlativo se non la vittoria o la morte
parole non troppo lontane da quelle relative ai sentimenti che dominavano il Dinale sindacalista rivoluzionario. Lo stile letterario del Dinale laudator del capo del fascismo era sempre il medesimo, un po’ retorico, roboante, enfatico.
Nel 1935, nonostante l'età – aveva 64 anni -, decise di arruolarsi volontario nella guerra in Africa Orientale, partendo per Asmara da Napoli il 12 febbraio 1936, dopo essere stato reintegrato nei ruoli della riserva, cosa che, dato l’anno di nascita, risultò complessa. L’impresa gli apparve un’occasione straordinaria:
Che guerra ciclopica, che spettacolo indescrivibile, che orgoglio luminoso. Tutto in proporzione con la grandezza onnipotente del Genio, con la volontà e con la consapevolezza di un popolo che corre […] la sua suprema inarrestabile marcia (fondo Neos Dinale, cit., lettera a Leuzira Dinale, 27 mar. 1936).
Nell’aprile 1936 ebbe l’incarico di ispettore per tutta la zona occupata fino alla primissima linea. Da lì inviava le “segnalazioni al Duce”, informative sulla situazione militare e su quella relazionale tra ufficiali e truppa e tra gli ufficiali tra loro. In quel periodo incontrò Galeazzo Ciano, Roberto Farinacci, Vito Mussolini, Achille Starace. Ebbe l’avanzamento straordinario a maggiore per meriti eccezionali, che giunse dopo il suo rimpatrio, nel gennaio 1937 (serie 2. Attività istituzionale, sottoserie 5. Campagna d’Etiopia, b. 5, fasc. 29).
La famiglia Dinale aveva impostato la propria vita basandola su un ateismo assoluto, proprio dell’ambiente ove Ottavio aveva a lungo militato. Da simile impostazione si allontanò già in giovane età Neos, il figlio maschio di Ottavio. La conversione della sorella Leuzira fu successiva e accompagnata dall’insorgere di una grave malattia, da lei accettata e quasi invocata quale dono di fede (serie 7. Documenti di natura personale, b. 25, fasc. 162). La scomparsa di Leuzira, avvenuta nel dicembre 1940, dopo il comprensibile turbamento dell’intera famiglia, condusse lo stesso Ottavio ad abbracciare convintamente il cattolicesimo, insieme alla moglie. Essi si presero cura della figlia di Leuzira, Vera, il cui padre, Carlo Viganò, non era in buoni rapporti con la famiglia Dinale, anche per precedenti dissapori dovuti a comportamenti di questi, personaggio poco affidabile e incline a utilizzare per propri fini il nome del suocero (fondo Neos Dinale, cit., lettera a Neos Dinale, 1° dic. 1927). La vicenda di Leuzira, resa nota attraverso un volumetto del suo padre spirituale, don Vincenzo Ceresi, fu risaputa anche in Vaticano e commosse il pontefice Pio XII, che il 5 luglio 1941 ricevette in udienza Dinale, la moglie Marcella, la nipote Vera (V. Ceresi, Leuzira. Sacrificio e apostolato, 4a ed. ampliata e documentata, Libreria editrice Coletti, Roma [1943], p. 141).
Nel 1942 Dinale acquisì la proprietà della casa editrice Augustea, che pubblicava l’omonima rivista, di cui nel 1941 era divenuto direttore.
Con l’avvento della legislazione sulla razza, l’atteggiamento di Dinale appare di cauto ossequio al pensiero dominante. Scrisse, a firma Farinata, la prefazione al volume di Aldo Capasso, Idee chiare sul razzismo (Augustea, Roma 1942), nella quale, con espediente dialettico, faceva proprie le perplessità di quanti si trovavano a destreggiarsi tra le contrastanti teorie sull’argomento: lamentava la confusione che simili teorie ingeneravano, per ovviare alle quali – asserì – aveva promosso la pubblicazione, sorta di vademecum, dove Capasso espose le proprie, sottolineando le differenze fisiche e psicologiche tra le razze, partendo dal Manifesto del razzismo italiano. Peraltro Dinale, proprio presso Augustea, aveva alle dipendenze Gino Ben Amozegh (forse discendente del rabbino capo di Livorno Elia Benamozegh), di religione ebraica, al quale, dopo il 25 luglio, affidò la Direzione amministrativa, trovandosi lontano da Roma (serie 3. Affari diversi, ss. 1. Affari di varia natura, b. 6, fasc. 35).
Dopo l’8 settembre, Dinale aderì alla Repubblica sociale italiana, recandosi a Gragnano con una certa frequenza a incontrare un Mussolini rinchiuso in se stesso e nella sua «corrodente angoscia» (Quarant’anni di colloqui, cit., p. 199), quasi inconsapevole della realtà, tanto da mostrare in alcune circostanze «ottimismi dedotti da particolari male o scarsamente interpretati» (ibid., p. 196). Impossibile per Dinale abbandonare la barca in tempesta: «uomo di battaglia» si era definito nel 1921 nell’editoriale del primo numero de «La Vita del Veneto», e per l’intera esistenza ne aveva mantenuto lo stile e la grinta. Impossibile abbandonare gli amici, ancor più coloro che tornarono all’ovile in quel 1943-1945, come Massimo Rocca e Nicola Bombacci, o il figlio di Mario Bergamo, Giorgio Mario, con il miraggio di realizzare il socialismo, quello vero, quello che avevano sempre rincorso, “il sol dell’avvenire”, “lo Stato dei lavoratori”. Ma «non c’è più nulla da fare», si scoprì a riflettere Dinale dopo uno di quei Colloqui del 1944, «Che Iddio salvi l’Italia» (ibid., p. 200).
La fine del conflitto e la resa dei conti si concretarono per la famiglia Dinale nell’arresto di Neos, prefetto di Vicenza dal 20 settembre 1943 al 12 maggio 1944, che fu liberato dopo l’”amnistia Togliatti”.
Al referendum del 2 giugno Ottavio auspicò la vittoria della repubblica: «la storia non torna indietro e le direttive di marcia de l’umanità verso una […] più umana giustizia sociale sono oramai sull’amplissima asfaltata meta della rivoluzione» (fondo Neos Dinale, cit., lettera a Neos Dinale, 26 mag. 1946).
Tra il 1947 e il 1948 collaborò con Edgardo Sulis, che conosceva da tempo, alla stesura del programma del Movimento universalista; impostò con questi e con Armando Lodolini l’organo del Movimento, il periodico «L’Idea universale», di cui Lodolini fu designato direttore responsabile (serie 3. Affari diversi, ss. 1. Affari di varia natura, b. 6, fasc. 36).
Collaborò inoltre con Duilio Susmel nel novembre 1951 alla rettifica dell’attribuzione a Mussolini di scritti e corsivi anonimi o pubblicati con pseudonimi, così come compare nel I volume dell’Opera omnia (a cura di Edoardo e Duilio Susmel, La Fenice, Firenze 1951). Questa rettifica non è stata recepita nella seconda ristampa del 22 dicembre 1953, mentre è presente in forma dattiloscritta, con firma autografa di Susmel, nelle carte Dinale (serie 4. Scritti, ss. 2. Altri scritti, b. 16, fasc. 82).
Come è stato più volte ricordato, egli pubblicò nel 1953 presso l’editore Ciarrocca di Milano il volume rievocativo dei suoi incontri e della sua amicizia con Mussolini, Quarant’anni di colloqui con lui, ove si diceva l’unico ad aver penetrato nell’intimo la sua anima «in una incessante azione critica dapprima, anatomica poi, tra il seguitare dei giorni e il precipitare degli avvenimenti» (p. 12); nell’archivio è presente la prima versione di alcune parti del libro (serie 4. Scritti, ss. 2. Altri scritti, b. 17, fascc. 84 e 85).
Morì a Roma il 7 marzo 1959.,
- Storia archivistica
L’archivio di Ottavio Dinale posseduto dalla Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice non è la documentazione completa di quanto prodotto durante le sue molteplici attività in uffici vari e differenti da Dinale, personaggio dinamico ed eclettico. Le carte donate alla Fondazione rappresentano certo una buona parte del fondo – potremmo definirlo “fondo principale” –, ma una parte è stata trattenuta dalla famiglia per motivi affettivi e di interesse personale, un’altra è stata depositata presso l’Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea della Marca trevigiana (Istresco), mentre ulteriore documentazione fu lasciata in deposito negli anni Settanta del Novecento a un amico di famiglia e tuttora custodite nella cerchia familiare di costui, a Badoere di Morgano in provincia di Treviso. La parte conservata dall’Istresco è presente nel fondo principale in copia fotostatica.
L’archivio è stato dichiarato di interesse storico particolarmente importante dal soprintendente archivistico per il Lazio del Ministero per i beni e le attività culturali il 30 gennaio 2007.
La conservazione dell’archivio, dopo la scomparsa del titolare (1959), fu curata dal figlio Neos e, dopo la morte di questi (1993), da Carlo Dinale, ultimo figlio di Neos. A lui si deve in certa misura la sistemazione delle carte, soprattutto della corrispondenza, che, per il rispetto del principio dell’ultima disposizione funzionale e valutando comunque fascicolo per fascicolo, è quella sulla quale in parte si sono basati il riordinamento e l’inventariazione.
L’archivio è giunto presso la Fondazione in cinque scatoloni, uno dei quali conteneva un faldone con carte prodotte da Neos Dinale. A questo faldone si sono aggiunte, in sede di schedatura e di riordinamento, altre unità archivistiche che per ragioni squisitamente cronologiche non possono essere attribuite alla produzione di Ottavio. Alcune di simili unità contengono documentazione originariamente di Ottavio, ma inglobata da Neos in propri incartamenti con argomento analogo, quali precedenti o per ragioni funzionali. Ciò significa che una ricerca per quanto possibile completa su Ottavio Dinale non può prescindere dallo studio dei documenti contenuti nell’archivio del figlio Neos. Forse è il caso di aggiungere che probabilmente Neos non distingueva nettamente la documentazione del padre e la propria: è stato necessario quindi uno studio specifico finalizzato all’individuazione di una linea di demarcazione che consentisse l’attribuzione dei documenti a volta a volta all’uno o all’altro, anche se non è stato possibile eliminare del tutto alcune vischiosità, probabilmente dovute anche alla consultazione dell’intero complesso da parte dei familiari e segnatamente di Carlo Dinale, nonché da alcuni ricercatori che lo hanno consultato per motivi di studio. Si deve inoltre fare presente che i documenti del fondo di Neos sono risultati di assai minore consistenza rispetto all’archivio paterno.
La consultazione dell'archivio di Ottavio Dinale fa apprezzare le riflessioni intorno alle carte di singoli, in particolare laddove si asserisce che l’archivio di persona, così come giunge negli istituti di conservazione, trova la sua genesi in più soggetti produttori (S. Vitali, Relazione al Convegno “L’archivio costruito. Autobiografia e rappresentazione negli archivi di persona”, organizzato da ANAI, BNCR e ICAR, con il contributo la Direzione generale Biblioteche e Istituti culturali del Mibac, Roma, Biblioteca nazionale centrale, 9 novembre 2018). Infatti l’archivio Dinale, consultato, come detto, dai familiari e da studiosi ha subito alcuni rimaneggiamenti, di sicuro per scopi di pura curiosità familiare onde rendere omaggio alla memoria del congiunto, o di ricerca; difficile, in questo come in altri casi, giudicare quanto simili rimaneggiamenti abbiano alterato la disposizione originaria, sino ad arrivare a sconvolgerla, ma di sicuro la documentazione è stata osservata e su di essa i familiari hanno riflettuto. D’altra parte, nei processi di conservazione di tale tipologia di archivio entrano in gioco dinamiche particolari che possono far emergere determinati aspetti: l’erede interviene nella trasmissione della memoria del proprio congiunto e nella stessa conservazione, conferendo rilievo a certe parti piuttosto che ad altre (E. Cardinale, Il ruolo degli eredi nella trasmissione dell’archivio, Relazione al Convegno “L’archivio costruito”, cit.).
Da tempo ormai il rilievo degli archivi privati è attestato da eminenti specialisti per conservare «una documentazione estremamente importante e significativa della storia del nostro paese, sia che si tratti di archivi di famiglie signorili e nobiliari del medioevo e dell’età moderna, sia di archivi di personalità del mondo della politica, della cultura, dell’industria in età contemporanea» (R. Grispo, Introduzione a Il futuro della memoria, Atti del convegno internazionale di studi sugli archivi di famiglie e di persone, Capri, 9-13 settembre 1991, I, Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per i beni archivistici, Roma 1997, p. 21. Infatti, come ha affermato Elio Lodolini, «[…] gli archivi privati sono ormai considerati quasi dovunque parte della “memoria” di una Nazione, cioè parte del patrimonio archivistico nazionale, beni culturali al pari degli archivi pubblici, pur se sottoposti ad una diversa disciplina giuridica […]» (E. Lodolini, Archivi privati, archivi personali, archivi familiari, ieri e oggi, in Il futuro della memoria, cit., p. p. 61), e come tale l’archivio Dinale, come i molti archivi privati riconosciuti meritevoli di vigilanza da parte dello Stato, è stato accolto con soddisfazione dalla Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice, che conserva diversi altri fondi personali su cui molto attenta è la ricerca da parte di studiosi di ogni generazione.
Le unità archivistiche contenute negli scatoloni nei quali è giunto l’archivio si presentavano senza indizi di potenziale accostamento, non di rado prive di intitolazione; per converso, appare visibile la mano di Carlo Dinale nell’apposizione di alcuni titoli, che sono rimasti quale intestazione del fascicolo nell’inventario, essendo d’altronde quasi sempre del tutto pertinenti. L’individuazione delle serie non è stata dunque – per così dire – intralciata da suggerimenti pregressi fuorvianti. Non si è avuto dubbio alcuno circa l’istituzione della serie 1. Corrispondenza, costituita da 11 fascicoli, alcuni assai consistenti e dotati di sottofascicoli, e rilevante quanto a contenuto e notorietà dei mittenti (e dei destinatari, in caso di minute, tuttavia poco numerose), tra cui si annoverano i nomi di Germano De Pietri-Tonelli, Enrico Ferri, Oberdan Gigli, Costantino Lazzari, Ernesto Cesare Longobardi, Edmondo Rossoni, Sergio Panunzio, Paolo Orano, Piero Belli, Manlio Morgagni e altri tra socialisti, sindacalisti rivoluzionari, esponenti del fascismo, compreso Benito Mussolini.Si è poi ritenuto opportuno concentrare in apposita ripartizione il frutto dell’attività di Dinale nelle istituzioni, in qualità di appartenente all’Ufficio informazioni del Governo della Dalmazia, prefetto, combattente (serie 2. Attività istituzionale). Per simile serie, anche in virtù dell’implementazione dell’archivio con la documentazione donata successivamente alla prima donazione dagli eredi, si è resa necessaria la suddivisione in sottoserie, che raccolgono organicamente i documenti prodotti durante le diverse attività ufficiali espletate. Il risultato è il seguente: sottoserie 1. Governo della Dalmazia. Ufficio Informazioni-Centro di Zara; sottoserie 2. In Sudamerica; sottoserie 3. R Commissario di La Spezia; sottoserie 4. Attività prefettizia; sottoserie 5. Campagna d’Etiopia. La sottoserie 4. consiste a sua volta in 3 sottosottoserie: sottosottoserie 1. Istituzione di nuove province, sottosottoserie 2. Prefettura di Nuoro, sottosottoserie 3. Prefettura di Potenza.
L’attivismo del soggetto produttore lo condusse a interessarsi di vicende varie, con risvolti personali oppure di più ampio respiro, politici, pubblici, da cui scaturirono carteggi, progetti, raccolte: è apparso quanto mai appropriato riunire la produzione documentaria di simile molteplice attività in una serie apposita, peraltro provvista di due sottoserie, per distinguere le relazioni generiche e diverse da quelle riguardanti la località di Badoere di Morgano, ove si riuniva la famiglia Dinale, oggetto di attenzione da parte del suo cittadino onorario, capace di coltivarla attraverso benefiche attenzioni (serie 3. Affari diversi, sottoserie 1, Affari di varia natura; sottoserie 2. Badoere di Morgano).
Un’altra ripartizione documentaria ha raccolto gli scritti di Dinale, sparsi nei vari scatoloni (serie 4. Scritti), distinguendo (sottoserie 1. Scritti su «Il Popolo d’Italia»; sottoserie 2. Altri scritti) tra gli articoli pubblicati ne «Il Popolo d’Italia», ben conservati secondo le differenti modalità di presentazione (sottosottoserie 1. Manoscritti ordinati cronologicamente; sottosottoserie 2. Ritagli di giornale con articoli di Dinale; sottosottoserie 3. Manoscritti vari sciolti, sottosottoserie 4. "Lettere al Presidente"), e le diverse produzioni pubblicistiche: in questo secondo caso si tratta per lo più di manoscritti di brevi saggi o articoli di incerta destinazione.
L’archivio raccoglie ancora alcuni Scritti di terzi (serie 5.), di solito articoli o brevi saggi, non si sa se pubblicati, nella più gran parte di autore ignoto.
La Raccolta di pubblicistica varia (serie 6.) ha richiesto molta cura per individuare nel vasto insieme elementi unificanti e nello stesso tempo indici di differenziazione tra raccolte e raccolte. Il risultato è stato l’istituzione di più sottoserie (1. Periodici in fascicoli intitolati ab origine; 2. Eco della stampa; 3. Periodici in fascicoli con argomento specifico; 4. Collezione di periodici; 5. Periodici stranieri; 6. Periodici in fascicoli in ordine cronologico), di cui la 5. ha richiesto la suddivisione del materiale in alcune sottosottoserie (1. Giornali stranieri vari; 2. Giornali francesi; 3. Giornali argentini).
La Documentazione di natura personale reperita tra i fascicoli costituisce la penultima serie, la 7., ove sono stati ricondotti documenti personali e familiari, compresi un diario, un’agenda, corrispondenza privata con richieste di appoggio e di aiuto.
Infine è parso utile dotare il fondo di documentazione estranea ma pertinente al tema (serie 8. Documentazione aggregata): trattasi di una tesi di laurea su Ottavio Dinale, con una biografia abbastanza completa, e di una stampa da Internet di un’immagine relativa a una visita di Dinale, prefetto di Nuoro, a un paese della provincia.Come si accennava, nell’ottobre 2019, al termine del lavoro di riordinamento e inventariazione sia dell’archivio di Ottavio Dinale sia di quello di Neos Dinale, figlio di Ottavio, del pari custodito dalla Fondazione, gli eredi hanno donato ulteriore documentazione. L’implementazione dei due fondi è parsa subito quanto mai opportuna, data la qualità delle carte donate, tra cui corrispondenza e stampa coeva, spesso periodici di difficile reperimento, attestanti attività e occupazioni dei soggetti produttori dei fondi.
L’occasione è giunta dal bando della Direzione generale Archivi del Mibact 9 aprile 2020 per la selezione di progetti finalizzati alla conservazione e informatizzazione degli archivi dei movimenti politici e degli organismi di rappresentanza dei lavoratori. Il contributo è stato concesso con ddg 5 giugno 2020. L’intervento ha riguardato prioritariamente l’individuazione dell’appartenenza dei documenti, se all’uno o all’altro fondo, poiché le carte prodotte da Ottavio e da Neos si trovavano frammischiate tra loro. In seguito si è proceduto, come di consueto, all’indagine circa la natura e la struttura dei documenti onde stabilire la collocazione più opportuna, compresa l’eventualità, poi effettivamente verificatasi, di dover istituire nuove serie e/o sottoserie ove ricondurre la documentazione. Alcune carte sono state ricondotte sotto fascicoli già esistenti, dopo averne constatata la congruità (in alcuni casi le unità archivistiche hanno trovato così la loro completezza).
Lo studio dei documenti ha inoltre consentito di correggere o ampliare le notizie biografiche dei personaggi.
- Modalità di acquisizione
- Il fondo è stato donato alla Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice dagli eredi Dinale nel 2006. Alcuni fascicoli sono stati oggetto di donazione, successivamente, il 9 maggio 2019, ad opera di Carlo Dinale, nipote di Ottavio.
- Contenuto
- L'interesse verso il presente fondo è offerto in primo luogo dall'arco cronologico, che parte dagli ultimi anni del XIX secolo, con l'attivismo di Dinale nell'ambito delle riviste del socialismo, del sindacalismo rivoluzionario e dell'anarchismo e che descrive la sua parabola politico-sociale che ne fece un vigoroso sostenitore del corporativismo: questa "conversione" non paia sorprendente, giacché la socializzazione, uno degli obiettivi, peraltro parzialmente fallito, del fascismo fu lo scopo ultimo della predicazione del Dinale sindacalista. Tutto ciò è attestato dalla cospicua collezione di periodici a cavallo tra l'Ottocento e il Novecento, compresi alcuni stranieri, dalla corrispondenza, di grande interesse per scoprire la tempra militante di Dinale, dalla documentazione sulla sua attività istituzionale quale prefetto negli anni Venti-Trenta, dai fascicoli che dimostrano la sua attenzione verso i ceti disagiati.
- Strumenti di ricerca
- Inventario a stampa e in formato elettronico a cura di Alessandra Cavaterra.
- Struttura
serie 1. Corrispondenza
serie 2. Attività istituzionale
sottoserie 1. Governo della Dalmazia. Ufficio Informazioni-Centro di Zara
sottoserie 2. In Sudamerica
sottoserie 3. R Commissario di La Spezia
sottoserie 4. Attività prefettizia
sottosottoserie 1. Istituzione di nuove province
sottosottoserie 2. Prefettura di Nuoro
sottosottoserie 3. Prefettura di Potenza
sottoserie 5. Campagna d’Etiopia
serie 3. Affari diversi
sottoserie 1. Affari di varia natura
sottoserie 2. Badoere di Morgano
serie 4. Scritti
sottoserie 1. Scritti su “Il Popolo d’Italia”
sottosottoserie 1. Manoscritti ordinati cronologicamente
sottosottoserie 2. Ritagli di giornale con articoli di Dinale
sottosottoserie 3. Manoscritti vari sciolti
sottosottoserie 4. “Lettere al Presidente”
sottoserie 2. Altri scritti
serie 5. Scritti di terzi
serie 6. Raccolta di pubblicistica varia
sottoserie 1. Periodici in fascicoli intitolati ab origine
sottoserie 2. Eco della stampa
sottoserie 3. Periodici in fascicoli con argomento specifico
sottoserie 4. Collezione di periodici
sottoserie 5. Periodici stranieri
sottosottoserie 1. Giornali stranieri vari
sottosottoserie 2. Giornali francesi
sottosottoserie 3. Giornali argentini
sottoserie 6. Periodici in fascicoli in ordine cronologico
serie 7. Documenti di natura personale
serie 8. Documentazione aggregata
- Descrittori
- Sindacalismo rivoluzionario,Sindacalismo fascista,Fascismo,Seconda guerra mondiale,Prima guerra mondiale,Corporativismo,Pubblica amministrazione,Repubblica sociale italiana,Socialismo,Anarchismo,Interventismo,Pacifismo,Emigrazione italiana
- Numerazione
- Numero:
- 16
- Fonti collegate
Archivio della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice, Roma, fondo Neos Dinale
Archivio centrale dello Stato (ACS), Ministero dell'Interno, Direzione generale della pubblica sicurezza. Affari generali e riservati, Serie F.1, b. 12, fasc. 27.1; b. 21, fasc. 41.1; b. 39, fasc. 66.1
ACS, Casellario politico centrale, b. 1803, ad nomen
ACS, Segreteria particolare del Duce. Carteggio ordinario, fasc. 509
ACS, Segreteria particolare del Duce. Carteggio riservato Repubblica sociale italiana, b. 10, fasc. 44R
ACS, Ministero della Cultura popolare, b. 170, fasc. 11
Ministero degli Affari esteri, Archivio storico diplomatico, Serie politica P (1891-1916), pacco 72, fasc. Dinale e famiglia
- Bibliografia
V. Ceresi, Leuzira. Sacrificio e apostolato, 4a ed. ampliata e documentata, Libreria editrice Coletti, Roma [1943]
M. Bergamo, Novissimo annuncio di Mussolini, Cino del Duca Editore, Milano 1962
R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario (1883-1920), Einaudi, Torino 1965, ad indicem
A. Riosa, Ottavio Dinale e le lotte agrarie nel Modenese (1901-06), in "Nuova Rivista storica", LXXXIII (1969), 5-6, pp. 677-705
M. Missori, Governi, alte cariche dello Stato, alti magistrati e prefetti del Regno d'Italia, Ministero per i beni culturali e ambientali, Roma 19893, pp. 533, 562, 583
D. Fabiano, Dinale, Ottavio, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 40, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 1991Direzione generale della pubblica sicurezza. La stampa italiana nella serie F.1 (1894-1926). Inventario, a cura di A. Fiori, Ministero per beni culturali e ambientali. Ufficio centrale per i beni archivistici, Roma 1995, p. 32
G. Malgieri, Ruralismo ed antiparlamentarismo di Ottavio Dinale, in "Pagine libere di azione sindacale", X (1990), 4, aprile, pp. 50-52I. Da Rold, Una vecchia gioventù. Ottavio Dinale e i suoi compagni dalla Rivoluzione a Salò, Università Ca’ Foscari di Venezia. Facoltà di Lettere e filosofia, a.a. 1998/1999
A. S. Todde, Banditesse sarde tra ieri e oggi, in «Rivista di psicodinamica criminale», III (2010), 3, pp. 1-17
P. Sergi, Quando Mussolini diede ai prefetti la "licenza di uccidere", in «Giornale di storia contemporanea», XIV (2011), 1, pp. 75-90
F. Giulietti, Storia degli anarchici italiani in età giolittiana, Franco Angeli, Milano 2012, ad indicemF. Parravicini, Una storia di socialismo modenese: Ottavio Dinale, in storiaefuturo.com
P. Sergi, Da Villa Regina a Villasboas. Progetti di colonizzazione in Sud America negli anni del primo fascismo, in «Percorsi Storici», 1 (2013)
G. Volpe, La disillusione socialista. Storia del sindacalismo rivoluzionario in Italia, Edizioni di storia e letteratura, Roma 2015, ad indicem
Il carteggio fra Roberto Michels e i sindacalisti rivoluzionari, a cura di G. Volpe, FedOAPress, Napoli 2018, ad indicem
M. Zaganella, Città nuove e colonizzazione agraria italiana in Argentina, in corso di stampa (dattiloscritto disponibile presso la Fondazione)