Lucio Lombardo Radice risponde alla lettera di Ruggero Zangrandi rassicurandolo, con profonda onestà intellettuale, di avere compreso gli argomenti esposti nella lettera ( «no, non sei affatto un visionario - scrive -. Ed io rivivo spesso entro di me la tua sofferenza di certi anni e di certi momenti»). Ripercorre poi la sua vicenda politica a partire dagli anni Trenta, quando, insieme agli altri aderenti al suo gruppo, era stato diffidato dal prendere contatto con Ruggero Zangrandi e con il suo movimento. «Lo trovavo estremamente interessante - afferma -: un fenomeno senz'altro positivo [...] Ma giudicavo impossibile e dannosa qualsiasi apertura, o meglio qualsiasi contatto ufficiale tra i dirigenti dei due gruppi, perché ritenevo che si trattasse di due organizzazioni in due fasi di sviluppo nettamente distinte (mentre voi compivate il "lungo viaggio" dal fascismo dissidente all'antifascismo consapevole, noi ci muovevamo già su di un piano di notevole chiarezza ideologica)». Dichiara di non avere mai affrontato l'argomento, come avrebbe voluto, per pudore e perché riteneva che all'atto dell'iscrizione al Partito, fossero intervenuti dei chiarimenti dei quali non era stato messo a conoscenza («la "diffida" nei tuoi confronti era cosa morta e seppellita»). Confessa di avere letto Il lungo viaggio solo prima di affrontare la recensione e di avere compreso i sentimenti espressi nel libro («ho provato un acuto stringimento - continua Lucio Lombardo Radice - quando tu, ad un certo momento, accennavi ai tuoi sforzi per "trovare il Partito"»). Ritiene comunque giusta la scelta politica di allora, considerata la situazione clandestina, e gli chiede in proposito un'opinione. Degli episodi più recenti lamentati da Ruggero Zangrandi non è a conoscenza, ma ritiene che il "muro", abbia alla base le direttive imposte ai tempi del fascismo.