La lettera prende spunto dalla recensione di Lucio Lombardo Radice al Dizionario della paura, pubblicata su «L'Unità» del 4 ago. 1951. La recensione al volume, «positiva, intelligente, affettuosa», suscita in Ruggero Zangrandi l'esigenza di scrivere al compagno di Partito una lettera spontanea («a sangue caldo, - scrive - sotto l'impressione di "scioglimento" che mi ha provocato la lettura del tuo articolo»), nella convinzione si presenti l'occasione giusta per affrontare un argomento che da lungo tempo occupa i suoi pensieri. Ruggero Zangrandi prosegue ivalutando criticamente il suo stato d'animo nei confronti dei compagni di Partito, a partire dai tempi della detenzione a Regina Coeli, che ritiene sia stato permeato da «un antico rancore», determinato dall'essersi «sentito per anni un perseguitato» e dall'impressione di essere «osteggiato, calunniato, respinto». Ritiene che questa situazione abbia portato ad erigere, tra lui e i compagni del Partito, un muro che negli anni non è mai stato abbattuto, determinando in lui «tanta amarezza, sentimenti di inimicizia, di diffidenza, di sospetto». Ricorda poi il devastante sentimento di solitudine provato al ritorno dalla prigionia («Quando sono tornato [...] non ho trovato nessuno - scrive -, all'infuori di mia Madre, che ora è morta. Al partito prevenzioni, freddezza antipatia: il muro») e l'impossibilità di comunicare con «quelli che per lunghi anni, senza neppure conoscerli, avevi sognato fratelli». Si interroga sui suoi torti e si chiede se la recensione, che gli ha fatto «l'effetto di un incontro», sia il segnale di un mutato atteggiamento nei suoi confronti. Chiede: «Hai tu avuto sempre questo cuore per me? O è un sentimento che è maturato di recente?».